Covid-19, scende in campo la stampa digitale 3D con Medilife

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Covid-19, scende in campo la stampa digitale 3D con Medlife La rapida diffusione del Covid-19 ha messo a dura prova il sistema sanitario. La sola possibilità che siano i medici e il personale sanitario, troppo spesso senza attrezzature adeguate a lottare per fornire assistenza ai pazienti contagiati dal virus, non può essere la soluzione a lungo termine. Fronteggiare l’emergenza con la grave carenza di idonei Dispositivi di protezione individuale (Dpi) e di dispositivi medici salvavita ha purtroppo contribuito a determinare un alto numero di decessi quotidiano. Avremmo assistito ad un ridotto numero di decessi se fossero stati disponibili ventilatori polmonari in numero adeguato? Le cronache, ma anche la querelle nata tra opinionisti e società scientifiche, riportano come forse in casi selezionati ci sia stata la necessità di fare scelte in relazione alla disponibilità o meno di supporti rianimatori.

Anche per questo una parte dell’imprenditoria italiana, ha deciso di farsi avanti e non aspettare interventi esteri che forse mai arriveranno, producendo da sé quanto necessario. Nelle ultime due settimane aziende come la Medilife Spa, hanno trasformato parte della loro produzione abituale per realizzare dispositivi medici e aiutare a colmare i vuoti della catena di fornitura agli ospedali del centro-sud in questa situazione straordinaria, stampando in 3D valvole per respiratori, caschi, tubi e maschere per la ventilazione di emergenza. Così pure raccordi e adattatori per montare due respiratori su un singolo ventilatore, per dare l’opportunità di collegare due persone allo stesso macchinario.

L’Università di Roma Tor Vergata, nell’ambito del Dipartimento di Medicina sperimentale del corso di Ingegneria medica coordinato dal professor Nicola Rosato ha siglato un protocollo d’intesa con Medilife Spa. Il docente ha al suo attivo progetti di ricerca come “applicazioni cliniche di tecnologie a radiofrequenza (Rfid)”, perché all’azienda interessava un partner che studiasse materiali innovativi per realizzare nuove protesi impiantabili. Un progetto molto ampio che si adegua a quella che è oggi la principale necessità, contenere e debellare la pandemia di Covid-19 il prima possibile. I prodotti vengono stampati e inviati in tutto il centro e il sud dell’Italia, poiché le aziende produttrici che fanno parte di una rete, la “The 3D Group”, si sono suddivise il territorio da supportare. L’azienda Medilife Spa di Roma, che ha a disposizione specifiche competenze per la stampa 3D, ingegneri per la progettazione e per l’accoglienza di progetti già eseguiti e pronti solo per la stampa, controllo qualità e requisiti normativi, ha già provveduto a far realizzare un modulo sulla sua pagina web con area riservata al service, che sarà online dalla prossima settimana.

Attraverso questo portale web si potrà contattare l’azienda per far caricare la richiesta dei prodotti o il file con il disegno da stampare. Riguardo ai costi, evidenziano dall’azienda che pur se la richiesta si sta facendo importante, in realtà sono solo quelli del materiale utilizzato e ciò proprio per favorire le aziende ospedaliere in grave difficoltà. Al nord sono stati consegnati in un primo tempo pezzi a titolo gratuito. Abs, Pla, Pvc e polimeri vari sono i materiali ad uso sanitario utilizzato in questa fase. Una volta stampati, i pezzi vengono introdotti nelle vasche di lavaggio per la pulitura e poi impacchettati in confezioni sanificate o sterili, secondo le norme di igiene stabilite, poi spediti al committente.

Ma come avviene la creazione di un pezzo attraverso la stampa in 3D? “Con la stampa 3D si producono oggetti tridimensionali partendo da un disegno digitale creato in ambienti Cad”, ci spiega l’ingegnere Michele Pietro Camarda, laureato in Ingegneria meccanica alla Sapienza, e che ha svolto la sua tesi proprio su questo tema. “Se sono un designer e progetto un oggetto di prima necessità come in questo caso di emergenza Covid, preparo il disegno 3D del pezzo, dopo averlo ultimato lo importo in un ulteriore ambiente tridimensionale che ha il compito di preparare la traiettoria che la testa della stampante deve eseguire per realizzarlo, invio tale traiettoria alla macchina e questa porta a compimento il suo lavoro secondo i tempi che le sono possibili. A seconda dei materiali che devo stampare si applicano differenti tecnologie. Non si può stampare la plastica come un metallo o una lega metallica, a ciascun materiale corrisponde una specifica difficoltà nella lavorazione. Tipicamente per stampare oggetti in plastica, che è il materiale che interessa in questo frangente, si procede per deposito di filamento fuso, estrudendo il profilo desiderato strato dopo strato”.

Proprio per questo motivo, “la stampa 3D fa parte dell’Additive Manufacturing, delle tecnologie additive, perché l’oggetto finale che viene realizzato lo si è ottenuto tramite un processo di aggiunta di materiale, piuttosto che di rimozione di questo (come nel caso delle lavorazioni al tornio o alla fresa). Con il metallo funziona in maniera diversa, difficilmente si procede per deposito di filamento fuso; più comunemente si utilizza la tecnica di fusione selettiva a laser (ma non solo), che consiste nello spargimento di polvere metallica sulla piattaforma di stampa, saldata dal laser della macchina in un processo seriale strato per strato. Si possono stampare in questo modo innumerevoli metalli e leghe metalliche, per esempio oro e argento nel settore dell’oreficeria, titanio nel settore aerospaziale, leghe cromo-cobalto per l’industria dentale, diversi tipi di acciai”.

Mentre gli oggetti in plastica “vengono estrusi usando filamenti dei tipi e colori più svariati, tanto che, specialmente quando si parla di uso domestico, la spesa principale che una stampante 3D comporta è proprio quella relativa ai filamenti. Chi lavora in questo settore ad un livello professionale ha inevitabilmente delle competenze enormi, non si limita a progettare un cubo o un tubo, ma è in grado di realizzare qualsiasi elemento o assieme di elementi, poiché i software impiegati nel disegno 3D sono strumenti di potenza eccezionale”.

@vanessaseffer

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Anno Nuovo, brutte abitudini consolidate. Il 2020 si apre con due aggressioni a medici in servizio

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Napoli. Due nuovi episodi di aggressione a personale sanitario  dall’inizio del nuovo anno. Luciano Cifaldi, Segretario generale della Cisl Medici Lazio, rilancia l’allarme sul pericolo ormai insostenibile a danno di chi lavora per salvare vite umane

di Vanessa Seffer

Proviamo a partire dalla fine e da quanto si apprende dagli organi di stampa. Poco dopo la mezzanotte del 31 dicembre una dottoressa di servizio al San Giovanni Bosco di Napoli è stata aggredita verbalmente e fisicamente con una bottigliata in faccia da un paziente, probabilmente psichiatrico; nella stessa città un medico intervenuto in aiuto di un paziente e a bordo di un’ambulanza, appena aperto lo sportello del mezzo è stato colpito da un petardo.  Due episodi di aggressioni a medici in poche ore allo scoccare del 2020

“Inaccettabili le aggressioni a chi ogni giorno si prende cura di noi. Bisogna approvare al più presto la norma, già votata al Senato, contro la violenza ai camici bianchi. Non si può aspettare”. E’ la dichiarazione del Ministro Speranza cui fa eco la Croce Rossa: “Qui a Napoli peggio che nei territori di guerra. L’aspetto più inquietante di questi nuovi episodi di aggressione a personale sanitario è che ci si abitui a questo stato di cose “

Non si arresta la violenza negli ospedali con aggressioni al personale sanitario.

“Non ci fermiamo neanche noi della Cisl Medici Lazio nel denunciare questi episodi criminali. Non vogliamo abituarci a questi continui episodi a costo di risultare ripetitivi e magari anche noiosi per qualcuno. Siamo tutti a rischio. Solidarietà ai colleghi di Napoli e l’augurio ai politici di una ottima digestione dei pranzi e delle cene di questi giorni festivi. A noi è rimasto sullo stomaco il ritardo nell’approvazione della specifica legge da parte della Camera dei Deputati dopo l’approvazione al Senato”. Così in un comunicato stampa Luciano Cifaldi, Segretario generale della Cisl Medici Lazio.

@vanessaseffer
Da DailyCases
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Il Coronavirus e la politica della paura

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Il Coronavirus e la politica della paura“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”.

Queste alcune delle parole pronunciate da Papa Bergoglio che tutto solo ha pregato da Piazza San Pietro sotto la pioggia, rievocando quelle dell’indimenticato Papa Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. Ma Francesco I ha fatto di più, perché ha concesso l’indulgenza plenaria Urbi et Orbi, cioè la cancellazione di tutti i peccati anche quelli già confessati e perdonati, dando una importante concessione all’umanità, quella di abrogare anche gli “effetti” dei peccati che abbiamo commesso in precedenza ed eliminato con la confessione. Ciò ha commosso, tentato di consolare e lasciato il segno in grande parte della cittadinanza italiana e mondiale. Ma la parola paura è il nodo della questione: di che cosa si ha paura, cosa genera ansia, smarrimento, cosa temono i cittadini in ogni parte del mondo? Fino a ieri poteva essere un cyber attacco, il terrorismo islamico o il cambiamento climatico così palpabile. Oggi la psicosi si legittima con la più grave pandemia di tutti i tempi che non ha ancora trovato il suo apice.

La “paura”, che tiene in casa quasi sessanta milioni di italiani, è il collante che unisce in queste settimane il Paese. Con il senso di finitezza che ci accompagna sin da piccoli, con la fine che potrebbe giungere prima del tempo, si dà concretezza alla paura che ha così una grande funzione sociale, si tengono buoni e sottomessi i popoli, si fanno accettare le più svariate scelte politiche e religiose. Con la paura e l’inquietudine che essa provoca si vendono tante cose a chi è preda della disperazione. Persino la piccola attivista svedese, paladina proprio della lotta ai cambiamenti climatici, lo aveva capito e faceva leva su questa mentre girava il mondo: “Non voglio la vostra speranza, voglio che entriate nel panico. Tutti devono sentire la paura che io provo tutti i giorni”.

È quindi subdolamente necessario provare empatia e non indifferenza per farci capire la qualità di ciò che abbiamo e cosa ha coinvolto l’Europa e il mondo in questa emergenza planetaria e la paura per questo fa bene a livello emotivo. Eravamo abituati ad un clima di certezze e di sicurezze superando spesso il limite, ad una società consumistica, effimera e sprecona, adesso sentiamo quanto è caduca, fragile ma preziosa la nostra vita, quanto valgono gli affetti e i valori reali per nulla scontati.

Questa disconnessione sociale paradossalmente ci mette più in connessione, ma non si parla d’altro che di paura e di morte, poi solo alla fine per risollevarsi un po’, si argomenta su quanti quel giorno sono guariti dal virus. Ammesso che davvero sia così. La paura e la morte sono di fatto l’argomento principale di ogni chiacchierata degli ultimi due mesi. Evidentemente per parlare del valore della vita e comprenderlo si deve parlare anche di morte. Quanto questa infezione ci sta insegnando? In pochi giorni abbiamo imparato a fare cose per cui ci sarebbero voluti anni. Poi lauree online, lezioni scolastiche attraverso i pc a tutti i livelli, compleanni e ricorrenze via Skype, chissà che non si ritorni ai matrimoni per procura, ma si impara anche un nuovo concetto di lutto. Tante famiglie hanno perso i loro cari e non hanno potuto fare il funerale, fra gli eventi sospesi dal decreto.

A Bergamo le agenzie funebri ricevono dieci chiamate all’ora, tanto che queste non ce la fanno più a sostenere il ritmo perché anche loro sprovvisti, come il personale sanitario, dei Dispositivi di protezione individuale (Dpi). Così, per salvaguardare la salute dei dipendenti, vogliono fermarsi. Pertanto scopriamo quanto sia difficile non poter dare l’ultimo saluto alla persona cara, che finisce il suo tempo da sola in ospedale, fra angeli verdi e bianchi, i medici e gli infermieri cui si è arrivati a chiedere un altro sforzo, quello di porgere una benedizione a chi, nell’impossibilità di poter ricevere l’estrema unzione, esprime il desiderio di riceverla per trovarvi un po’ di conforto. Ci si lascia senza potersi neppure salutare un’ultima volta, questo crea un senso di angoscia profonda, paura. E chissà quanti muoiono in casa da soli o con qualche familiare che non sa cosa fare. Tutte queste emozioni riportano indietro nel tempo, quando si combattevano la Prima o la Seconda guerra mondiale. Così si mettono in moto catene di solidarietà, attivismi che ci fanno sentire più buoni, per regalarci la sensazione di essere diventati più caritatevoli e comprensivi verso il prossimo.

La paura della signora con la falce fa cadere tanti tabù, anche quello della morte stessa, concepita come una delle paure innominabili che abbiamo, al punto da essere tutti, chi più chi meno, un po’ scaramantici. Ma forse la paura della nostra mortalità in questo momento che stiamo attraversando è ciò che ci mantiene umani.

@vanessaseffer

Da L’Opinione

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Covid-19, prime richieste di risarcimento contro i medici. La delibera degli avvocati napoletani

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di Vanessa Seffer

Su Covid-19, la notizia è di quelle che meritano di non passare inosservate anche a stimolare analoghe iniziative da parte di altri Consigli ordinistici. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli il 25 marzo ha deliberato in merito alla offerta di servizi legali di consulenza e assistenza in prospettiva di eventuali giudizi risarcitori per casi di “asserita” malasanità derivanti da ricoveri o episodi legati alla epidemia da Covid-19.
Gli avvocati di Napoli dalla parte dei medici

Il Consiglio “in un periodo in cui, l’Avvocatura è chiamata a commemorare avvocati deceduti che hanno speso la loro esistenza alla ricerca del giusto come impegno civile, rivolge un particolare ringraziamento alla categoria dei medici e a tutti gli operatori sanitari che, compiendo sforzi straordinari e in condizioni di grave assenza di mezzi, rischiano la loro salute e talvolta la vita per salvare quella dei cittadini”.

Covid-19, la delibera degli avvocati napoletani

“Purtroppo proprio in questi giorni – prosegue la delibera – si sono registrati anche sparuti casi di sedicenti “studi legali” che hanno pubblicizzato, anche in modo massiccio ed evidente, la propria offerta di prestazioni, il più delle volte addirittura gratuite fino al conseguimento del “risultato” risarcitorio, in favore di coloro i quali si possano ritenere vittime di asserite disfunzioni del sistema sanitario o di medici nelle varie fasi dell’assistenza epidemiologica. Sin d’ora, e ferma la valutazione dei singoli casi, si ritiene che tali condotte e tali improvvide campagne pubblicitarie siano del tutto inappropriate e denigratorie della serietà, della correttezza e dello spirito solidale e umanitario che storicamente connotano la classe forense”.

Che la categoria medica fosse sotto attacco lo si era capito anche dalle giornaliere notizie di aggressioni molto evidenti almeno fino all’insorgere dell’emergenza Coronavirus.

Avvocati di Napoli contrari: no a cause contro i medici

Inoltre era ampiamente diffuso il fenomeno del proliferare metastatico, come lo aveva definito la Cisl Medici Lazio, di sedicenti “associazioni di benefattori” che offrono i propri servizi per fare ottenere un risarcimento del presunto danno sanitario giocando sulla asserita gratuità della assistenza legale alle presunte vittime di malasanità.

In piena emergenza Covid sfido a trovare qualcuno che non abbia definito eroi i medici e gli infermieri, fulgidi esempi di abnegazione professionale ed umana condotta fino all’estremo sacrificio. Chiamati in prima linea spesso del tutto privi di idonei  dispositivi individuali di protezione, con mascherine “utili forse a pulire gli occhiali”, come ha dichiarato lo stesso presidente della Regione Campania, ma non certo a proteggere gli operatori dal rischio di contagio.

Ma questo periodo di fidanzamento tra politica, mass media, uomini e donne dello spettacolo, cittadini impegnati a cantare dai balconi e ad appendere davanti agli ospedali lenzuoli con frasi solidali forse è già finito.

Sono già partite le prime denunce contro i medici ed è ripartita, neanche in troppo in sordina, lo sciacallaggio di chi è pronto a sostenere queste cause.

Ed allora è doveroso che la classe politica sostenga la richiesta di conversione in legge del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 che prevede  “Per tutta la durata dello stato d’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga alle disposizioni normative di cui alla legge 8 marzo 2017, n. 24, e in deroga alle altre disposizioni normative che la prevedono, la responsabilità degli esercenti la professione sanitaria e delle strutture sanitarie, pubbliche e private, è limitata alle sole condotte dolose”.

L’emendamento proposto mira ad introdurre una limitazione di responsabilità alle sole condotte dolose degli esercenti le professioni sanitarie e delle strutture sanitarie per tutta la durata dello stato di emergenza epidemiologica.

La misura proposta, risulta imprescindibile per limitare il potenziale impatto deflagrante che eventuali futuri contenziosi potranno avere sui bilanci delle strutture sanitarie, ancor più considerando la durata decennale della prescrizione e quindi degli effetti futuri che potrebbero spiegarsi per molti anni a venire.

In questo periodo di emergenza Covid è dunque riapparsa una delle varie forme di aggressione contro i medici. La categoria dei camici bianchi deve essere purtroppo consapevole che finirà presto vittima di paradossali ripercussioni giudiziarie e poco ci manca se non sarà accusata di essere complice del virus. 

@vanessaseffer

Dal Secolo d’Italia

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Covid-19, lacune dannose per la salute pubblica e degli operatori sanitari

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Covid-19, lacune dannose per la salute pubblica e degli operatori sanitariCome si sta attivando la Regione Lazio per monitorare il contenimento del contagio? Tutti i professionisti della salute adesso hanno disponibilità dei Dispositivi di protezione individuale? Proprio in tutti gli ospedali si è già azionato un piano di emergenza con un percorso alternativo, per evitare la concentrazione in un unico spazio dei pazienti Covid, non Covid e dei professionisti che operano con loro? Nella nota del ministero della Salute 7.865 del 25-3-2020 dove si dice “Aggiornamento delle linee di indirizzo organizzative dei servizi ospedalieri e territoriali in corso di emergenza Covid-19” è evidenziato quanto segue:

“È necessario identificare prioritariamente strutture-stabilimenti dedicati alla gestione esclusiva del paziente affetto da Covid-19, tenuto conto che le attività precipue sono legate alle malattie infettive, assistenza respiratoria e terapia intensiva. Parimenti, è necessario individuare altre strutture ospedaliere da dedicare alla gestione dell’emergenza ospedaliera Non Covid (patologie complesse tempo dipendenti). Occorre individuare specifiche strategie organizzative e gestionali che, nel più breve tempo possibile, consentano la netta separazione delle attività Covid-19 e mettano a disposizione, in relazione all’evoluzione dell’epidemia, l’ampliamento della rete dedicata Covid-19. Pertanto, i pazienti non affetti da Covid-19 ancora ricoverati devono essere allocati in strutture e stabilimenti alternativi al fine di evitare pericolose infezioni nosocomiali Solo in casi eccezionali, laddove non risulti possibile la separazione degli ospedali dedicati alla gestione esclusiva del paziente affetto da Covid-19 da quelli Non Covid-19, i percorsi clinico-assistenziali e il flusso dei malati devono, comunque, essere nettamente separati”.

Nessun dubbio quindi dovrebbe assalire chi deve adoperarsi nell’adeguamento del sistema di accoglienza dei pazienti negli ospedali. Ma se un dubbio lo si avesse, allora c’è sempre la via del commissario straordinario per il Covid-19, suggerito da tempo dalla Cisl Medici Lazio, messo in pratica da altre regioni, ma ancora non nel Lazio punto nevralgico del Paese nonché di passaggio e spostamenti fra Nord e Sud.

@vanessaseffer

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