“Salva una vita e sei un eroe, salva cento vite e sei un medico o un infermiere”.
Il Paese si ferma, ma non può permettersi di farlo totalmente. Il 90 per cento del paese produttivo si immobilizza, ma il 10 per cento che continua a muoversi lo fa per sostenere l’altro 90 che non può e soprattutto non deve. Come la filiera dell’agroalimentare, chi coltiva, mette nelle cassette, nelle buste e trasporta fino ai nostri supermercati la nostra frutta, la verdura, le carni, le uova e quanto necessita per la nostra sopravvivenza, anche per tutta quella filiera che porta strumenti alla medicina, agli ospedali, che decisamente non può fermarsi. I medici, gli infermieri, il personale sociosanitario, che non conoscono la differenza fra il giorno e la notte, fanno turni di due o tre giorni consecutivi, a volte con pochi minuti di riposo. Non hanno mai pensato di fermarsi, non è nel loro Dna.
Gli italiani hanno finalmente capito l’importanza di fermarsi, si sentono parte di un progetto comune di rinascita, nonostante la preoccupazione reale di un tracollo economico per il Paese, della difficoltà che avrà nel rialzarsi. Insieme ce la faremo, questo è il mantra, però è più importante superare sta nuttata. Se restiamo a casa ci proteggiamo noi ma proteggiamo gli altri, ci sentiamo altruisti. Non intasiamo gli ospedali, le strade, evitiamo di contagiarci ulteriormente e di protrarre e allargare le dimensioni del contagio di questa influenza modificata. La catena di solidarietà ci unisce tutti per una volta, non ha un dialetto, una distinzione climatica, vede le montagne, i laghi e il mare, ha sapore di pastiera, di bagna càuda, di caponata e canederli. Adesso vengono prodotte e distribuite decine di milioni di mascherine, non eravamo abituati a vedere questi presidi medici se non in certi settori della medicina, come la chirurgia, l’oncologia, oppure dell’industria alimentare, perché non erano necessari. Non avevamo bisogno di tante terapie intensive, invece oggi si, e abbiamo dovuto imparare a far fronte a necessità improvvisando strutture e ospedali da campo e reclutando medici appena laureati e infermieri appena formati.
In Italia abbiamo definito meccanismi di contrasto al contagio prima di altri Paesi che sono decisamente indietro, che continuano ancora oggi a non prendere sul serio la situazione. Abbiamo inventato un modello che potremmo esportare per quanto sia stato organizzato bene grazie ai nostri medici. Abbiamo fiducia nei nostri scienziati e nei nostri medici e infermieri, e i cittadini stessi, gli italiani da nord a sud, stanno dando una grossa mano rimanendo a casa. Però c’è anche chi non può farlo perché non ha una casa, come i 50mila italiani senzatetto, secondo l’ultimo rapporto Istat, che non sanno dove andare, perché pure i centri di accoglienza sono chiusi, le mense fanno mezzo servizio e c’è un altro allarme sottolineato da alcune Onlus che hanno comunicato il problema lanciando la campagna parallela a #iorestoacasa con l’hashtag #vorreistareacasa. Poi abbiamo #italiachiamò che è invece l’hashtag al quale stanno aderendo tutti i cittadini responsabili e grazie all’aiuto di tutti, al supporto di ciascuno di noi ce la faremo!
Nel frattempo, mentre c’è chi lavora da casa perché ce l’ha, chi studia, chi dà esami e si laurea via web, chi cucina senza sosta e chi riordina gli armadi pur di fare qualcosa, riscopriamo anche il piacere e la dignità del tempo libero, magari del silenzio. Compriamoci via web un bel libro, per esempio l’Elogio dell’Otium di Anselm Grün. Otium vuol dire essere capaci di fare silenzio, che è una attitudine tanto bella, quanto rara, elegante, raffinata, non è effettivamente una predisposizione di tutti. Poi in questo periodo c’è un eccesso di esperti in medicina, di dispensatori di consigli di ogni genere, di valenti competenti di virus e ovviamente ferrati provetti di politica. Invece abbiamo ricevuto un dono, assaporiamolo, impossessiamoci del piacere che ci da la possibilità dell’attesa, forse anche con i nostri cari e di contemplare un po di sano Otium.
@vanessaseffer