Lo sviluppo della conoscenza ha sempre avuto un’impennata quando la comunicazione tra i popoli è diventata più veloce. Hanno iniziato i Romani con lo sviluppo di ponti e strade, in epoca successiva l’invenzione del motore a scoppio ha fatto il resto. Ma il boom si è verificato nel secolo scorso con la scoperta del computer e del web, che hanno permesso di velocizzare al massimo i rapporti inter-personali e quindi di permettere uno sviluppo più rapido delle conoscenze. I risvolti sulla medicina di queste nuove vie di comunicazione ha avuto importanti conseguenze in quanto ha permesso un più rapido scambio di nuove acquisizioni diagnostiche e terapeutiche. È a tutto questo che dobbiamo il raddoppio dell’aspettativa di vita in appena un secolo ed anche il miglioramento della qualità della nostra vita. Il successo della medicina e dei vantaggi da questo derivati alla popolazione, sono il risultato di un processo che la comunità scientifica ha adottato ormai da tempo. Esso consiste in una attenta disamina della fase di sperimentazione che, dopo un processo critico da parte di “pari” (colleghi), va incontro alla pubblicazione e quindi all’acquisizione da parte della comunità scientifica.
A questo segue sempre una verifica che, nell’ ottica del processo scientifico inventato proprio da un italiano, Galileo Galilei, ha bisogno di una ripetizione e validazione dell’esperimento perché questo venga considerato attendibile. Non è, in altri termini, immaginabile che, senza una verifica di quanto pubblicato, si possa “tout court” trasferire quanto sperimentato nella pratica clinica. Insomma si tratta di un processo articolato che ha bisogno dei suoi tempi e per il quale non esiste alcuna deroga. Dobbiamo pertanto chiederci come mai, in Italia, questo processo sia misconosciuto e possa approdare a situazioni gravi anche da un punto di vista sociale. Prima di fare una analisi del problema, forse è interessante ricordare a chi legge cosa è successo in questi decenni nel nostro paese riguardo a presunte terapie innovative che avrebbero cambiato l’andamento di malattie gravi.
Potremmo cominciare dal famoso siero di Bonifacio, per il quale si formarono lunghe file a Roma nella speranza che questo siero “miracoloso” potesse guarire dai tumori. L’intuizione del veterinario Bonifacio era senz’altro interessante in quanto si basava sul fatto che, siccome le pecore non si ammalerebbero di cancro, il loro siero poteva avere qualche fattore proteggente dalla malattia. Ma l’approccio era alquanto banale e non aveva mai avuto alcuna validazione di efficacia. L’altro “miracolo” venne più tardi con il famoso “cocktail” di antiossidanti ideato da Di Bella, che sarebbe stata un’altra formidabile cura per i tumori. Purtroppo neanche in questo caso la cura Di Bella aveva superato gli steccati della rigorosa ricerca scientifica ma, malgrado ciò, il nostro paese, a vari livelli, ha optato per una deroga che ha portato a spendere soldi pubblici per una sperimentazione che alla fine si è rivelata negativa. L’ultimo “miracolo” riguarda il caso Vannoni, anche qui con la scoperta di una nuova terapia per malattie neurologiche, della quale mancava tuttavia qualunque tipo di appiglio scientifico sia perché non era chiaro cosa veniva somministrato ai pazienti sia per l’assenza di pubblicazioni che supportassero la eventuale validità della scoperta. E finiamo con l’ultimo scandalo dei vaccini, in cui, soggetti non medici, a vario titolo, hanno caldeggiato la inutilità o addirittura la pericolosità dei vaccini nella prevenzione di malattie infettive serie anche attraverso servizi pubblici.
Vale la pena, a tal riguardo, andare a visionare filmati in cui si mette in dubbio la vaccinazione contro la poliomielite, che ha salvato milioni di vite umane, o contro l’epatite B, che è una delle cause più frequenti del cancro del fegato. Tutto questo, purtroppo, non ha avuto alcun filtro sugli organi di informazione in quanto manca nel nostro paese un rigoroso giornalismo medico che sia in grado di filtrare notizie che mai dovrebbero arrivare alla carta stampata o alle televisioni in quanto prive di alcun fondamento o validità. Al sensazionalismo in negativo degli organi di informazione, siamo arrivati addirittura alle sentenze dei giudici, i quali hanno obbligato l’attuazione di protocolli terapeutici senza l’esistenza di una prova che ne validasse il trattamento. Su questa confusione trovano terreno fertile proprio i siti web che possono diventare un pericoloso strumento quando la diffusione di false notizie impatta negativamente sulla salute pubblica. Su questi siti si sono cimentati anche i politici che, paladini del popolo, si sentono in diritto di ergersi a tutori della salute pubblica argomentando su problemi che ovviamente non conoscono. Vorrei ribadire con forza che la “fake” medicina, cioè dire cose inesatte e false sulla salute, costituisce un esempio di disonestà intellettuale verso il quale tutta la comunità scientifica dovrebbe ribellarsi in quanto colpisce soprattutto la povera gente, quella che non ha strumenti per difendersi dalle sciocchezze che girano sul web.
Dietro questo, il vero problema è culturale e riguarda tutti gli attori che ho riproposto come elementi che, a vario titolo, possono contribuire ad alimentare aspettative non vere o, paradossalmente, a provocare danni alla salute pubblica intervenendo su tematiche dove la medicina ufficiale non si è ancora espressa. Forse serve da parte di giornalisti, giudici e politici un bagno di umiltà, una maggiore consapevolezza che la salute è una cosa seria, verso la quale l’approccio serio è inderogabile e dove, soprattutto, non esistono scorciatoie. Gli strumenti per arrivare a tramettere messaggi corretti, non “fake” medicina, o a prendere decisioni che non producano false aspettative ed illusioni sono chiari. A tal riguardo, l’autorevolezza di chi discute di medicina è un fatto fondamentale, anch’esso inderogabile, e facilmente ottenibile mediante la ricerca nella banca dati degli esperti di settore; basta visionare gli appositi siti, dove tutto è scritto e riportato nei dettagli per sapere a chi rivolgersi per avere un autorevole contributo sulle tematiche in questione. Alternativamente esistono le società scientifiche ufficiali, come la Società Italiana di Medicina Interna, che è la più antica società di medicina italiana, o società specialistiche, dove trovare gli esperti che possano dare preziosi contributi in tutte le branche della medicina. Basta, insomma, non rivolgersi all’amico della porta accanto per saperne di più, ma avere più serietà e rigore nel trovare i giusti esperti. Certamente, per questo, giornalisti, giudici e politici dovranno studiare e lavorare un po’ di più; ma ne vale la pena, si tratta della salute degli italiani.
Prof. Francesco Violi
Direttore della Prima Clinica Medica del Policlinico “Umberto I” e Presidente del Collegio degli Internisti Italiani