Meningite, ne parla il professor Menichetti

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Alla luce dei recenti episodi di cronaca, abbiamo sentito la necessità di eludere inutili preoccupazioni, chiedendo ad un esperto, il professor Francesco Menichetti, Ordinario in Malattie infettive all’Università di Pisa, direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive dell’Aoup (Azienda ospedaliera universitaria pisana), nominato membro del Comitato tecnico sanitario del ministero della Salute nella sezione per la lotta contro l’Aids dal ministro Beatrice Lorenzin, l’uomo che è in prima linea quando si parla di emergenze infettive virali acute e croniche, in trincea in Toscana, la regione più compromessa al momento, di spiegarci con chiarezza quanto sta succedendo nel nostro Paese in merito alla C, il ceppo di meningite che terrorizza non solo la Toscana, ma che ha creato allarmismo nei cittadini italiani con la conseguente folle corsa alla vaccinazione.

Professore, che differenza c’è fra meningococco e meningite batterica?

Quando parliamo di meningite batterica parliamo di una sindrome clinica, un’infezione delle meningi che può essere causata da diversi microbi e virus. Tra i microbi, l’unica forma contagiosa è quella causata dal meningococco. L’allarme, del tutto ingiustificato, che ha raggiunto livelli di parossismo si riferirebbe all’unica forma di meningite batterica che è quella causata dal meningococco. Allarme ingiustificato perché non c’è nessun incremento di casi di meningite meningococcica, oppure di malattia invasiva meningococcica. In Italia, fatta eccezione per la Toscana, che dal 2015 ha avuto un incremento di casi, abbiamo avuto 61 casi da meningococco con 13 morti. Questa è l’unica situazione degna di rilievo, ma la Toscana dall’anno scorso ha intrapreso una campagna vaccinale adeguata che sta andando avanti. Nel resto d’Italia, le segnalazioni che si sono succedute a fine anno e i primi giorni dell’anno nuovo rientrano largamente nella fisiologia stagionale. Ogni anno nel Paese abbiamo 200 casi di meningococco, 900 casi di pneumococco. Siamo assolutamente nella normalità.

Alcune delle 61 persone ammalatesi in Toscana erano vaccinate. Si può contrarre la meningite anche se vaccinati?

In realtà i casi vaccinati sono circa 12. Ma bisogna chiarire un punto: l’immunità generata dai vaccini che sono a disposizione non dura oltre 5 anni e la metà di queste 12 persone che hanno avuto la malattia meningococcica erano state vaccinate da oltre 5 anni. Quindi erano al di fuori dell’arco temporale della protezione vaccinale. Abbiamo avuto un paio di casi in cui i pazienti erano stati vaccinati da poco. Ci vuole almeno un mese perché si sviluppino gli anticorpi. Non è che oggi fai il vaccino e domani sei protetto, devono trascorrere almeno 3/4 settimane. Il vaccino antimeningococcico è molto sicuro ed efficace, però un 5/6 per cento di vaccinati non risponde bene come in altre situazioni vaccinali, non è mai efficace al 100 per cento. Bisogna sottolineare con forza che tutti i casi di malattia meningococcica, sia la meningite che la setticemia, che è l’infezione più grave responsabile delle morti, che si sono verificate in vaccinati, sono stati meno aggressivi e letali. Solo una persona vaccinata è morta, tutti gli altri casi riguardavano individui non vaccinati. Vaccinarsi conviene sempre, è utile e necessario perché protegge dalla malattia o attenua la sua gravità. Ma oggi vaccinarsi, al di là dei calendari vaccinali che si rivolgono ai bambini e agli adolescenti, è un problema che riguarda soprattutto la Toscana. Per le altre regioni, la corsa ai vaccini sorprende.

Il trend della malattia in Piemonte sembra stia diminuendo dal 2010 ad oggi, pertanto questa regione non consiglia la vaccinazione, cosa ne pensa?

Che bisogna seguire queste indicazioni. Io sono uno strenuo sostenitore del fatto che debba essere seguito un unico calendario vaccinale a livello nazionale perché, avendo 20 regioni, abbiamo 20 calendari vaccinali. È evidente che laddove ci siano diversità epidemiologiche come in Toscana è anche giusto ci sia la flessibilità nell’offerta. Mi sarei rallegrato se questa corsa degli italiani a vaccinarsi ci fosse stata nei confronti del vaccino per l’influenza. Quella sì che è un’epidemia diffusa, stagionale, che è arrivata in anticipo, è molto grave e provoca tante complicanze nei piccoli, negli anziani, nelle persone fragili, malate, e provoca anche tante morti che nessuno conta.

La meningite uccide più o meno della polmonite?

Sicuramente la polmonite ha una maggiore letalità, così come anche l’influenza. Noi siamo vittime di un certo strabismo, vediamo solo quello che viene messo in evidenza, che viene agli onori della cronaca, di giornali e televisione.

Le Marche, la Liguria e il Friuli sottolineano l’assenza dell’emergenza sanitaria e la copertura vaccinale altissima (90 per cento) della popolazione. L’eccessiva informazione o una scarsa informazione sono la causa di esagerazioni o della paura dilagante?

Esatto, si perde facilmente la visione globale, che nelle questioni sanitarie non va mai persa. Adesso la priorità è l’influenza e le sue complicanze, che fanno qualche migliaia di morti tutti gli anni in Italia, non qualche decina. Ancora il tasso di vaccinazione per l’influenza è troppo basso. C’è tanto scetticismo e tanta diffidenza nei confronti dei vaccini, in particolare nei confronti dei vaccini virali, come quello antinfluenzale e questo è un male.

Chi per lavoro va in Toscana, anche periodicamente, deve vaccinarsi?

Noi e l’assessorato alla Salute consigliamo il vaccino agli studenti, quelli che vanno nelle sedi universitarie della Toscana, gente di fuori che ha un rapporto professionale stabile o periodico per settimane, mesi, reiterato in questa regione, si può vaccinare per una forma di protezione. Ma chi va occasionalmente o per motivi turistici no. La Toscana è una regione sicura, visitabile, non è necessario vaccinarsi a meno che uno non preveda di andare per periodi prolungati o reiterati.

Meglio il vaccino quadrivalente oppure quello specifico monovalente?

Ai bambini il calendario vaccinale toscano offre per le prime due dosi il monovalente, adesso è più prevalente l’offerta del quadrivalente che è un vaccino coniugato, quindi rivolto contro il ceppo A, C, Y e W. Direi il quadrivalente coniugato sia quello consigliabile, al di fuori dei calendari vaccinali, se si decide di fare il vaccino.

Come si fa se qualcuno non ricorda di essere stato vaccinato da piccolo, è possibile rifare il vaccino oppure no?

Sicuramente, non è mai pericoloso. Stiamo parlando del meningococco. Ma anche in altre situazioni non è mai pericoloso. Bisogna però cambiare l’atteggiamento nei confronti dei vaccini, essere più attenti, avere la tessera sanitaria che riporti le vaccinazioni e farsi aiutare dagli uffici che le erogano, che sicuramente sono in grado di ricostruire se il canale è stato quello. Più difficile se uno lo ha fatto come iniziativa personale dal proprio medico o dal farmacista. Però rischi non se ne corrono, anzi l’offerta ultima della Regione Toscana è quella di implementare di una dose il vaccino per il meningococco C, proprio per colmare eventuali carenze nella durata della protezione che non va oltre i 5 anni.

Quindi non c’è emergenza meningite in Italia!

Direi che non c’è assolutamente, non c’è neanche in Toscana, dove si è verificata una situazione che è nota fin dall’anno scorso e che sta persistendo, che è un incremento notevole che noi definiamo un cluster epidemico, un focolaio epidemico, che però in termini numerici ha prodotto numeri contenuti, 61 casi in due anni. È molto perché il meningococco ne fa meno di 200 all’anno in tutta Italia e quindi è una quota importante di avere il 30/35 per cento dei casi documentati nel territorio, ma la Toscana sta reagendo con determinazione ed efficacia perché si è mossa per tempo.

Quindi ci si può ammalare anche col vaccino, ma chi è vaccinato guarisce prima!

Intanto ha meno probabilità di morire e non è poco, e di avere le complicanze della malattia che possono essere devastanti. Le cito solo Bebe Vio, che è un esempio per me luminoso di un gigante, una grande italiana che testimonia anche la coscienza che tutti dovrebbero avere. Una giovane che da sola ci ricorda quanto sia importante vaccinarsi per proteggere se stessi e l’intera comunità. La gente che è scettica o diffidente dovrebbe pensare a Bebe Vio.

Cosa direbbe a coloro che ritengono causa di eventuale epidemia i migranti?

Questa è un’affermazione non sostenuta da evidenze scientifiche, si può solo ipotizzare che nella gola dei migranti che arrivano da noi ci sia il meningococco e che loro siano gli untori. Sui 61 casi della Toscana solo 11 sono stati documentati in stranieri, una quota minoritaria. Poi, se andiamo a vedere il meningococco che prevale nella fascia della meningite, cioè nell’Africa subsahariana, nei Paesi che alimentano il fenomeno della migrazione, prevale un meningococco che è di ceppo W che è diverso dal ceppo C che prevale nelle nostre latitudini. Quindi è un’affermazione priva di qualunque evidenza scientifica, è un po’ frutto dell’ignoranza. Noi rivendichiamo il diritto di avere un’opinione che è sacrosanto. Un’opinione in ambito scientifico, ma anche generale, deve essere sostenuta da evidenze, a maggior ragione in questo campo.

Le dosi di vaccino disponibile sono sufficienti?

Ci sono tranquillamente. Quello che ci deve anche essere è la coscienza da parte della popolazione, che ingiustificatamente corre senza che ci sia alcuna emergenza. Pensino all’influenza.

Ed anche alla rosolia, al morbillo e alla parotite?

Certamente!

 

@vanessaseffer

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Donazione del sangue: nuova sala della Cri

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È stata inaugurata l’altro giorno la nuova sala di donazione sangue della Croce Rossa Italiana a Roma (via Ramazzini, 15), accreditata con la Regione Lazio. Nella sala ci sono quattro lettini per il prelievo, due stanze per il colloquio con i medici durante il quale ci si accerta che il donatore sia in buona salute e abbia tutti i requisiti per effettuare il prelievo, che non abbia avuto comportamenti a rischio per una donazione sicura, e poi una stanza per il ristoro post-prelievo. Tutti i venerdì, sabato e domenica la sala sarà a disposizione di chi sentirà il bisogno di farà del bene anche in questo modo. In 7/8 minuti, questo il tempo che ci vuole, gli uomini possono donare ogni tre mesi e le donne ogni sei mesi. Il sangue raccolto, in contenitori da 450 ml, viene inviato attraverso i centri trasfusionali alle industrie per gli emoderivati, la lavorazione del plasma e i farmaci e soprattutto nei reparti ematologici, spesso anche pediatrici, e nei pronto soccorso.

Ad inaugurare la sala c’erano molti rappresentanti della Cri: il presidente nazionale Francesco Rocca; la vicepresidente nazionale Maria Teresa Letta; molti volontari di Roma e provincia attivi nella promozione della cultura della donazione del sangue: molti medici dei maggiori centri trasfusionali di Roma e provincia tra cui il primario del Centro trasfusionale dell’ospedale San Camillo, professor Luca Pierelli; la delegata provinciale dell’attività donazione del sangue di Roma e provincia, Maria Rosa Solinas; Francesco Ghignoni e Nicola Lupelli dell’Area Donazione Sangue di Roma; il presidente della Cri Lazio, Adriano De Nardis. Il presidente della Cri di Roma, Flavio Ronzi, su proposta del consigliere regionale Michele Baldi ha proposto di organizzare quanto prima la raccolta allo Stadio Olimpico, certo che i giocatori di calcio, come già accaduto in passato, siano propensi a valorizzare l’importanza della donazione del sangue con il loro personale contributo.

Da gennaio a novembre 2015 la Croce Rossa di Roma ha raccolto 11.476 sacche di sangue e si prefigge di raggiungere le 13mila entro fine anno, considerando anche il Giubileo appena iniziato, aumentando così del 6 per cento la raccolta rispetto allo scorso anno e contribuendo alla necessaria scorta di sangue della Regione Lazio, dove attualmente mancano circa 35mila sacche l’anno, specie su Roma.

Attualmente la Cri raccoglie sangue anche presso aziende come: Rai, Istat, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, Banca Iccrea, Poste Italiane, Alitalia, Enasarco, Almaviva, Sky, Renault Italia, Ibm, Inassitalia, Inail, Wind, Banca San Paolo Imi, Northrop Grumman, Strade dei Parchi, Elmer, Sirgs, centri commerciali Porta di Roma e Euroma II. La raccolta viene effettuata anche presso Vigili del fuoco, Guardia di finanza, carabinieri, presso oltre 50 istituti scolastici, 65 comunità parrocchiali in collaborazione con il gruppo scout Masci, presso i centri anziani, presso istituzioni come l’ambasciata spagnola, la Camera dei deputati, il Senato della Repubblica, il ministero della Difesa e il ministero della Salute.

@vanessaseffer

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Disabili, non stupidi!

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In Italia secondo il Censis abbiamo 4,1 milioni di disabili, fra cui quelli molto gravi, intesi come malati di Alzheimer, Parkinson, Sla, terminali e tetraplegici allo stadio terminale. Fin quando questi pazienti si trovano in carrozzina non sempre hanno problemi legati al retto e alla vescica; queste problematiche subentrano talvolta nella parte finale della malattia oppure nella tetraplegia. I pazienti tetraplegici necessitano di assistenza costante, in quanto quasi totalmente non-autosufficienti negli spostamenti, nell’alimentazione, nel vestirsi e nell’espletare i bisogni fisiologici. Talvolta complicanze respiratorie rendono precaria la salute generale. La differenza su cui vogliamo soffermarci è essenzialmente economica e la fa non tanto l’assistenza, quanto il problema legato allo svuotamento del retto e della vescica in modo manuale.

Ne abbiamo voluto parlare con Valentina Valenti (nella foto), 46 anni e tetraplegica da quando ne aveva 18, a causa di una capriola mal eseguita nell’ora di educazione fisica, il secondo giorno di scuola dell’ultimo anno di liceo. Da quel momento la vita di una bella ragazza, che sfilava a Roma per i più grandi stilisti, è cambiata drasticamente. Valentina non ha mai smesso di lottare in tutti questi anni. Ha raccontato recentemente in tivù della sua situazione e di quelle persone che non hanno più l’uso delle gambe, delle mani e che non sentono nemmeno il naturale stimolo per andare in bagno. Non è oggetto di preoccupazione per i più e per la politica, ma intanto a causa dei disagi enormi e delle difficoltà economiche di queste persone, abbiamo tanti morti ogni anno.

Nel giro di poche ore il video, postato sul web, ha avuto oltre 43mila visualizzazioni e subito dopo è stato misteriosamente censurato. Per questo ha scritto al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che a breve la riceverà. “Ogni disabile come me – dice Valentina – deve essere messo in condizione di pagarsi le tre persone necessarie per una dignitosa sopravvivenza, che consentano di uscire di casa, cosa per nulla comoda, e di gestire la pulizia, l’igiene e tutte le funzioni organiche”.

I mielolesi, cioè coloro che hanno lesioni del midollo spinale, devono essere cateterizzati o svuotati manualmente ogni 4/6 ore. In Italia ci sono circa 200mila persone in questa situazione, che hanno necessità dell’evacuazione sfinterica o del catetere ad intermittenza (per la vescica) o dello svuotamento manuale rettale (per le feci), quest’ultimo sulla carta praticato dai medici chirurghi, quando invece sono gli stessi infermieri a provvedere.

“Basterebbe un decreto legge che equiparasse le due cose – continua Valentina – per far svolgere entrambe le attività agli infermieri, anche perché negli ospedali fanno tutto loro. La manovra costa 320 euro (230 euro più Iva) se il medico chirurgo fa lo svuotamento manuale rettale. Se chiami un infermiere a casa costa 50 euro ogni volta. Come si può risolvere questo problema se non hai 5mila euro al mese? Con questa somma si possono pagare tre persone messe in regola, che sono il minimo vitale garantito”.

Il vero perno del Welfare è la famiglia, sulla quale ricade tutta la responsabilità e il peso dell’assistenza e della cura della persona con disabilità. La situazione si aggrava in età adulta.

“I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie – si legge nel comunicato del Censis – con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico”.

Nel desolante panorama fin qui illustrato, non si è ancora accennato alla principale preoccupazione delle famiglie, ovvero quella per il futuro dei loro figli con disabilità, una volta che loro non potranno più prendersene cura o non ci saranno più. “Nel tempo – spiega il Censis – aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili”.

Qui interviene il disegno di legge “Dopo di noi” nella Legge di stabilità, del 17 settembre 2016: Renzi ha stanziato 180 milioni di euro per i disabili per i prossimi 3 anni: 90milioni nel 2016, 38,3 milioni nel 2017 e 56,1 milioni per il 2018. Con la Legge 81 nessuno ti porta fuori con 3 persone.

Con 180 milioni si copre solo quanto si dice nella Legge 81 per la mobilità, secondo cui in caso di malattia grave bisogna avere almeno due persone sempre, e messe in regola. I 90 milioni del primo anno coprono solamente 18mila persone disabili su 200mila a 5mila euro al mese, se i soldi vengono distribuiti con questo criterio. Prima però non c’era neanche questo.

Un consiglio per una politica seria sull’immigrazione: si spendono 3 miliardi per accogliere gli immigrati. Fra queste persone che arrivano ci saranno pure infermieri o persone che vogliono studiare per diventarlo!

“Sarebbe un’idea formarli, poi dare loro un lavoro, così se vengono in Italia per lavorare li teniamo, altrimenti nemmeno ci vengono se sanno che dovranno lavorare per restare – pensa Valentina Valenti – io sono un progetto di riforma che non è ancora stato fatto. La politica deve riconoscere che è ha fatto un tragico errore; i soldi ci sono e le cooperative i soldi li prendono. Anziché dare appalti, subappalti, e poi pagare un romeno 4 euro l’ora, si faccia tutto regolarmente sin dalla fonte, mettendo tutti in regola e i soldi ci saranno per tutto e tutti. Anche mia madre è disabile secondo l’articolo 3 comma 3 – continua Valentina – è diabetica, cardiopatica, obesa, quando si lava fa fatica, ma è autonoma nelle sue funzioni, pertanto non si può dare lo stesso tipo di invalidità. Lei ha le mani, le usa. Io ho bisogno di una persona per grattarmi, per tagliarmi le unghie, per bere e mangiare, per fare una passeggiata e soprattutto per espletare i miei bisogni organici”. Non è già semplice la vita quando riesci a non morire da giovane, pensiamo a cosa significhi vivere per Valentina e gli altri 200mila come lei. Può succedere a tutti.

@vanessaseffer

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Week-end “mortali”, l’analisi di Bertazzoni

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Tre studi degli anni Settanta di ricercatori americani, inglesi e australiani riportavano di aver osservato una maggiore mortalità dei neonati negli ospedali nei week-end. Nel 2001 altri due autori canadesi hanno dimostrato una maggiore mortalità nei week-end di persone di tutte le età rispetto alla settimana, analizzando 23 su 100 principali cause di morte. In seguito, un nuovo studio del 2010 di ricercatori inglesi ha confermato un 10 per cento di mortalità in più rispetto alla settimana e poi ancora, nel 2012, sempre in Inghilterra, venne dimostrato un 11 per cento in più di mortalità il sabato e del 16 per cento la domenica. Si è allora cercato di capire quali fossero i motivi di questi decessi e hanno trovato con un ultimo lavoro del 2016 pubblicato sulla rivista “Lancet”, in cui si è analizzato il supporto degli specialisti in 115 ospedali per acuti tra il mercoledì e la domenica, che la mortalità era aumentata del 10 per cento. I ricercatori dicono che c’è almeno un 50 per cento dell’attenzione in meno dello specialista nel week-end rispetto alla settimana. Tuttavia ci sono un po’ di limitazioni perché non tutto lo staff ha risposto alle domande e poi lo studio non considera la disponibilità di giovani dottori e infermieri.

Ma un altro lavoro sempre del 2016 ha considerato la mortalità nelle Stroke Unit (Unità di terapia neurovascolare) e ha riscontrato ancora che c’è una mortalità più alta del 26 per cento nel week-end che durante la settimana, anche se la mortalità tra l’ammissione nell’ospedale e ai 30 giorni all’interno di esso è la stessa. Ancora da quest’ultimo studio si rileva che i pazienti ammessi in ospedale durante la notte morivano di più di quelli accettati durante il giorno, probabilmente perché le linee guida seguite erano differenti che per gli altri. Mentre che per le morti per cause accidentali, quelle che avvenivano perché mandati dai medici di famiglia, la mortalità era più alta del 21 per cento. Per cui è possibile che venissero mandati in ospedale i pazienti più gravi. Allora, è la tipologia del malato o la tipologia del servizio, della qualità, il problema? Comunque sia, il problema esiste. E qualcuno deve occuparsene. In Italia il problema c’è e non se ne parla, oppure la nostra Sanità è impeccabile? Probabilmente non è stato fatto nessun tipo di studio in tal senso, nessuno se n’è preoccupato, quindi sembra che non ci siano dati a riguardo. Dobbiamo forse aspettare che siano altri a dircelo o per una volta potremmo essere noi ad accorgerci che qualcosa non va e metterci al riparo?

Aneddoti ce ne sono tanti: la qualità delle cure nel fine settimana potrebbe essere più scarsa, bisogna guardare alla tipologia del malato, allo staff e a quanto sia preparato alle emergenze, all’igiene dell’ospedale, ai posti letto, il pubblico, il privato e così via. Perché le soluzioni, indipendentemente dalle cause, siccome hanno dei costi aggiuntivi, vanno analizzate come un fenomeno politico e sociale. Bisogna sforzarsi di capirlo e indirizzare le risorse in una certa direzione. Il ministero della Salute non ha un servizio ad hoc di sorveglianza e ci vorrebbe in supporto un servizio di medicina preventiva. Abbiamo interrogato su questo il professor Giuliano Bertazzoni, direttore della Uoc di Medicina d’Urgenza del Policlinico Umberto I di Roma.

È arrivato il gran caldo e gli italiani stanno per andare tutti in vacanza. Ci dobbiamo preoccupare per ciò che può accadere nelle corsie dei nostri ospedali, soprattutto nei week-end, stando ai dati di questi ultimi studi? Non abbiamo dati nostri che possono aiutarci a capire com’è la situazione nel nostro Paese?

Partiamo da un’osservazione: causa precisa in Inghilterra i medici strutturati nei week-end sono meno presenti e lasciano l’ospedale in mano ai medici in formazione. In Italia una cosa di questo genere non succede. Possiamo parlare di disorganizzazione e sovraffollamento, in generale, possiamo pensare che nel week-end ci siano meno posti letto nei reparti che durante la settimana, nel rapporto anche al periodo dell’anno, ma sinceramente l’osservazione che nel week-end si muoia di più negli ospedali italiani non mi sembra sia vera, ecco.

Riguardo al sovraffollamento, specie nei fine settimana o nei periodi estivi, sono più le famiglie che vogliono disfarsi soprattutto dei familiari anziani che sentono come un peso in talune circostanze, oppure potrebbe esserci un problema dello staff nell’accoglienza al Pronto soccorso?

Ci sono tanti motivi per il sovraffollamento. È chiaro che una mamma non lascia il proprio bambino volentieri in ospedale e vuole portarselo via al più presto, il nipote di un nonnetto magari preferisce lasciarlo ricoverato, in linea di massima. Poi, ma questo può essere uno dei diecimila motivi che causano il sovraffollamento, noi abbiamo avuto una drastica riduzione dei posti letto nel corso degli anni, perché le leggi ce l’hanno imposto e gli ospedali hanno ridotto la loro capacità di accoglienza dei pazienti. Se ne è parlato molto quando è capitato qualche fatto di cronaca, ma non si è mai voluto risolvere il problema. Ci sarebbero più azioni da fare in diversi settori, per esempio sul territorio, potenziare gli ambulatori delle cure primarie, perché non sono organizzati secondo la richiesta di salute dei cittadini; poi c’è l’accorpamento dei reparti, un fenomeno di cui non si parla e che toglie altri posti letto. Bisognerebbe adeguare l’offerta a seconda della richiesta. Se cambia la società dovrebbe cambiare la risposta sanitaria. Avviene, ma con estrema lentezza.

Il ministero della Salute, le Regioni, non hanno un Osservatorio, una task force che si occupi di controllare delle necessità degli ospedali e del territorio. Come si possono informare delle carenze della sanità?

I nostri dati vengono sempre mandati alle Regioni e poi al ministero. Ribadisco, non ho la percezione che anche in Italia nei week-end aumenti la mortalità ospedaliera, possono esserci disorganizzazione e carenze di posti letto, ma non conseguenze sciagurate come queste. Ma potremmo anche pensare ad uno studio al riguardo!

@vanessaseffer

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Il Fontanone diventa una doccia pubblica

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Roma merita qualcosa di più, ma al momento è terra di nessuno. Gli scatti pubblicati da due fotografi su Facebook, che stanno facendo il giro del web, dichiarano questo ed altro, nonostante l’apparente leggerezza che lascerebbe indicare che le ragazze non starebbero facendo nulla di male rinfrescandosi per il caldo afoso che negli ultimi giorni si è abbattuto sulla Capitale. Ma siamo a Roma, la città-museo a cielo aperto. Questo è il Fontanone del Gianicolo, quello cantato da Venditti in Roma Capoccia, ossia del tratto finale dell’acquedotto dell’Acqua Paola che fu restaurato da Papa Paolo V fra il 1608 e il 1610.

Lì ogni sera di riuniscono migliaia di giovani, specie in questo periodo. Viene quindi subito da chiedersi se i controlli su questi beni sono sufficienti e se vengono danneggiati, anche nell’immagine come in questo caso, poi sarà la collettività a dover ripagare con le tasse e con la propria credibilità. Il Fontanone trattato come una doccia pubblica, da tre turiste che non hanno pagato neppure un centesimo di multa per questa bravata. Così per dare il buon esempio ai prossimi che verranno.

Il tema è come al solito culturale: non ci sono cittadini che si scandalizzano, ma piuttosto che fanno spallucce e che lasciano fare in barba alle regole che se ci sono non dovrebbero far sconti a nessuno. Alcuni attraverso i social hanno detto pure che l’immagine è risultata allegra e opposta a quella che grigia e cupa delle ultime settimane della città. Insomma, se si tratta di ragazze giovani e belle le regole si possono trasgredire, se vecchie e laide vorrei vedere! Quando sarà un barbone a fare il bagno nella Fontana Paola, o rievocando la Dolce Vita, nella Fontana di Trevi, la prenderemo allo stesso modo?

Se qualcuno avesse chiamato le guardie e queste le avessero portate in guardina anche per una notte, perché è l’esempio che conta, e poi avessero spedito ai loro padri una bella multa, come avrebbero fatto negli Usa dove ti condannano per un nonnulla e ti inseguono ovunque tu viva, già avremmo ottenuto un risultato per il futuro! E se le multe non le puoi pagare, o se vieni condannato a sei mesi o un anno e pensi di dartela a gambe e rientrare di nascosto nel tuo paese, ti ritrovano e (a seconda della gravità di ciò che hai fatto, se fai pipì in un parco a New York per esempio la condanna è di un anno) sconterai la pena attraverso i servizi sociali nel tuo Paese, altrimenti per cominciare, sei bandito dagli States. Ma da noi oltre alle regole c’è pure qualcuno che si fa cogliere da attacchi di buonismo. Per questo il Colosseo è stato graffiato dai turisti che scolpivano il loro nome, la Barcaccia e i bus sono stati massacrati dai tifosi olandesi e le città continuano ad essere oggetti di guerriglie urbane. Ma la nostra città non è come le altre.

@vanessaseffer

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