Così cantava Gigliola Cinquetti nel 1970. Più di cento anni prima, nel marzo 1861, tale Camillo Benso Conte di Cavour, che certo non frequentava il Festival di Sanremo, nel discorso al Parlamento con cui appoggiò l’ordine del giorno che acclamava Roma capitale d’Italia, pronunciò la famosa frase “Libera Chiesa in libero Stato”.
A voler dare ascolto a quanto si percepisce in questi giorni relativamente ad uno strano asse tra i più alti vertici dello Stato che già fu pontificio ed il movimento degli “uno vale uno”, qualcuno potrebbe pensare che sia il caso di riprendere a dire con rinnovato vigore “Libera lo Stato dalla Chiesa”.
Io non credo, non voglio credere che il buon Tafazzi, il noto personaggio televisivo vestito con la tuta nera, autolesionista al punto da darsi bottigliate lì dove non batte il sole e sono custoditi i tesori della genetica riproduttiva, abbia preso armi e bagagli e si sia trasferito oltre Tevere permeando di sé e del proprio modus operandi il pensiero, le parole, le opere e le omissioni dei più alti vertici ecclesiali.
Sia ben chiaro, e lo scrivo a scanso di equivoci, la vostra cronista non soffre di laicismo, ateismo, agnosticismo, anticlericalismo, tardo illuminismo, comunismo e mi cominciano a mancare le desinenze ma il concetto credo sia più che chiaro. Quindi eviterò di riportare alla memoria argomentazioni su cui si è già ampiamente dissertato. Accuse di pedofilia: lette. Accuse di abusi sessuali: letti, inteso come verbo e non come giaciglio. Scomparse misteriose: lette. Giravolte finanziarie: lette. Ristrutturazioni immobiliari per ministri in toga rossa: lette. Giordano Bruno: bruciato. Ma all’epoca non c’erano le rilevazioni sulla tossicità dei fumi, né le agenzie regionali per la protezione dei danni ambientali e né i dipartimenti di prevenzione. Credo anzi che il 17 febbraio del 1600, data fissata nella calda memoria di Campo de’ Fiori, le Aziende sanitarie locali non fossero state ancora neanche teorizzate e infatti le liste di attesa per i candidati al rogo non erano lunghe né erano oggetto di battaglia politica e di mancata uscita dal commissariamento della sanità. Fino a quel giorno di febbraio il nostro ardente filosofo portava avanti la sua intuizione della originaria unità e infinità del tutto, in cui l’Uno che è Dio, infinito in un solo atto, si riverbera e moltiplica in infinite modalità di esistenza attraverso un processo immanente alla stessa natura divina.
Pertanto, sempre a detta dell’infiammabile, ovunque è visibile Dio e la religione consiste nel riconoscere Dio ovunque. Ma se Dio è ovunque, sappiamo che i Pooh ci hanno suonato almeno due volte. Se è ovunque allora è una concezione tipica dell’animismo secondo cui ogni fenomeno dell’universo è dotato di anima e vive una propria vita, anch’essa creduta divina e degna di culto. Si dirà: ma l’animismo è cosa quasi preistorica! E perché secondo voi non è un ritorno alla preistoria anche solo ipotizzare la chiusura dei grossi centri commerciali e degli ipermercati il giorno di domenica? Che poi il giorno domenicale è proprio quello in cui Qualcuno si riposò, è vero, ma certamente non chiese ai nostri politici con le cinque stelle di contribuire a tagliare un centinaio di migliaia di posti di lavoro a causa della stimata perdita dell’importante e vitale fatturato prodotto nel giorno che fu di Pippo Baudo e di Novantesimo minuto. È un tentativo di captatio benevolentiae da parte di Giggino? È un calcolo elettorale per ingraziarsi il voto dei cattolici? E siamo certi che tra i centomila – esagerata – ottantamila – esagerata – che perderanno il lavoro tra occupati diretti ed indotto non ci sono cattolici che perderanno il sostentamento dei figli, la propria dignità umana, la voglia di andare in chiesa e forse anche la fede? Sì, la fede, quella spirituale e magari anche quella che si portava all’anulare prima di portarla al compra oro e rivenderla a 36 euro al grammo, prezzo aggiornato ma soggetto ad oscillazioni brusche come i recentissimi dati elettorali.
Voglio continuare ad andare anche la domenica negli ipermercati, girare all’infinito alla ricerca del quasi introvabile parcheggio e poi, sfinita e sfiduciata, andarmene al negozietto aperto proprio per cercare di resistere alla crisi economica. E poi dire “mai più di domenica al centro commerciale”. Ma voglio essere io a dirlo, in autonomia, gestendo al meglio il mio tempo. Non ho mai sentito dire che le case del Signore devono essere aperte solo di domenica nel giorno a Lui consacrato.
Ceteris paribus, niente paura per chi non ricorda il latino c’è internet, vorrei non iscrivermi d’ufficio tra quanti ritengono che sia ormai giunta l’ora di liberare la Chiesa dalla sovrastruttura istituzionale. In effetti l’iscrizione potrebbe non servire: andando avanti di questo passo i supermercati saranno chiusi nella sera del dì di festa, chiedendo un prestito a Leopardi, ma anche le Chiese rischieranno di essere vuote come le pance dei nuovi disoccupati. Andiamo in pace e mettiamoci il cuore in pace: vincerà Tafazzi.
@vanessaseffer