Week-end “mortali”, l’analisi di Bertazzoni

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Tre studi degli anni Settanta di ricercatori americani, inglesi e australiani riportavano di aver osservato una maggiore mortalità dei neonati negli ospedali nei week-end. Nel 2001 altri due autori canadesi hanno dimostrato una maggiore mortalità nei week-end di persone di tutte le età rispetto alla settimana, analizzando 23 su 100 principali cause di morte. In seguito, un nuovo studio del 2010 di ricercatori inglesi ha confermato un 10 per cento di mortalità in più rispetto alla settimana e poi ancora, nel 2012, sempre in Inghilterra, venne dimostrato un 11 per cento in più di mortalità il sabato e del 16 per cento la domenica. Si è allora cercato di capire quali fossero i motivi di questi decessi e hanno trovato con un ultimo lavoro del 2016 pubblicato sulla rivista “Lancet”, in cui si è analizzato il supporto degli specialisti in 115 ospedali per acuti tra il mercoledì e la domenica, che la mortalità era aumentata del 10 per cento. I ricercatori dicono che c’è almeno un 50 per cento dell’attenzione in meno dello specialista nel week-end rispetto alla settimana. Tuttavia ci sono un po’ di limitazioni perché non tutto lo staff ha risposto alle domande e poi lo studio non considera la disponibilità di giovani dottori e infermieri.

Ma un altro lavoro sempre del 2016 ha considerato la mortalità nelle Stroke Unit (Unità di terapia neurovascolare) e ha riscontrato ancora che c’è una mortalità più alta del 26 per cento nel week-end che durante la settimana, anche se la mortalità tra l’ammissione nell’ospedale e ai 30 giorni all’interno di esso è la stessa. Ancora da quest’ultimo studio si rileva che i pazienti ammessi in ospedale durante la notte morivano di più di quelli accettati durante il giorno, probabilmente perché le linee guida seguite erano differenti che per gli altri. Mentre che per le morti per cause accidentali, quelle che avvenivano perché mandati dai medici di famiglia, la mortalità era più alta del 21 per cento. Per cui è possibile che venissero mandati in ospedale i pazienti più gravi. Allora, è la tipologia del malato o la tipologia del servizio, della qualità, il problema? Comunque sia, il problema esiste. E qualcuno deve occuparsene. In Italia il problema c’è e non se ne parla, oppure la nostra Sanità è impeccabile? Probabilmente non è stato fatto nessun tipo di studio in tal senso, nessuno se n’è preoccupato, quindi sembra che non ci siano dati a riguardo. Dobbiamo forse aspettare che siano altri a dircelo o per una volta potremmo essere noi ad accorgerci che qualcosa non va e metterci al riparo?

Aneddoti ce ne sono tanti: la qualità delle cure nel fine settimana potrebbe essere più scarsa, bisogna guardare alla tipologia del malato, allo staff e a quanto sia preparato alle emergenze, all’igiene dell’ospedale, ai posti letto, il pubblico, il privato e così via. Perché le soluzioni, indipendentemente dalle cause, siccome hanno dei costi aggiuntivi, vanno analizzate come un fenomeno politico e sociale. Bisogna sforzarsi di capirlo e indirizzare le risorse in una certa direzione. Il ministero della Salute non ha un servizio ad hoc di sorveglianza e ci vorrebbe in supporto un servizio di medicina preventiva. Abbiamo interrogato su questo il professor Giuliano Bertazzoni, direttore della Uoc di Medicina d’Urgenza del Policlinico Umberto I di Roma.

È arrivato il gran caldo e gli italiani stanno per andare tutti in vacanza. Ci dobbiamo preoccupare per ciò che può accadere nelle corsie dei nostri ospedali, soprattutto nei week-end, stando ai dati di questi ultimi studi? Non abbiamo dati nostri che possono aiutarci a capire com’è la situazione nel nostro Paese?

Partiamo da un’osservazione: causa precisa in Inghilterra i medici strutturati nei week-end sono meno presenti e lasciano l’ospedale in mano ai medici in formazione. In Italia una cosa di questo genere non succede. Possiamo parlare di disorganizzazione e sovraffollamento, in generale, possiamo pensare che nel week-end ci siano meno posti letto nei reparti che durante la settimana, nel rapporto anche al periodo dell’anno, ma sinceramente l’osservazione che nel week-end si muoia di più negli ospedali italiani non mi sembra sia vera, ecco.

Riguardo al sovraffollamento, specie nei fine settimana o nei periodi estivi, sono più le famiglie che vogliono disfarsi soprattutto dei familiari anziani che sentono come un peso in talune circostanze, oppure potrebbe esserci un problema dello staff nell’accoglienza al Pronto soccorso?

Ci sono tanti motivi per il sovraffollamento. È chiaro che una mamma non lascia il proprio bambino volentieri in ospedale e vuole portarselo via al più presto, il nipote di un nonnetto magari preferisce lasciarlo ricoverato, in linea di massima. Poi, ma questo può essere uno dei diecimila motivi che causano il sovraffollamento, noi abbiamo avuto una drastica riduzione dei posti letto nel corso degli anni, perché le leggi ce l’hanno imposto e gli ospedali hanno ridotto la loro capacità di accoglienza dei pazienti. Se ne è parlato molto quando è capitato qualche fatto di cronaca, ma non si è mai voluto risolvere il problema. Ci sarebbero più azioni da fare in diversi settori, per esempio sul territorio, potenziare gli ambulatori delle cure primarie, perché non sono organizzati secondo la richiesta di salute dei cittadini; poi c’è l’accorpamento dei reparti, un fenomeno di cui non si parla e che toglie altri posti letto. Bisognerebbe adeguare l’offerta a seconda della richiesta. Se cambia la società dovrebbe cambiare la risposta sanitaria. Avviene, ma con estrema lentezza.

Il ministero della Salute, le Regioni, non hanno un Osservatorio, una task force che si occupi di controllare delle necessità degli ospedali e del territorio. Come si possono informare delle carenze della sanità?

I nostri dati vengono sempre mandati alle Regioni e poi al ministero. Ribadisco, non ho la percezione che anche in Italia nei week-end aumenti la mortalità ospedaliera, possono esserci disorganizzazione e carenze di posti letto, ma non conseguenze sciagurate come queste. Ma potremmo anche pensare ad uno studio al riguardo!

@vanessaseffer

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Il Fontanone diventa una doccia pubblica

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Roma merita qualcosa di più, ma al momento è terra di nessuno. Gli scatti pubblicati da due fotografi su Facebook, che stanno facendo il giro del web, dichiarano questo ed altro, nonostante l’apparente leggerezza che lascerebbe indicare che le ragazze non starebbero facendo nulla di male rinfrescandosi per il caldo afoso che negli ultimi giorni si è abbattuto sulla Capitale. Ma siamo a Roma, la città-museo a cielo aperto. Questo è il Fontanone del Gianicolo, quello cantato da Venditti in Roma Capoccia, ossia del tratto finale dell’acquedotto dell’Acqua Paola che fu restaurato da Papa Paolo V fra il 1608 e il 1610.

Lì ogni sera di riuniscono migliaia di giovani, specie in questo periodo. Viene quindi subito da chiedersi se i controlli su questi beni sono sufficienti e se vengono danneggiati, anche nell’immagine come in questo caso, poi sarà la collettività a dover ripagare con le tasse e con la propria credibilità. Il Fontanone trattato come una doccia pubblica, da tre turiste che non hanno pagato neppure un centesimo di multa per questa bravata. Così per dare il buon esempio ai prossimi che verranno.

Il tema è come al solito culturale: non ci sono cittadini che si scandalizzano, ma piuttosto che fanno spallucce e che lasciano fare in barba alle regole che se ci sono non dovrebbero far sconti a nessuno. Alcuni attraverso i social hanno detto pure che l’immagine è risultata allegra e opposta a quella che grigia e cupa delle ultime settimane della città. Insomma, se si tratta di ragazze giovani e belle le regole si possono trasgredire, se vecchie e laide vorrei vedere! Quando sarà un barbone a fare il bagno nella Fontana Paola, o rievocando la Dolce Vita, nella Fontana di Trevi, la prenderemo allo stesso modo?

Se qualcuno avesse chiamato le guardie e queste le avessero portate in guardina anche per una notte, perché è l’esempio che conta, e poi avessero spedito ai loro padri una bella multa, come avrebbero fatto negli Usa dove ti condannano per un nonnulla e ti inseguono ovunque tu viva, già avremmo ottenuto un risultato per il futuro! E se le multe non le puoi pagare, o se vieni condannato a sei mesi o un anno e pensi di dartela a gambe e rientrare di nascosto nel tuo paese, ti ritrovano e (a seconda della gravità di ciò che hai fatto, se fai pipì in un parco a New York per esempio la condanna è di un anno) sconterai la pena attraverso i servizi sociali nel tuo Paese, altrimenti per cominciare, sei bandito dagli States. Ma da noi oltre alle regole c’è pure qualcuno che si fa cogliere da attacchi di buonismo. Per questo il Colosseo è stato graffiato dai turisti che scolpivano il loro nome, la Barcaccia e i bus sono stati massacrati dai tifosi olandesi e le città continuano ad essere oggetti di guerriglie urbane. Ma la nostra città non è come le altre.

@vanessaseffer

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Bni: il Capitolo per fare business

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A due passi da Piazza di Spagna si è svolto l’altro giorno un incontro di Business Network International (Bni). Con un caffè, una brioche in mano e tanti biglietti da visita in tasca, circa duecento persone si sono incontrate per poter incrementare il loro giro di affari in modo strutturato, incrociando cioè, fra professionisti di ogni genere e imprenditori di ogni settore, le proprie referenze, raccontando in pochi secondi idee, esperienze lavorative, progetti, dando consigli, in poche parole facendo “rete”.

Una specie di LinkedIn ma mettendoci la faccia, con il piacere di rivolgersi direttamente alla persona di interesse. Ad una colazione Bni si arriva inizialmente come ospite, su invito e per passaparola. Esserci equivale ad avere la fiducia di qualcuno e quindi la benevolenza di chi ti ha invitato; già questo per tutti gli altri, ospiti ed iscritti, è molto rassicurante.

Se il primo step è piaciuto e si vuole restare, si può scegliere anche la zona della città più comoda e fare domanda per entrarvi. Se la propria figura professionale interessa, non è ancora presente in quel “Capitolo”, il gruppo cioè di cui si vuole fare parte, la candidatura viene presa in considerazione dagli altri membri e se poi ritenuta valida ed accettata, il nuovo membro dovrà versare una quota annuale di circa 900 euro, partecipare agli incontri settimanali che si terranno in uno specifico giorno e luogo sempre alle 7,30 del mattino, colazione compresa, pronti a scambiarsi informazioni lavorative, contatti e opportunità di fare business.

Ogni “Capitolo” ammette un solo rappresentante per categoria professionale, ciò per evitare concorrenza all’interno del gruppo di cui si fa parte. Bni, che ha già quasi trent’anni, viene dagli States grazie a Ivan Misner, che fondò i primi Capitoli quando attraversò nella sua attività un periodo di crisi. La sua brillante idea fu subito un successo e in pochi anni si diffuse, oltre che in America, anche nel resto del mondo. In Italia arriva 18 anni dopo la sua fondazione grazie a Paolo Mariola, e oggi si contano oltre cento Capitoli in 65 province italiane e 6.800 Capitoli in tutto il mondo.

Un sistema efficace ed efficiente. Da subito si percepisce la voglia di tutti di ottenere il risultato, la positività di ciascuno e, un elemento fondamentale messo in risalto durante la presentazione dell’altro giorno, nessuno va lì per lamentarsi, tutti hanno voglia di fare, di creare i raccordi necessari per creare supporto alla propria attività o crearne una e non perdere tempo prezioso con la negatività ricorrente di questo periodo storico: le opinioni di ciascuno restano altrove.

Un modo interessante e ancora innovativo per contrastare la crisi, che fa del business il motivo trainante e che non impedisce di poter apprezzare le persone anche dal punto di vista umano, pertanto nel tempo si instaurano anche nuove amicizie e certamente si migliorano le proprie capacità di relazione.

@vanessaseffer

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I candidati a Roma di “Italia 20.50”

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Si è svolta ieri pomeriggio la presentazione dei candidati al Consiglio comunale di Roma, Simone Foglio ed Elisabetta Crosti di “Italia 20.50 la nostra Opinione” inseriti nelle liste di Forza Italia. Con l’occasione è stato presentato anche Giovanni Chirivì, candidato al Primo Municipio della Capitale. L’incontro di ieri è stato organizzato dal coordinatore di Roma e Viterbo di “Italia 20.50 la nostra Opinione”, Vanessa Seffer.

Presenti a sostenere le candidature il presidente di Italia 20.50, l’avvocato Gianpiero Samorì; il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri; il senatore Francesco Aracri; il vicepresidente di Italia 20.50, senatore Gianni Mauro; il consigliere Rai e vicepresidente di Italia 20.50, Arturo Diaconale; il consigliere regionale di Forza Italia, Adriano Palozzi; l’onorevole Marco Pomarici. Grande assente il candidato sindaco, un candidato sindaco. Non è ancora dato sapere chi sarà.

Silvio Berlusconi sta per sciogliere la prognosi, pertanto si va avanti con la forza di tutti quei guerrieri che lavorano nei territori, nei quartieri, strenuamente e da anni, fra la gente, con la loro faccia, il loro tempo, garantendo una presenza costante ai cittadini nonostante tutto.

Il centrodestra che si sfalda ogni giorno di più, perché qualcuno lo vuole, qualcuno consiglia male per portare Forza Italia al 5 per cento e poi raccoglierne i cocci. Questa è la sensazione più forte, ma la soluzione c’è e si vede pure, sta lì a portata di mano e più di mezza città sembra gridarla a gran voce, ma si fa di tutto per non ascoltare.

La presentazione dei candidati, organizzata a Palazzo del Gallo di Roccagiovine, elegante location sul Foro di Traiano, mostrava i volti preoccupati e un po’ smarriti degli ospiti e dei relatori, che si illuminavano alle parole del presidente Samorì, che avendo girato molto il mondo ha volato alto parlando di economia e di cultura.

Adesso si lavora perché a sedere al Consiglio comunale siano tante donne e uomini nuovi, selezionati perché hanno dei trascorsi di intenso e costante lavoro vicino alle persone e per il territorio, come Simone, Elisabetta e Giovanni, perché possano sostituire dignitosamente chi si è seduto in Consiglio per due o tre legislature non potendo o non sapendo fare il bene della città di Roma. Nel frattempo, aspettiamo con speranza di proseguire con un animo diverso la campagna elettorale, consapevoli, quando sarà, di avere un candidato sindaco cui riferirci una volta e per tutte. Diceva Eraclito: “Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato”. Allora non resta che attendere.

V.S.

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Reggio C., Genovese risponde a Gratteri

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Duro scontro fra l’Unione delle Camere penali italiane (Ucpi) e il magistrato di Gerace, che pochi giorni fa ha rilasciato un’intervista a Linkiesta sostenendo che nel Tribunale di Reggio Calabria i mafiosi sostano delle ore, quindi “hanno il tempo di incontrarsi, parlare, fare affari, trasmettere attraverso gli avvocati messaggi di morte o richieste di mazzette, minacciare i testimoni”. Sono le parole del procuratore aggiunto Nicola Gratteri, mancato ministro della Giustizia (a bocciarlo fu l’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano), ma recuperato da Matteo Renzi che lo ha posto a capo della Commissione per la revisione della normativa antimafia. L’Ucpi ha inviato immediatamente un documento di protesta al ministro della Giustizia Andrea Orlando, alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione, al Csm e all’Anm, “certi di un riscontro atteso come atto dovuto”.

A sollevare la vicenda è stata la Camera Penale di Reggio Calabria, rilevando che il procuratore Gratteri, in una intervista rilasciata al giornale on-line il 17 febbraio scorso, “dopo aver definito l’Onu come il posto degli sfigati si è soffermato sul fenomeno della criminalità organizzata, e sui metodi per combatterla”, ledendo la dignità e l’onorabilità della funzione difensiva. Compatti nella loro reazione, gli avvocati di Reggio Calabria non ci stanno, essendo in prima linea con le forze di polizia e certamente uniti alla magistratura nel ruolo di garanti dei diritti fondamentali dei cittadini.

È possibile che il procuratore Gratteri volesse riferirsi a qualche nome in particolare e non a tutta la categoria degli avvocati, pertanto alla fine si è solo espresso male?

Noi siamo consapevoli del fatto che come in tutte le categorie professionali anche fra noi ci sia qualche mela marcia – risponde per noi il Presidente della Camera Penale reggina, avvocato Emanuele Genovese (nella foto) – se il magistrato avesse fatto riferimento a dei casi concreti del passato che hanno avuto una condotta non consona nell’ambito della nostra professione noi non avremmo detto nulla, anche fra i magistrati ci sono stati gli infedeli, i corrotti, e probabilmente ce ne saranno ancora ma nessuno di noi si è mai permesso di dire che tutta la magistratura è corrotta. Ho letto diversi interventi sui social network e nell’immaginario collettivo a causa di queste esternazioni si è portati a pensare che l’avvocato sia contiguo al malaffare, al cliente, nessuno così pensa che fra noi e loro c’è una scrivania. Chi ha un grande seguito come il procuratore Gratteri, sa di essere un uomo popolare, perché è un magistrato impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta, per questo vive blindato, pertanto ha la responsabilità di pesare le parole. Domani un mio nuovo assistito potrà pensare che nel rapportarsi con me sia possibile che come suo difensore possa inviare dei messaggi di morte, possa essere l’autore di mazzette o di minacce nei confronti di testimoni. Abbiamo apprezzato il suo intervento successivo, ma bisognava dire soltanto una cosa: “Chiedo scusa, ho sbagliato”. Ma le scuse, così come il pentimento, sono solo atti sperati, non atti dovuti.

Anche il figlio del procuratore Gratteri vive blindato?

Esatto, e lui i primi attestati di solidarietà per i fatti accaduti al figlio li ha ricevuti proprio da noi.

Nell’immaginario collettivo i magistrati sono una casta molto potente e chiusa, quando sbagliano non si punta il dito contro di loro, questo pensa la maggior parte della gente!

Quando loro sbagliano difficilmente pagano. È vero che l’indipendenza della magistratura passa anche dalla serenità del giudizio che devono affrontare, ma è anche vero che certe volte si fanno esternazioni infelici poiché si sa che non ci saranno delle conseguenze. I magistrati rappresentano un potere dello Stato, noi avvocati siamo tantissimi ma non rappresentiamo alcun potere; l’avvocato può essere tanto più protagonista quanto lo Stato è garantista, noi possiamo intervenire nell’ambito dei poteri naturali dello Stato, nell’ambito del potere legislativo per esempio, laddove si ascoltano le nostre istanze, allora lo Stato diventa propositivo attraverso la legislazione.

Il procuratore Gratteri suggeriva di fare i processi a distanza, anche per risparmiare. È fattibile effettuare le testimonianze per videoconferenza?

Tecnicamente è fattibile, francamente non credo sia così economico come lo si vuol far passare perché da un punto di vista pratico sarebbe la fine del processo penale. La Legge in via ordinaria prevede che l’assistito durante il processo debba stare seduto accanto al suo difensore. Provi ad immaginare se durante l’esame di un collaboratore di giustizia a distanza o di un testimone, il difensore da un lato deve ascoltare la testimonianza e dall’altro deve conferire con l’assistito perché ha qualcosa di importante da dire in base a quello che sta accadendo in quel momento in aula, è ovvio che solo l’assistito può conoscere esattamente i fatti, il proprio vissuto e dare delle indicazioni al suo difensore per porre altre domande al testimone o al collaboratore, fermo restando le opportune valutazioni tecniche del difensore.

Ma in attesa del processo, i boss sostano nella stessa area e ci sono anche gli affiliati negli stessi luoghi dove gli imputati aspettano di essere ascoltati? Possono parlarsi fra loro probabilmente e questo va oltre quindi alle dichiarazioni di Gratteri, che inserisce in questo contesto gli avvocati, sembra essere questo un problema del legislatore!

Può capitare che nell’attesa i detenuti siano presenti in alcuni spazi insieme, ma è stato sempre così.

Forse è questa la prassi che andrebbe modificata?

Infatti, ma non sono gli avvocati che si devono occupare di questo, comunque già fanno molto gli agenti di polizia penitenziaria che hanno un regolamento interno a riguardo e separano i detenuti di un certo spessore criminale isolandoli dai detenuti con un peso minore, che poi sono quelli che potrebbero ricevere delle indicazioni riguardo il malaffare. Questi agenti fanno già una grande azione preventiva, ma dovrebbe essere il legislatore a risolvere questo aspetto. Ove mai si dovesse arrivare ad una riforma del processo o della Giustizia l’imputato di processi di criminalità organizzata non dovrà comunque avere una difesa diversa, altrimenti non si faranno più questo tipo di processi, in tal caso ce ne faremo una ragione, ci sono tanti altri reati da perseguire, come quelli contro il patrimonio o intorno alla Pubblica amministrazione. La tutela del difensore passa attraverso alla considerazione che noi siamo gli ultimi baluardi della libertà in uno Stato di diritto dove il bene principale è la libertà, noi riteniamo di meritare il rispetto necessario.

Come vive un avvocato che si occupa di procedimenti contro la criminalità organizzata, soprattutto a Reggio Calabria?

Dopo aver letto gli atti un convincimento intimo di come possono essere andati i fatti ce lo facciamo. Tante volte è più semplice difendere una persona che sentiamo colpevole perché il nostro è un ruolo che deve garantire un certo tipo di difesa. In realtà noi viviamo malissimo quando pensiamo che una persona sia innocente ma, o per apparenza dei fatti o per altri motivi l’innocenza non viene fuori, non traspare e la persona viene condannata. Quello è il momento in cui un difensore si sente frustrato, impotente, perché ha tentato tutto con l’impegno necessario, pur non potendo garantire il risultato. Il rapporto con i mafiosi è legato all’assistenza. Io amo dire e vorrei che questo linguaggio passasse anche ai miei colleghi, che noi non abbiamo clienti ma “assistiti”, il nostro non è un negozio. Gli assistiti si affidano, affidarsi significa fare in modo che si possa avere una difesa quanto più possibile rispetto al fatto concreto. Per esempio, di fronte ad un soggetto reo confesso per omicidio, che ha pure spiegato il perché ciò è avvenuto, il difensore può far emergere che i fatti sono maturati all’interno di una certa condizione psicologica, può darsi che ci siano attenuanti come la provocazione, ciò comporterebbe una riduzione di pena rispetto a quella prevista. Nell’immaginario collettivo potrà sembrare strano che per un omicidio si possa ricevere una pena di 12/13 anni che sarebbe quanto può prendere un mafioso di bassa lega solo per essere un associato. Spesso ci sentiamo dire ‘ho preso una pena così pesante ma non ho ucciso nessuno’. Quindi trovo che si debbano attuare delle ulteriori sinergie con la magistratura, che noi non vediamo come ostile, e nella figura del dottor Gratteri nello specifico, poiché abbiamo sempre visto in lui un soggetto di riferimento per la sua onestà intellettuale, un sostegno reale. La sua riconosciuta schiettezza, evidente anche in una nota intervista su Report, dove Gratteri parlò della prescrizione, facendo trapelare un messaggio sbagliato per la collettività in realtà, perché la prescrizione non è un fatto che viene ricercato dall’avvocato ma mette al riparo lo Stato dal perseguire fatti che hanno perso d’interesse, per quella proposta di legge dell’abrogazione della prescrizione che imponeva la solidità dal punto di vista del difensore che proponeva il ricorso inammissibile, una sorta di responsabilità economica in realtà, fatto impensabile in un Paese democratico, Gratteri dichiarò che diminuendo i processi in appello e in Cassazione, proprio perché non ci sarebbe stato lo scopo di perseguire la prescrizione, potevano diminuire il numero delle sezioni presso la Corte di Cassazione. Questa cosa è stata intesa come un tentativo di riduzione di potere. A mio avviso questa sua schiettezza gli è costata la nomina a ministro della Giustizia.

A maggior ragione può essere perdonata quella infelice dichiarazione!

Quella dichiarazione ci ha imposto una presa di posizione e ci saremmo aspettati delle scuse più evidenti. Noi esigiamo rispetto per il nostro ruolo, se lui avesse fatto riferimenti a dei fatti isolati sarebbe stata cosa diversa e ne avremmo solo preso atto.

Porterete avanti il documento inviato al ministro Orlando o la faccenda si interrompe qui?

La Camera penale che presiedo si muove all’interno dell’Unione delle Camere penali, il presidente Beniamino Migliucci e l’intera giunta ci sono stati vicini con un documento. Non avremo atteggiamenti persecutori, ma una presa di posizione da parte del Consiglio superiore della magistratura e del ministro sono necessari per evitare che questo sia un precedente che ci porrebbe in una luce sconveniente dinanzi agli assistiti attuali e futuri. Comunque, incontrando il dottor Gratteri ci stringeremo certamente la mano.

@vanessaseffer

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