Lotta ai batteri, parla il professor Menichetti

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Pochi giorni fa, un incontro al ministero della Salute fra il ministro Beatrice Lorenzin, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), molti specialisti italiani e il nuovo presidente del Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica (Gisa), il professor Francesco Menichetti, già Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Pisa, ha chiarito tante ombre riguardanti il tema della meningite – che ha attirato tanta attenzione specialmente in Toscana – e degli antibiotici. Si è agganciata bene una riflessione sui vaccini e sulla proposta che il ministero ha fatto sui nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza), cioè le prestazioni che il Servizio sanitario italiano è tenuto a fornire ai cittadini, gratuitamente o con un contributo (ticket), che prevedono l’offerta gratuita di una serie di nuovi vaccini che vincolano tutte le Regioni italiane a dispensarle agli utenti che vogliono vaccinarsi. Nel gruppo dell’ampia offerta è compreso anche il vaccino contro la meningite meningococcica e dell’Hpv (Papilloma virus) nei maschi.

“Quello che sempre si spera è che non ci sia un’eccessiva discostanza fra l’offerta e la messa in pratica – ci ha spiegato il professor Menichetti – il ministero dà delle indicazioni, poi le Regioni devono realizzare la campagna vaccinale. Esiste un’evidente distonia fra le regioni del Nord e del Sud nell’amministrazione della sanità. Ci sono Regioni che hanno piani di rientro, che non hanno un assessore alla Sanità, ma un commissario che controlla le spese. Questa situazione può non semplificare. Il dottor Ranieri Guerra, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, ha parlato di questo; lui è assolutamente a favore di tutte quelle iniziative che renderanno indispensabile essere vaccinati, ad esempio l’esibizione di un certificato delle vaccinazioni per l’accesso nelle scuole di ogni ordine o grado. Le scuole pubbliche o private parificate dovranno seguire le stesse regole in tutta Italia. Non sarà più la Toscana o l’Emilia Romagna che propone una cosa del genere, mentre il Veneto ha in corso una sperimentazione diversa. Un approccio omogeneo su tutto il territorio nazionale è altamente raccomandabile e il ministero condivide questo. Se vogliamo frequentare un training in America – continua il professore – non c’è la vaccinazione obbligatoria, ma se ti vuoi presentare in un’Università o in un ospedale, ti chiedono una sfilza di vaccini. È venuta fuori con forza la necessità di combattere lo scetticismo attraverso una campagna mirata. Sembra che in Europa siamo secondi solo alla Francia per lo scetticismo nei confronti dei vaccini. Il sistema pubblico sanitario francese è il migliore di tutta Europa, ma anche il nostro è più che dignitoso. Non è mero frutto di ignoranza o inadeguatezza delle nostre strutture sanitarie, del nostro sistema. È frutto di un’azione strisciante che va avanti da tempo, di cattiva informazione di alcuni (anche medici e pediatri) che ‘hanno trovato il modo di fare bottega’ – ha aggiunto Menichetti – proponendo in alternativa diete o terapie improbabili per alcuni problemi, turlupinando l’opinione pubblica, instillando il germe del dubbio e seminando l’ignoranza, perché diffidenza e scetticismo sono frutto solo di grassa ignoranza”.

Può spiegare cos’è il programma di “Antimicrobial stewardship” nella gestione delle infezioni?

Il ministro Lorenzin e il dottor Guerra hanno detto che nel prossimo biennio saranno al centro della vigorosa iniziativa del ministero: da una parte i vaccini e dall’altra la lotta alla resistenza antimicrobica, ai microbi resistenti agli antibiotici. È di assoluto rilievo che si sia costituito un network multidisciplinare italiano che vuole contribuire per l’uso appropriato degli antibiotici.

Ma è possibile che ci sia l’avvento di nuovi antibiotici e che questo possa far dubitare della campagna?

I nuovi antibiotici sono pochi, l’offerta è molto limitata. A maggior ragione dobbiamo utilizzarli con “appropriatezza” proprio per preservarne l’efficacia. Se li utilizziamo quando non servono, questo uso diffuso di molecole fa pagare il prezzo: quello dell’emergenza dei microbi resistenti. I microbi sono organismi semplici, unicellulari, ma si adattano rapidamente ai veleni cui noi li esponiamo. Così mutano. Mutando i resistenti, tendono a sopravvivere. Così si provocano le gravi infezioni nei pazienti fragili, nei confronti delle quali il medico non ha sempre gli strumenti adeguati. Quindi un network fra tanti specialisti (l’infettivologo, l’internista, l’intensivista, il microbiologo, il farmacista, l’igienista), un gruppo di cui io sono presidente, raccoglie tutte queste competenze per proporre programmi di uso appropriato della terapia antibiotica, per mantenerne l’efficacia, per evitare il fenomeno della resistenza antimicrobica. Quindi ci muoviamo con assoluta sintonia con gli obiettivi del ministero.

In base a quali elementi si prescrive un antibiotico?

Il più delle volte: febbre = antibiotico. Se non superiamo questa “pigrizia diagnostica” e non cerchiamo di combattere la spirale dell’empirismo che fa scattare questa consecutio (febbre quindi antibiotico), non faremo passi in avanti. Bisogna combattere con un approccio clinico più accurato e attento. Questa è l’epoca dell’esamificio. Qualunque paziente, piuttosto che essere interrogato e visitato, viene sottoposto ad accertamenti, del sangue o radiologici. Bisogna tornare a fare i dottori veri, quelli che appoggiano l’orecchio sulle spalle dei pazienti, la mano sull’addome, il fonendoscopio sul cuore; visitare i pazienti accuratamente, interrogarli a fondo e poi decidere se hanno bisogno oppure no della terapia antibiotica. Abbiamo bisogno dei supporti, ma tutto deve nascere da un approccio clinico e deve essere condiviso, deve essere sentito come una necessità.

La febbre è una cosa normale?

Si può avere la febbre per l’influenza, per un’infezione grave, perché c’è un tumore, per una reazione allergica, perché si ha una malattia reumatologica; ci sono numerose e diverse cause di febbre. Non si può fare l’assioma febbre = infezione = antibiotico, perché così si abusa. L’abuso degli antibiotici è il motivo principale della perdita della loro efficacia.

Parliamo dei batteri nei reparti ospedalieri. Come si può combattere questa battaglia?

Bisogna lavarsi le mani! L’abuso degli antibiotici fa emergere i germi resistenti. Poi però questo germe si diffonde da un paziente a un altro, perché chi assiste il paziente non si lava bene le mani. Il lavaggio delle mani semplifica i programmi di “infection control”, nel passare dall’assistenza di un paziente ad un altro, e comunque si tratta di atteggiamenti comportamentali corretti da parte del personale sanitario, medico ed infermieristico. Non ci vogliono grandi macchine, grandi tecnologie, nuove diagnostiche molecolari. Bisogna solo sapersi comportare correttamente e iniziare proprio dal lavarsi le mani. In Italia l’infection control è un buco nero. Ci sono pochissime realtà ospedaliere nelle quali sono in vigore dei seri programmi di infection control che siano dotati di indicatori di risultato, cioè dei parametri di misura che facciano comprendere l’impatto del programma, se funziona o no, cosa produce.

I reparti ospedalieri più a rischio quali sono?

Quelli a più elevata intensità di cura. Perché ci sono i pazienti più gravi, più fragili, più esposti ai cateteri venosi, urinari, al ventilatore meccanico. Lì si verificano le condizioni più a rischio perché si realizzino le complicanze infettive. È anche vero che gli specialisti, gli intensivisti, sono quelli più in grado di utilizzare bene gli antimicrobici e di comportarsi in modo adeguato in termini di infection control. C’è ancora molto da fare, un lavoro culturale e su più fronti. Non si può pensare che un programma di infection control resti lettera morta nel computer di chi lo riceve. Bisogna agire di più sul campo, mettersi il camice e girare per i reparti, verificare, interloquire e confrontarsi con i colleghi. Comandare da fuori non serve a niente.

Cosa farà per prima cosa come presidente del Gisa?

Cercherò di perseguire le finalità, gli obiettivi statutari. Siccome è una società scientifica multidisciplinare, cercheremo di stabilire immediatamente relazioni con ciascun gruppo di colleghi per mettere a punto progetti, programmi di uso appropriato degli antimicrobici che siano specifici e legati all’epidemiologia delle infezioni che loro sono chiamati ad affrontare quotidianamente. Questo è un grosso sforzo ma ci proviamo, cercando di suscitare qualche interesse.

@vanessaseffer

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