I PROCESSI DI CAMBIAMENTO LUNGHI E ACCIDENTATI. Le provocazioni occidentali, le violenze islamiche e le strumentalizzazioni

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Di Enzo Coniglio.

L’uccisione di Christopher Stevens, ambasciatore americano a Bengasi, costituisce un duro colpo al processo di riappacificazione tra Stati Uniti e mondo arabo – islamico, iniziato dal Presidente Barack Obama con il suo famoso discorso del Cairo del giugno del 2009, durante il quale aveva promesso un dialogo aperto e costruttivo con tutto il mondo arabo e islamico.

Una uccisione che, a prima vista,  lascia sbalorditi per la scelta della vittima: un diplomatico di grande levatura morale e professionale che si era fatto paladino convinto delle nuove istanze rappresentate dalle “Primavere mediterranee”, che conosceva la lingua e la cultura araba come pochi diplomatici presenti nell’area, leggeva e meditava costantemente sul Corano , aperto al dialogo e al confronto a tal punto da non avere voluto dotare l’ambasciata americana con le imponenti misure di sicurezza di cui sono normalmente dotati.

Eppure è stato scelto lui come vittima sacrificale in questo 11 settembre 2012 e non a caso. Certamente la causa, o sarebbe meglio dire, il pretesto che sta incendiando il mondo arabo è il film scriteriato di un signore che diceva di essere ebreo e di chiamarsi Sam Bacile e che invece risulta essere un cristiano di tradizione copta, Nakoula Basseley che vive con la moglie e tre figli nella località di Cerritos in California, prelevato dalla polizia durante la notte dalla sua residenza per essere interrogato con tutte le precauzioni del caso. Sembra abbia commesso in passato numerose truffe finanziarie e contraffatto dei farmaci; sarebbe stato condannato in passato a 21 mesi di prigione e al rimborso di 790 mila dollari.

Si tratta di un film che il Presidente Obama e il Segretario di Stato Hillary Clinton hanno ritenuto “ripugnante e riprovevole” nei contenuti, senza mezzi termini, lontano anni luce dalle loro convinzioni e dalla loro politica estera e per il quale non hanno esitato a chiedere scusa al mondo arabo e islamico trattandosi di un film comunque girato in due set di Hollywood, in California, ingannando sia la troupe che gli attori ai quali era stato fatto credere che il titolo del film fosse: “Il guerriero del deserto”  invece di “The Innocence of Muslims”, distruttore dell’imagine del profeta Maometto e del suo popolo. Il manager responsabile del finanziamento del film per 5 milioni di Euro, viene indicato in Steve Klein, un veterano della guerra del Viet-Nam, molto vicino a gruppi estremisti cristiani come “Christian Guardians” che aveva suggerito di arruolare il reverendo Terry Jones, noto tristemente in tutto il mondo per aver preteso di organizzare un grande rogo con le copie del Corano.

La domanda che viene spontanea porsi in questo caso è come sia possibile che l’azione sconsiderata e scriteriata di un gruppo sparuto di persone dalla morale e dalla professionalità di bassissimo livello, possa dar vita ad una rivolta brutale e sanguinaria che ha già fatto 8 morti e centinaia di feriti in Paesi importanti come la Libia, la Tunisia, il Libano, l’Arabia Saudita, lo Yemen,il Sudan, l’Iraq, l’Iran, l’Afghanistan, il Bangladesh e nello stesso Egitto a tal punto da mettere in forse il radicale processo di cambiamento avviato dalle Primavere arabe durante il 2011.

L’effetto appare a prima vista del tutto sproporzionato alla causa scatenante e lo è. Vale quindi la pena cercare di andare a fondo nell’analisi dell’intricata vicenda che rassomiglia molto alla mitica apertura del millenario “vaso di Pandora”nato appunto in quelle coste mediterranee e medio orientali.

La prima considerazione riguarda il diritto di un privato cittadino americano o assimilato di poter esprimere in ogni caso il proprio pensiero, indipendentemente dalla qualità dello stesso e dagli effetti che possa produrre anche se di dimensioni devastanti, nel rispetto del famoso “first emendment” della costituzione americana radicata nella cultura americana che assicura la libertà illimitata di opinione, di espressione e di pubblicazione (free speech).

Ed è grazie a questa profonda convinzione e a questa norma costituzionale che non è stato ancora possibile eliminare dal mercato mediatico tale film, prodotto-mostruoso,  e non sarà facile. Le implicazioni macroscopiche di questo “principio assoluto” lo si sono comprese nel botta e risposta tra il Presidente Barack Obama che ha chiesto al Presidente dell’Egitto, Mohamed Morsi di difendere le sedi diplomatiche, il personale e gli interessi americani. Si è sentito rispondere che era sua intenzione di farlo come lo farebbe per qualunque Paese accreditato ma che nello stesso tempo chiedeva a Barack Obama di impedire gli oltraggi gratuiti e le falsità chiaramente mistificanti e strumentali contro il Profeta Maometto e la grande cultura di un popolo: quello arabo e islamico.

Il Presidente Mohamed Morsi ha assolutamente ragione a ricordare agli Stati Uniti e all’Occidente che accanto alla libertà di espressione esiste il dovere alla responsabilità per quanto si dice e si fa: tra pensiero, azione e gli effetti devastanti verso terzi; esiste un rapporto essenziale tra libertà e responsabilità: responsabilità che non è altrettanto protetta e statuita nei suoi confini naturali dalla legislazione americana e occidentale.

In nome della libertà di espressione non posso in alcun caso calunniare, falsare l’immagine di una persona o peggio ancora infangare gratuitamente un popolo, la sua cultura e la sua religione. Un assurdo ancora più evidente in un Paese come gli Stati Uniti che protegge con leggi rigorose e con multe salatissime la violazione di un prodotto commerciale materiale quando ha dei risvolti finanziari. Ma non si può certo ridurre tutto alla difesa della finanza e lasciar fuori, del tutto indifeso, il grande patrimonio millenario di interi popoli dalla ignoranza brutale e strumentale di inqualificabili personaggi e gruppi politici o religiosi.

La libertà di espressione e il dovere della responsabilità verso le singole persone e i popoli sono due principi che devono essere affermate, salvaguardate, protette e armonizzate.

La seconda considerazione riguarda il rapporto tra la furia scatenata in questi giorni e le Primavere mediterranee e medio orientali ricordando che nei fenomeni che hanno caratterizzato la nascita di quei movimenti non c’era alcuna traccia di antiamericanismo, neppure in piazza Tahrir; nè quelle espressioni sono state caratterizzate come “fenomeni religiosi” o ispirate al Corano o ad altri movimenti religiosi o ideologici. Si sono caratterizzate come movimenti popolari a maggioranza giovanile che chiedevano l’allontanamento dei “dittatori” e una maggiore partecipazione alla gestione della cosa pubblica prescindendo dal credo religioso o ideologico. In una parola mai banale, si trattava di una richiesta di partecipazione democratica in Paesi che non hanno quasi mai goduto di tale status, espressa in maniera quasi sempre pacifica che ha imboccato l’arma di internet invece di un potente bazooka.

A distanza di un anno,la musica sembra cambiata con l’affiorare di movimenti rivoluzionari ad ispirazione religiosa che pretendono di diventare egemoni e che potrebbero mettere in forse alcuni obiettivi qualificanti di quelle Primavere. E in un certo senso era da aspettarsi qualcosa del genere come è successo in fondo nel nostro occidente: dopo la rivoluzione francese, è seguito l’impero napoleonico e la restaurazione. Solo dopo 30 anni è stato possibile riprendere con forza ma con tanto spargimento di sangue,  gli ideali della rivoluzione francese e cambiare l’organizzazione politica statuale in oltre due secoli di battaglie e di guerre nazionali e mondiali.

I processi di cambiamento sono lunghi e accidentati e non possono certo ignorare il substrato culturale e religioso dominante.Non c’è quindi da meravigliarsi se in questo ultimo anno i movimenti e i partiti islamici si siano riorganizzati, pronti a scendere in campo e a conquistare il potere: dai Fratelli Musulmani ormai al potere nel nuovo Egitto; ai movimenti Salafiti sempre più presenti in tutta la regione; alle diverse frazioni del gruppo storico di Al Qaeda che ormai opera nei singoli Paesi con piccoli gruppi, ben addestrati e determinati ad imporsi.

Ma c’è una terza considerazione da fare altrettanto inquietante. Ma perchè una esplosione così vasta e generalizzata contro gli Stati Uniti risparmiati dalle Primavere mediterranee?

Possiamo immaginare due ordini di risposte. La prima è connessa al fatto che dopo il discorso di Barack Obama del giugno del 2009 che prometteva un dialogo costruttivo con il mondo arabo, si è fatto ben poco e soprattutto il problema degli insediamenti ebraici in territorio palestinese  e la creazione di uno stato palestinese accanto ad uno stato ebraico che mettesse fine ad una delle pagine più tristi della nostra storia, non hanno trovato alcun seguito positivo malgrado le precise promesse di Obama in tal senso.

La seconda riguarda un ulteriore peggioramento della situazione finanziaria ed economica dei Paesi dell’area del Mediterraneo e Medio oriente a causa della persistenza della crisi che ha tratto origine proprio negli Stati Uniti ed è poi dilagata in un mondo globalizzante e asservito agli interessi economici e di sviluppo sociale sotenibile che non sono certo quelli dei popoli arabi, se si escludono le loro élites che invece continuano a trarne enormi profitti. E’ quindi comprensibile che nell’immaginario collettivo, più o meno cosapevolmente, si sviluppi un certo risentimento verso gli Stati Uniti anche se non necessariamente contro l’attuale amministrazione, particolarmente apprezzata in ambienti qualificati, almeno per gli sforzi che ha saputo fare per invertire la rotta e di cui Chris Stevens era un protagonista di primo piano e quindi doveva essere “punito” per ritornare alla vecchia logica della contrapposizione voluta dai gruppi radicali islamici.

Ma, ultima considerazione, andava punito in casa lo stesso Barack Obama che aveva fatto della politica estera il proprio “fiore all’occhiello” e che appoggiava le primavere arabe e il difficile processo verso una democrazia condivisa? Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se si venisse a scoprire, andando a fondo, che dietro a questa produzione cinematografica e a questo incendio si nascondano interessi di casa americana relazionati alle prossime elezioni americane.

Ci auguriamo di no. Sarebbe una delusione troppo forte e insopportabile per chi ha vissuto con l’deale di una America che, malgrado tutto, costituisce ancora un faro di libertà e di speranza, attraverso i suoi figli migliori come Barack Obama e Chris Stevens”.

 

Da SiciliaInformazioni del 16/9/2012

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