Rocco Buttiglione di qua e di là del Tevere

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Rocco Buttiglione di qua e di là del Tevere“Nostalgia canaglia”, per dirla come un autore caro agli italiani almeno quanto la Democrazia cristiana. Un sentimento che impedisce a tanti ancora di immaginare un futuro, rimanendo ancorati ad un passato che di fatto non tornerà più, impedendo anche al Paese e ai suoi abitanti più giovani, i pochi rimasti, di crescere e di emanciparsi, rischiando di sognare un contentino mensile che piuttosto che essere “una misura di politica attiva del lavoro di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale”, potrebbe facilmente diventare un incentivo a restare perennemente col pigiama sul divano di casa e una Playstation in mano.

Ne parliamo con Rocco Buttiglione, filosofo, politologo e docente universitario. È stato segretario del Partito popolare italiano (Ppi) nel 1994, e fondatore nel 1995 dei Cristiano democratici uniti (Cdu). Deputato dal 1994 al 2018, parlamentare europeo (1999), due volte ministro (2001-2006) degli Affari europei e della Cultura. Poi, vicepresidente della Camera, dal 2008 al 2013. Ha sempre difeso la dottrina cattolica e fra le sue pubblicazioni, i suoi numerosi articoli, i molteplici inviti a fare relazioni e seminari nelle più prestigiose università d’Europa e del mondo, ha contribuito con il suo interesse per la cultura polacca, a farci conoscere la filosofia di Karol Wojtyla, pubblicando due libri, il secondo dei quali sull’uomo e il lavoro, alla base dell’Enciclica papale “Laborem exercens”.

Professore, qual è il pensiero sturziano che si può associare alla fine della Democrazia cristiana?

Ho tenuto una relazione ad un convegno organizzato dall’onorevole Rotondi sul primo centenario della fondazione del Partito popolare. C’erano circa 500 democratici cristiani in sala, e io ho detto che per capire Sturzo bisogna applicare un metodo di lettura sintomale. Si tratta di un metodo che legge non quello che c’è scritto ma quello che non c’è scritto. Si legge un testo e ci si aspetta di trovare alcune cose ma invece non ci sono. Immaginiamo di dire l’Ave Maria e manca il Santa Maria. Questo è più significativo che il resto. Cosa c’è quindi che manca in Sturzo? Tutti i cattolici della sua epoca dicevano che bisognava riparare al grave torto fatto al Papa con la distruzione dello Stato Pontificio. Non era possibile fare nulla. Il mondo sarebbe rimasto fermo fin quando non si riparava a questa terribile ingiustizia. Se guardiamo Sturzo, la cosa più importante è che questo lui non lo dice. Esce dal buco in cui stavano tutti i cattolici italiani, apre gli occhi e comincia a parlare dell’Italia, dei problemi che ha il Paese, pur da un punto di vista cattolico. Ma non si fossilizza sulla storia dello Stato Pontificio. Lo Stato Pontificio è finito, a torto o a ragione, perché la Provvidenza ha deciso così.

E non esistendo più non ne parla. Sturzo era avanti a tutti per il suo tempo.

Sì. E anche adesso bisogna andare avanti. Perché fin quando si continuerà a discutere sulla grave ingiustizia che ha subìto la Democrazia cristiana, sul complotto per causa del quale la Dc è finita, non andremo avanti. Sono tutte questioni importantissime di cui si devono occupare gli storici. I politici si devono occupare del Paese. Se mai in Italia risorgerà qualche cosa legato ai valori della Democrazia cristiana, nascerà quando qualcuno comincerà a guardare da quel punto di vista, non la storia passata ma la storia presente, la storia dell’Italia. Non so quanto questo messaggio sia passato, però ne sono convinto.

I politici oggi come si formano, chi li forma? Come possono giovani menti avviarsi alla responsabilità civica e aspirare all’attività politica?

È una bella domanda. Io ho l’impressione che giovani ambiziosi inizino a fare politica immaginando di poter accaparrare per sé un frammento di potere. Sono espressione di gruppi familiari nella provincia italiana, ma anche in alcune grandi città sono espressione di gruppi d’interesse. Ma non esiste una classe dirigente animata da una visione del futuro del Paese da una prospettiva di bene per l’Italia. I grandi luoghi di formazione ideali son venuti meno. Erano i partiti. La Democrazia cristiana e il Partito comunista facevano in modo che tanti giovani animati dalla volontà di costruire un futuro migliore cominciassero a fare politica. Con idee sbagliate, talvolta, però non soltanto per il potere e il denaro. Oggi la mia impressione è che il personale politico venga reclutato un po’ a caso, ma che la motivazione fondamentale sia il denaro e il potere. Machiavelli, che era un grande, era un po’ un birbante ma la politica la capiva, nel “Dell’arte della guerra” forse il suo vero capolavoro, fa parlare il Principe Fabrizio Colonna, grande condottiero della sua epoca, che comincia col dire che “la cosa più importante è il reclutamento. Se io potessi avere un esercito fatto di cittadini che sono lì perché costretti da una preoccupazione per il bene comune, potrei fare un certo tipo di cose. Cosa volete che faccia con eserciti fatti di mercenari, ladri, assassini, vagabondi, gente che esercita il mestiere delle armi soltanto perché attratta dalla possibilità di fare rapine”. Ecco, noi abbiamo il problema del reclutamento. Dove si recluta il personale della politica. Chi è che forma? Una volta la Chiesa formava l’élite politica della Democrazia cristiana. Con la Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), con Papa Montini e Igino Righetti, si ebbe la migliore élite cattolica italiana. Da lì sono venuti fuori Andreotti, Moro e tanti altri. Oggi i cattolici non hanno luoghi di formazione. O hanno paura della politica o fanno corsi di formazione politica che poi alla fine non lo sono, perché la politica si impara facendola. Il vero luogo di formazione è il partito. I partiti non ci sono più, forse hanno meritato di morire perché erano corrotti. Però senza partiti la democrazia non può funzionare e non c’è il luogo di formazione alla politica.

Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco I. Come sono stati e come sono cambiati i nostri politici durante questi tre papati?

Questi tre papati hanno un elemento in comune: sono tutti papati che hanno avuto una fortissima dimensione mondiale e l’Italia ha smesso di essere il centro del mondo.

Perché nessuno di loro è italiano?

Certo. E tutti e tre hanno una visione mondiale e non pensano che l’Italia sia l’ombelico del mondo e nemmeno della Chiesa cattolica. Tenga presente che oggi forse il 40 per cento dei cattolici vive in America Latina, in Europa e Stati Uniti. Forse un   terzo vive in Africa, un sesto in Asia. Mentre in Africa e in Asia stiamo crescendo con ritmi straordinari, in Europa no. E l’Europa diventa sempre più piccola nel mondo. Allora è normale che la Chiesa debba essere più cattolica secondo la dimensione della totalità.

Professore, vuol dire che il cattolicesimo è una religione che appartiene ai poveri?

Anche. Perché certamente noi parliamo dei poveri. Non Ratzinger, ma Wojtyla e Bergoglio vengono da Paesi poveri. Hanno vissuto l’umiliazione della povertà dell’oppressione, tutte le cose terribili che la povertà porta con sé, delinquenza, fame, guerra civile, e portano dentro di sé questo tipo di sensibilità. Paolo VI fece una cosa straordinaria: lui che veniva da un mondo ricco, chiese di convertire la Chiesa ai poveri. Però lui rimaneva uno di noi, i suoi successori no. Wojtyla era espressione di un’altra povertà, diversa da quella del mondo occidentale. Peggiore, ma comunque diversa. Bergoglio è l’espressione della povertà del mondo occidentale. Ci guarda con gli occhi con cui ci guardano quelli dei Paesi più poveri e che noi non vogliamo vedere.

Papa Bergoglio ha detto che dobbiamo accogliere tutti perché è bene aprirsi agli altri. Quando lo ha detto c’era un governo di sinistra che ha accolto di buon grado le sue parole e da lì sembra essere partito un flusso di accoglienza infinito e inarrestabile, in nome di questo bene e che forse in suo nome ne ha approfittato.

Davvero? Io ho l’impressione che il messaggio del Papa sia stato deformato. Francesco ha anche detto che bisogna accogliere quelli che si è in grado di integrare. Ha detto anche un’altra cosa: se volete contenere l’immigrazione dovete dare forza al diritto di non emigrare. Il diritto di non emigrare è qualcosa a cui dai forza se tu sostieni con energia lo sviluppo, la formazione di posti di lavoro nei Paesi d’origine dell’emigrazione. Per la verità questo lo aveva detto anche Giovanni Paolo II. Questo era il tema del mio programma come vicepresidente della Commissione europea. Poi, al Parlamento europeo non gliene fregava niente di questo e si interessavano invece delle opinioni private sulla moralità o immoralità dell’omosessualità e di immigrazione non si parlò più. Tu non puoi avere una politica dell’immigrazione ragionevole da sola. Cosa fai li ammazzi tutti? Li fai venire tutti? Che fai? La politica dell’immigrazione ha senso solo dentro una politica di vicinato. Quando in Europa comandavano i democristiani veri, cioè quando comandava Helmut Kohl, noi avevamo un progetto per questo. Nel 2000 è stato fatto un Consiglio europeo e si delineò un grande programma. Bisognava costruire una grande infrastruttura che andasse da Marrakech fino al Cairo ad abbattere le barriere doganali, per aiutare la transizione democratica in quei Paesi, in modo da poter investire con delle élite politiche e locali capaci di poter gestire lo sviluppo. Poi, dopo andò al potere un altro tipo di politici e tutte queste cose sono state dimenticate. In Europa si è parlato di “Europa dei diritti” senza capire che i diritti si concretizzano dentro ad un progetto, non da soli. Non abbiamo avuto una politica di vicinato, abbiamo lasciato che il Nord Africa decadesse, non abbiamo sostenuto lo sviluppo dei Paesi dell’Africa Sud-Sahariana, e abbiamo creato tutte le condizioni per attivare enormi flussi migratori che non sappiamo come contenere.

Perché non ha potuto occuparsene Papa Benedetto XVI?

Perché abbiamo perso. Quando dico noi penso al grande movimento suscitato da Giovanni Paolo II, dal punto di vista spirituale e culturale, e a quello che un gruppo di politici attorno a Helmut Kohl ha fatto sull’onda di quel grande movimento. Abbiamo fatto la difesa della Germania, abbiamo creato sistemi di economia funzionante nei Paesi distrutti dal comunismo, abbiamo creato Stati di diritto, abbiamo, in qualche modo, riunificato l’Europa e poi siamo stati sconfitti. Il lavoro è rimasto a metà. Volevamo un’Europa politica e non l’abbiamo avuta. Tutti parlano contro l’Europa, ma l’Europa non esiste. L’Europa è un palazzo bellissimo senza il tetto. È ovvio che quando le cose vanno male ci piove dentro e tutto va in rovina. Non ha poteri reali. L’accusano di imporre, ma non impone niente, perché non ha alcun potere reale. Bisognerebbe completare il progetto europeo. I popoli sono rimasti senza sovranità. Il popolo italiano è troppo piccolo per essere sovrano, circondato da realtà molto più potenti: la Cina, l’India, gli Stati Uniti, la Russia. Da soli non siamo sovrani. La sovranità europea non è nata. Allora in Europa dominano le burocrazie che sono il risultato della morte della politica.

E questo nuovo connubio Francia e Germania siglato ad Aquisgrana il 22 gennaio scorso?

Speriamo che funzioni. Ne dubito. Secondo me ci vorrebbe una spinta culturale, prima ancora che politica, molto più forte. Vedo invece che tutti hanno paura della globalizzazione e si accaniscono contro l’Europa, senza capire che l’Europa è la difesa dalla globalizzazione, non è la causa dei problemi della globalizzazione, altrimenti la governeranno gli altri. Il mondo di domani verrà governato da grandi aggregazioni di potere. Gli Stati Uniti ci saranno sicuramente, magari non saranno soli come sono stati per un lungo periodo. Forse ci sarà la Russia, io ho qualche dubbio ma è probabile. Sicuramente ci sarà la Cina e l’India, forse il Brasile. Nessun Paese europeo da solo ci sarà.

Il mondo arabo? Anche i musulmani sono una preoccupazione diffusa in Europa e nel nostro Paese.

I musulmani non sono un problema, il problema sono i cristiani. Se i cristiani avessero valori forti, se credessero in sé stessi, se amassero l’Italia, se amassero l’Europa, sarebbe tutto diverso. Se noi italiani avessimo una cultura e non avessimo un odio per la nostra cultura, l’odio dell’Italia per sé stessa, non avremmo paura di qualche milione di musulmani che arrivano in Europa e sapremmo fare una cosa che loro accetterebbero volentieri: gli daremmo delle regole. Diremmo queste sono le nostre regole. Se volete stare qui dovete accettarle e non ne faremmo arrivare così tanti, perché attiveremmo politiche di vicinato, le quali consentirebbero a quella gente di trovare un lavoro al paese loro. Perché pensiamo che sia divertente lasciare la propria casa, la propria lingua, il proprio Paese, la propria cultura e trapiantarsi in un mondo totalmente diverso, magari arrivando con una barca e rischiando la pelle nelle acque del Mediterraneo? Se lo fanno è perché sono sotto una spinta potentissima che noi potremmo allentare e cresceremmo anche noi economicamente, perché se crescono questi Paesi cresce anche l’Italia. Verrebbero a comprare da noi la conoscenza, il know-how, le tecnologie avanzate di cui hanno bisogno per crescere. Gli Stati Uniti ebbero un gesto di intelligente generosità: ci prestarono un sacco di soldi per ricostruire la nostra economia. Noi ci siamo rimessi in piedi, siamo cresciuti. Così siamo diventati grandi clienti degli Stati Uniti e gli Stati Uniti hanno avuto un boom economico, perché noi con i soldi degli americani abbiamo rimesso in piedi le nostre industrie e abbiamo cominciato a comprare prodotti americani.

Professore, so che ha confidato ad Arafat quella frase sturziana che ha detto ai democratici cristiani.

Sì. Che il mondo arabo ha una forma di ossessione e che nulla potrà essere fatto fin quando non avremo rimediato all’ingiustizia commessa contro il popolo palestinese. Questo li ha bloccati per settant’anni. Quello che è successo in Palestina nel 1948 sarà stata un’ingiustizia. Gli arabi hanno avuto molte colpe, ma comunque è successo. Immaginate cosa sarebbe l’Italia oggi se De Gasperi avesse fatto dei grandi campi di profughi al confine con la Jugoslavia e avesse detto che nessun problema dell’Italia si poteva risolvere prima di avere rimediato all’ingiustizia storica dell’annessione alla Jugoslavia dell’Istria e della Dalmazia. Dove saremmo? Avremmo fatto una mezza dozzina di guerre con la Jugoslavia, avremmo fatto da detonatore per una possibile Terza guerra mondiale e i profughi istriani invece di essere pacificamente inseriti e con grande successo perlopiù dell’economia italiana, morirebbero di fame.

Cosa ha detto Arafat?

Che forse avevo ragione, ma che ormai era troppo tardi.

La nostra società sembra essere impazzita. Nessuno ha più rispetto per l’altro, per le regole, per l’autorevolezza della conoscenza, per i valori dei nostri avi. Sembra che più scorra il tempo più ci stiamo abbrutendo, non abbiamo molti esempi positivi, dove stiamo andando?

Diceva Norberto Bobbio che il più grande nemico della democrazia è l’eccesso di democrazia. Perché la democrazia è il miglior metodo per gestire una comunità politica. Tutti paghiamo le tasse, tutti corriamo i rischi di possibili guerre, così abbiamo il diritto di dire la nostra. Ma l’idea di “democratizzare” la società è un’idea stupida perché ci sono ambiti che non possono essere retti con metodo democratico. L’università per esempio, è una democrazia ristretta. A sapere chi dei giovani merita di diventare dottore e chi no sono quelli che fanno i professori universitari. A sapere chi possono diventare professori ordinari possono essere quelli che sono già professori ordinari. Certo, a volte, fanno un uso vergognoso di questo privilegio, allora verrebbero richiamati, ma mai accettando il principio che chiunque può ficcare il naso. Adesso abbiamo dei giudici, dei pretori che pretendono di saperne più della comunità scientifica internazionale sulla Xylella fastidiosa in Puglia, provocando gravi danni all’economia pugliese, perché hanno ritardato l’applicazione di misure che tutta la comunità scientifica unanimemente raccomandava. Adesso abbiamo qualche giudice che pretende di saperne più dei medici per quello che riguarda la tutela della salute e cerca di imporre delle terapie che tutta la comunità scientifica unanimemente condanna. Può sbagliare tutta la comunità scientifica? Certo che può sbagliare. Ogni tanto qualche scienziato rivoluzionario scopre e afferma qualche teoria che manda in pensione buona parte del sapere precedente. Ma di nuovo, a giudicare su di lui, possono essere soltanto i competenti, non si fanno i referendum sulle scoperte scientifiche. Invece adesso sì. Perché è caduta l’autorità della verità. Benedetto XVI aveva messo in guardia contro il relativismo morale. Io, una volta gli ho detto che più pericoloso del relativismo morale è il relativismo cognitivo. Non che si affermano verità diverse sulla morale, non solo, ormai si affermano “verità” non provate, senza l’onere della dimostrazione, negli ambiti più diversi. È stato divertente un episodio: c’era Padoan in tivù. Si può pensare ciò che si vuole di Padoan come politico, ma come tecnico sa quello che dice. C’era una giovane esponente del governo attuale che lo contraddiceva sistematicamente e Padoan aveva difficoltà a rispondere perché se una come la signora non ha le basi minime di competenza per capire un ragionamento di economia per rispondere, bisognerebbe cominciare a parlare come si fa con uno studente di primo anno di università, ma non puoi permetterti nel poco tempo televisivo a disposizione di fare un corso universitario per spiegarle l’abc dell’economia e davanti al popolo l’incompetente spesso sembra più convincente del competente. Leonardo Sciascia ha scritto un libro bellissimo, il suo vero capolavoro secondo me, “Il Consiglio d’Egitto”, che racconta una storia vera: alla fine del secolo XVIII una nave saracena naufraga vicino a Palermo e a bordo c’è un ambasciatore inviato dal re di Tunisi al re di Francia e il viceré di Palermo lo accoglie. Ma nessuno conosce l’arabo. Allora, trovano un prete maltese, Don Vella che non conosce l’arabo ma sa il dialetto maltese che con l’arabo sono parenti e quindi un poco s’intende con l’ambasciatore, lo accompagna, gli fa da chaperon. Quando l’ambasciatore riparte, regala a Don Vella un libro. Dopo un po’ il prete dice che quel libro è una copia delle originarie costituzioni del Regno di Sicilia. C’era il viceré Caracciolo che tentava una grande riforma, abbattendo il potere dei baroni e dando tutto il potere alla corona, e si appoggiava all’idea che le antiche leggi di Sicilia erano quelle di una monarchia assoluta: il re era tutto e i baroni erano niente. Invece, dal libro di Don Vella risultava che il re era un primus inter pares, non ha il diritto di togliere ai baroni le loro prerogative. Tutta la nobiltà siciliana è compatta intorno a Don Vella. Allora Caracciolo, che ha fiutato l’imbroglio, fa venire uno studioso tedesco che sa l’arabo e fanno il confronto aperto davanti al popolo palermitano. E lo fanno aprendo a caso il libro e chiedendo di tradurre una pagina a caso all’uno e all’altro. Don Vella preciso ripete perché ha imparato tutto a memoria. Il tedesco capisce che in realtà quella è una normale copia del Corano e come fanno tutti quelli che leggono un libro straniero per la prima volta ogni tanto s’intoppano, si correggono, così il popolo decreta il trionfo di Don Vella. Se si pensa di poter giudicare senza studio finisce sempre così. Nella nostra società siamo entrati in una fase regressiva.

Ciclicamente si giunge a situazioni di decadenza sociale e culturale come queste, da cui si viene fuori con guerre o pestilenze.

Vedremo. Nell’immediato è il compito dei benedettini mantenere almeno in alcune realtà, magari limitate, la grande cultura che adesso viene abbandonata e quindi il metodo scientifico. Quindi l’abitudine a giudicare secondo la logica, ad accertare la verità dei fatti prima di arrivare a delle facili conclusioni, il metodo critico. Ne avremo inevitabilmente bisogno.

Siamo in pace da oltre settant’anni. Ci si annoia della pace?

Quando ci si dimentica quanto è terribile la guerra allora ci si annoia della pace. Questa nuova realtà comincia in Europa quando va al potere una generazione che non si ricorda quanto è brutta la guerra.

@vanessaseffer

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