Covid-19: ancora tutti in giro appassionatamente?

Share

Covid-19: ancora tutti in giro appassionatamente? A Wuhan hanno isolato tutto, vietato la circolazione di 56 milioni di persone in pochissimo tempo, in un battito di ciglia. Noi siamo 60 milioni in tutto il Bel paese. Qualcuno direbbe subito che lì c’è la dittatura. Io adesso preferisco pensare che talvolta ci può essere un rapporto di collaborazione fra la popolazione e chi ha il polso della situazione e non capisce niente di medicina, come di politica, e invece pensa di poter fare come gli pare e dire di tutto, parlare di tutto senza avere nozioni di scienza, senza studiare, solo per sentito dire o per entità divina.

Da noi sembra non esserci una cultura sufficiente per poter applicare a tutti gli effetti certi schemi democratici, dato che se il tuo governo dice di stare a casa per causa forza maggiore non ci stai e te ne freghi bellamente. Ti piaccia o no, di destra o di sinistra, manca la decenza e il rispetto per l’autorità, quello che ti insegnano quando sei piccolo, quando ti dicono di stare fermo seduto a tavola e non ci si alza fino a quando non hanno finito tutti di mangiare e saranno papà o mamma a darti il permesso di andare. Il permesso, che non è dittatura, ma buona educazione e direi addirittura un concetto più ampio di libertà. Perché se pensi che la tua libertà sia quella di poter fare ciò che vuoi, danneggiando, inquinando, rovinando la salute degli altri e dunque limitando l’altrui libertà, la tua è ignoranza e stupidità.

Punire a questo punto è l’unica opportunità possibile, limitare la libertà, far pagare un prezzo. Così, che differenza c’è fra quello che avremmo potuto essere e quello che diventiamo dopo? La differenza sono i morti, il tempo sprecato, la rabbia. Il dover ricominciare tutto per degli stolti e degli ignoranti. Fermiamoli prima.

@vanessaseffer

Share

Coronavirus: non dobbiamo stare “vicini vicini”

Share

“Salva una vita e sei un eroe, salva cento vite e sei un medico o un infermiere”.

Il Paese si ferma, ma non può permettersi di farlo totalmente. Il 90 per cento del paese produttivo si immobilizza, ma il 10 per cento che continua a muoversi lo fa per sostenere l’altro 90 che non può e soprattutto non deve. Come la filiera dell’agroalimentare, chi coltiva, mette nelle cassette, nelle buste e trasporta fino ai nostri supermercati la nostra frutta, la verdura, le carni, le uova e quanto necessita per la nostra sopravvivenza, anche per tutta quella filiera che porta strumenti alla medicina, agli ospedali, che decisamente non può fermarsi. I medici, gli infermieri, il personale sociosanitario, che non conoscono la differenza fra il giorno e la notte, fanno turni di due o tre giorni consecutivi, a volte con pochi minuti di riposo. Non hanno mai pensato di fermarsi, non è nel loro Dna.

Gli italiani hanno finalmente capito l’importanza di fermarsi, si sentono parte di un progetto comune di rinascita, nonostante la preoccupazione reale di un tracollo economico per il Paese, della difficoltà che avrà nel rialzarsi. Insieme ce la faremo, questo è il mantra, però è più importante superare sta nuttata. Se restiamo a casa ci proteggiamo noi ma proteggiamo gli altri, ci sentiamo altruisti. Non intasiamo gli ospedali, le strade, evitiamo di contagiarci ulteriormente e di protrarre e allargare le dimensioni del contagio di questa influenza modificata. La catena di solidarietà ci unisce tutti per una volta, non ha un dialetto, una distinzione climatica, vede le montagne, i laghi e il mare, ha sapore di pastiera, di bagna càuda, di caponata e canederli. Adesso vengono prodotte e distribuite decine di milioni di mascherine, non eravamo abituati a vedere questi presidi medici se non in certi settori della medicina, come la chirurgia, l’oncologia, oppure dell’industria alimentare, perché non erano necessari. Non avevamo bisogno di tante terapie intensive, invece oggi si, e abbiamo dovuto imparare a far fronte a necessità improvvisando strutture e ospedali da campo e reclutando medici appena laureati e infermieri appena formati.

In Italia abbiamo definito meccanismi di contrasto al contagio prima di altri Paesi che sono decisamente indietro, che continuano ancora oggi a non prendere sul serio la situazione. Abbiamo inventato un modello che potremmo esportare per quanto sia stato organizzato bene grazie ai nostri medici. Abbiamo fiducia nei nostri scienziati e nei nostri medici e infermieri, e i cittadini stessi, gli italiani da nord a sud, stanno dando una grossa mano rimanendo a casa. Però c’è anche chi non può farlo perché non ha una casa, come i 50mila italiani senzatetto, secondo l’ultimo rapporto Istat, che non sanno dove andare, perché pure i centri di accoglienza sono chiusi, le mense fanno mezzo servizio e c’è un altro allarme sottolineato da alcune Onlus che hanno comunicato il problema lanciando la campagna parallela a #iorestoacasa con l’hashtag #vorreistareacasa. Poi abbiamo #italiachiamò che è invece l’hashtag al quale stanno aderendo tutti i cittadini responsabili e grazie all’aiuto di tutti, al supporto di ciascuno di noi ce la faremo!

Nel frattempo, mentre c’è chi lavora da casa perché ce l’ha, chi studia, chi dà esami e si laurea via web, chi cucina senza sosta e chi riordina gli armadi pur di fare qualcosa, riscopriamo anche il piacere e la dignità del tempo libero, magari del silenzio. Compriamoci via web un bel libro, per esempio l’Elogio dell’Otium di Anselm Grün. Otium vuol dire essere capaci di fare silenzio, che è una attitudine tanto bella, quanto rara, elegante, raffinata, non è effettivamente una predisposizione di tutti. Poi in questo periodo c’è un eccesso di esperti in medicina, di dispensatori di consigli di ogni genere, di valenti competenti di virus e ovviamente ferrati provetti di politica. Invece abbiamo ricevuto un dono, assaporiamolo, impossessiamoci del piacere che ci da la possibilità dell’attesa, forse anche con i nostri cari e di contemplare un po di sano Otium.

@vanessaseffer

Continua a leggere

Share

Cisl Medici Lazio: coronavirus è emergenza anche per operatori sanitari

Share

 

La richiesta all’Assessore alla Sanità della Regione Lazio della Cisl Medici per scongiurare inutili rischi di contagio al personale medico ed infermieristico

 

Un momento di grave emergenza anche per la Regione Lazio quello determinato dal propagarsi del Covid-19, per il quale le istituzioni devono oltremodo vigilare anche a tutela di chi, con grande abnegazione, svolge la propria professione sanitaria. Infatti senza le opportune misure di prevenzione chi curerà i malati se il personale sanitario non fosse protetto adeguatamente?

“Allo scopo di limitare il rischio di possibile contagio tra paziente ed operatori sanitari e personale amministrativo di front office, la Cisl Medici Lazio chiede all’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, dott. Alessio D’Amato,  di valutare la possibilità di sospendere temporaneamente le prestazioni ambulatoriali specialistiche ritenute non urgenti sia a livello ospedaliero che territoriale”.

Così in un comunicato Luciano Cifaldi, segretario generale della Cisl Medici Lazio e Benedetto Magliozzi, segretario generale della Cisl Medici Roma Capitale/Rieti.

“La non ubiquitaria presenza di adeguate zone filtro e la aumentata esigenza di garantire le adeguate forniture di DPI agli operatori potrebbe suggerire di valutare anche la possibilità di non consentire altresì l’ingresso in ospedale fino ad almeno 30 minuti prima dell’orario di appuntamento per la prestazione e ciò allo scopo di ridurre i contatti fonte di potenziale contagio evitando promiscui affollamenti nelle sale di attesa di persone che seppure asintomatiche potrebbero essere in fase di incubazione.

Se ha un senso sospendere le attività scolastiche, congressuali, ludiche, dei cinema e dei teatri allora potrebbe avere un senso valutare la possibilità di rinviare le visite ambulatoriali differibili evitando di mantenere le persone a stretto contatto in ambienti spesso angusti.

Tutto ciò premesso continueremo a svolgere in pieno la nostra attività lavorativa” concludono i due sindacalisti della Cisl Medici.

@vanessaseffer

Da DailyCases

Share

Mascherine: il decreto Gualtieri è peggiore della bozza

Share

 

Mascherine: il decreto Gualtieri è peggiore della bozza

Questa storia delle mascherine la chiarisce bene il professor Walter Ricciardi, componente del comitato esecutivo dell’ Oms, in più interviste, dicendo come e perché vanno usate e chi dovrebbe proteggersi, facendo una distinzione molto precisa fra queste a seconda dell’esigenza reale. Interessante la differenza fra le classi FFP2 ed FFP3, dove FF sta per “facciale filtrante”. Così scopriamo che P2 filtra al 92% e P3 filtra al 98%.

Questi dispositivi di protezione non vanno utilizzati in assenza di sintomi di malattie respiratorie. Invece i magazzini dei grandi distributori sono vuoti a causa di chi ne ha fatto incetta e non ne aveva davvero bisogno. Chi ne fa le spese sono certamente i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, perennemente a contatto con l’utenza che arriva in ospedale e senza questi coadiuvanti a norma, il rischio di contagio è elevatissimo.

Chi ci curerà se si ammalano i nostri sanitari? Quanti di loro hanno contratto il coronavirus? Temendo la crisi economica ecco che la si butta in caciara. Dapprima emergenza zero, poi emergenza mite e poi emergenza rossa. Abbiamo dato il triage all’intero paese. Il governo ha subito giustamente parlato di precauzioni, di lavarsi bene le mani e quindi di mascherine, purché avessero il marchio CE, ma allora era solo una bozza del Decreto. Adesso arriva il Decreto sul quale è scritto che si possono indossare mascherine anche senza il marchio CE.

Siamo un po confusi. Sarebbe come dire che possiamo comprare i giocattoli per i bambini, le stoviglie, i cosmetici, ogni cosa senza quel marchio, tanto improvvisamente non fanno più male alla salute. Se la mascherina senza marchio CE in tempo di coronavirus non è così fondamentale, allora varra’ presto per tutto il resto. Brutto precedente, che peserà sulla salute di tutti noi.

Non crediamo che basti un Decreto ministeriale per abbassare l’asticella dei rischi di contagio. Fino a ieri terrorismo mediatico e oggi per proteggersi bastano i fazzolettini da naso profumati?

Se un medico o un infermiere che ha usato una mascherina non a norma CE si dovesse ammalare e poi morisse, cosa succederebbe dopo? Come minimo i familiari si rivolgerebbero alla Corte di Strasburgo. Non é un caso che il Consiglio dell’UE ha istituito il marchio nel 1993, a tutela della salute, cui l’Italia ha aderito.

Un passaggio di Safety di Assosistema, che rappresenta in Confindustria il settore di produzione e distribuzione di questi dispositivi di protezione individuali (DPI) e collettivi, riporta: “Quando è necessaria la protezione del personale sanitario si deve utilizzare un DPI ed indossarlo correttamente, avendo cura di seguire le istruzioni del fabbricante e verificando la tenuta della maschera al volto dell’operatore. Questo è fondamentale per garantire la protezione, dato che anche il dispositivo più sofisticato indossato in maniera non corretta, non serve a nulla”.

Abbiamo già assistito, in un vortice di confusione iniziale, a quanto era stato detto a proposito della situazione in Lombardia: “una gestione di una struttura ospedaliera non del tutto propria secondo i protocolli prudenti che si raccomandano in questi casi, e questo ha contribuito alla diffusione”. Poi il premier Conte ha fatto marcia indietro, ha capito che nei confronti della categoria dei medici era andato giù pesante.

Se noi abbiamo conoscenza di un certo numero di italiani che hanno contratto il virus è certamente perchè abbiamo disposto gli strumenti per fare i tamponi, dispiegato forze mediche ed infermieristiche che hanno effettuato i controlli a tappeto e quindi sono stati trovati e curati, perchè ricordiamolo sempre, che di coronavirus, come dicono i virologi, si può guarire. I medici italiani stanno facendo un lavoro che in nessun altro Paese al mondo stanno facendo. Ecco perchè negli altri Paesi evidentemente non hanno il numero di casi che abbiamo noi. Piuttosto meglio per noi non andare in Paesi dove non hanno troppi casi, perchè evidentemente non fanno abbastanza tamponi e non fanno controlli a sufficienza, come da noi. Il nostro Paese controlla i suoi cittadini, perchè è un Paese che tiene alla buona salute degli italiani. Negli USA il Covid-19 non c’è oppure gli americani non possono pagare migliaia di dollari per i tamponi, per le cure successive e per i trasporti in ambulanza, quindi non conosciamo i numeri degli infettati perchè tutto costa tantissimo con e senza assicurazione, non come da noi che abbiamo un Sistema Sanitario universale, cioè gratuito, per tutti.

Il problema che abbiamo in Italia riguarda la comunicazione e l’immagine quindi che forniamo di noi all’estero. La nostra comunicazione è sbagliata, il ministero degli esteri probabilmente non investe come dovrebbe su questo, forse non spende bene i soldi che ha a disposizione, poiché sta dando di noi un’immagine da lazzaretto, disgraziata, quando si potrebbe spiegare che i nostri medici stanno facendo di tutto per tutelare la salute dei cittadini, salvando centinaia di vite, ogni giorno.

Non è passata nemmeno chiaramente l’immagine di quel Comandante della nave a Yokohama, ultimo a scendere dopo tutti i passeggeri, l’anti-Schettino, un grande orgoglio per tutti noi, per l’Italia. Anche lì, un silenzio tombale. Abbiamo veri eroi nel nostro Paese, che tutti i giorni lavorano in silenzio, rischiando e vanno rispettati per questo. Vedono passare ministri, Presidenti del Consiglio, governi. Loro sono sempre li fino al pensionamento. Sono i nostri operatori della sanità, i nostri medici, i nostri infermieri e i nostri operatori socio-sanitari.

@vanessaseffer

Da L’Opinione

 

Share

Diagnosi coronavirus, Renelli (Cisl Medici Lazio): «Facciamo come in caso di dolore toracico, che è infarto fino a prova contraria»

Share

Il Segretario Cisl Medici dell’Azienda ASL Roma 2 denuncia confusione e pressappochismo nella gestione iniziale dell’emergenza: «Nessuno è sicuro di cosa bisogna fare»

 

Quella dell’emergenza coronavirus è una situazione che ha colto di sorpresa tutto il Paese. Eppure, in poco tempo, l’impegno incessante dei medici e del personale sanitario ha consentito di gestirla e contenerla al meglio. I primi giorni della corsa all’organizzazione per far fronte all’emergenza, tuttavia, sono stati caratterizzati da alcune note stonate. Come quelle che si sono registrate all’azienda ospedaliera Sant’Eugenio di Roma, come ci spiega il dottor Ermenegildo Renelli, Segretario Cisl Medici dell’Azienda ASL Roma 2.

Dottor Renelli, quali sono le criticità che ha riscontrato in merito ai percorsi dei pazienti negli ospedali?

«Al mio ospedale, il Sant’Eugenio di Roma, ho visto molto pressappochismo in tutte le fasi, dall’ingresso del paziente fino al suo isolamento. Ma sinceramente credo che questo sia dovuto al fatto che questa emergenza ci abbia trovati tutti un po’ impreparati, sia la Direzione che noi dirigenti medici, che magari affrontiamo il paziente che viene al triage in maniera molto superficiale, e questo è sbagliato. Dobbiamo fare come si fa di solito col dolore toracico, che è un infarto fino a prova contraria. Dobbiamo pensare che il paziente con tosse e febbre sia un caso positivo al coronavirus e smentire questa ipotesi solo dopo le analisi».

Questa confusione ha caratterizzato solo una fase iniziale?

«Sicuramente ha colto di sorpresa tutti e nessuno è sicuro di quello che va fatto. C’è chi dice una cosa e chi ne dice un’altra, chi dice che il virus è meno letale dell’influenza, chi dice che bisogna stare più attenti. C’è una confusione dovuta al fatto che siamo di fronte ad una malattia nuova e quando c’è una malattia nuova non si sa bene come ci si deve comportare».

Cambiando discorso, come fa a conciliare la sua attività chirurgica a quella di sindacalista in una realtà aziendale con tanti iscritti al suo sindacato?

«Diciamo che è difficile. Però come tutte le cose che si fanno con passione si riesce a ovviare in maniera tranquilla. Di lavoro ce n’è tanto, perché come ha detto lei gli iscritti sono molti. Quando si esce dalle guardie si dedica più tempo a tutti i problemi che ci sono fra i vari dirigenti di tutte le unità operative. Però una cosa che mi piace è che il lavoro paga sempre, non andiamo mai a cercare gli iscritti, i dirigenti vengono da noi perché sanno come lavoriamo. Insieme a me c’è anche il dottor Magliozzi che mi dà una grossa mano, e quindi fare il lavoro insieme, andare d’accordo da quasi vent’anni è la carta vincente del nostro sindacato».

Anche se non è il caso di generalizzare, che grado di conflittualità c’è tra i dirigenti medici e i direttori di struttura complessa?

«In linea di massima andiamo d’accordo con tutti i direttori di struttura complessa, ma andiamo d’accordo soprattutto quando loro si rivolgono ai loro dirigenti e afferenti alle loro UOC trattandoli come collaboratori. Quando poi fanno cose che non devono fare cominciano i problemi. Però in linea di massima non c’è nessun problema. Tanti direttori di UOC sono molto collaborativi, sono anche capaci di riconoscere quando sbagliano, perché può capitare a tutti di sbagliare, anche a loro. Con la Direzione generale ugualmente, non ci sono grossi problemi, anche se quando vedono le mie lettere, di solito, si mettono le mani nei capelli, tutto qui».

@vanessaseffer

Da sanità Informazione

Share