“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”.
Queste alcune delle parole pronunciate da Papa Bergoglio che tutto solo ha pregato da Piazza San Pietro sotto la pioggia, rievocando quelle dell’indimenticato Papa Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. Ma Francesco I ha fatto di più, perché ha concesso l’indulgenza plenaria Urbi et Orbi, cioè la cancellazione di tutti i peccati anche quelli già confessati e perdonati, dando una importante concessione all’umanità, quella di abrogare anche gli “effetti” dei peccati che abbiamo commesso in precedenza ed eliminato con la confessione. Ciò ha commosso, tentato di consolare e lasciato il segno in grande parte della cittadinanza italiana e mondiale. Ma la parola paura è il nodo della questione: di che cosa si ha paura, cosa genera ansia, smarrimento, cosa temono i cittadini in ogni parte del mondo? Fino a ieri poteva essere un cyber attacco, il terrorismo islamico o il cambiamento climatico così palpabile. Oggi la psicosi si legittima con la più grave pandemia di tutti i tempi che non ha ancora trovato il suo apice.
La “paura”, che tiene in casa quasi sessanta milioni di italiani, è il collante che unisce in queste settimane il Paese. Con il senso di finitezza che ci accompagna sin da piccoli, con la fine che potrebbe giungere prima del tempo, si dà concretezza alla paura che ha così una grande funzione sociale, si tengono buoni e sottomessi i popoli, si fanno accettare le più svariate scelte politiche e religiose. Con la paura e l’inquietudine che essa provoca si vendono tante cose a chi è preda della disperazione. Persino la piccola attivista svedese, paladina proprio della lotta ai cambiamenti climatici, lo aveva capito e faceva leva su questa mentre girava il mondo: “Non voglio la vostra speranza, voglio che entriate nel panico. Tutti devono sentire la paura che io provo tutti i giorni”.
È quindi subdolamente necessario provare empatia e non indifferenza per farci capire la qualità di ciò che abbiamo e cosa ha coinvolto l’Europa e il mondo in questa emergenza planetaria e la paura per questo fa bene a livello emotivo. Eravamo abituati ad un clima di certezze e di sicurezze superando spesso il limite, ad una società consumistica, effimera e sprecona, adesso sentiamo quanto è caduca, fragile ma preziosa la nostra vita, quanto valgono gli affetti e i valori reali per nulla scontati.
Questa disconnessione sociale paradossalmente ci mette più in connessione, ma non si parla d’altro che di paura e di morte, poi solo alla fine per risollevarsi un po’, si argomenta su quanti quel giorno sono guariti dal virus. Ammesso che davvero sia così. La paura e la morte sono di fatto l’argomento principale di ogni chiacchierata degli ultimi due mesi. Evidentemente per parlare del valore della vita e comprenderlo si deve parlare anche di morte. Quanto questa infezione ci sta insegnando? In pochi giorni abbiamo imparato a fare cose per cui ci sarebbero voluti anni. Poi lauree online, lezioni scolastiche attraverso i pc a tutti i livelli, compleanni e ricorrenze via Skype, chissà che non si ritorni ai matrimoni per procura, ma si impara anche un nuovo concetto di lutto. Tante famiglie hanno perso i loro cari e non hanno potuto fare il funerale, fra gli eventi sospesi dal decreto.
A Bergamo le agenzie funebri ricevono dieci chiamate all’ora, tanto che queste non ce la fanno più a sostenere il ritmo perché anche loro sprovvisti, come il personale sanitario, dei Dispositivi di protezione individuale (Dpi). Così, per salvaguardare la salute dei dipendenti, vogliono fermarsi. Pertanto scopriamo quanto sia difficile non poter dare l’ultimo saluto alla persona cara, che finisce il suo tempo da sola in ospedale, fra angeli verdi e bianchi, i medici e gli infermieri cui si è arrivati a chiedere un altro sforzo, quello di porgere una benedizione a chi, nell’impossibilità di poter ricevere l’estrema unzione, esprime il desiderio di riceverla per trovarvi un po’ di conforto. Ci si lascia senza potersi neppure salutare un’ultima volta, questo crea un senso di angoscia profonda, paura. E chissà quanti muoiono in casa da soli o con qualche familiare che non sa cosa fare. Tutte queste emozioni riportano indietro nel tempo, quando si combattevano la Prima o la Seconda guerra mondiale. Così si mettono in moto catene di solidarietà, attivismi che ci fanno sentire più buoni, per regalarci la sensazione di essere diventati più caritatevoli e comprensivi verso il prossimo.
La paura della signora con la falce fa cadere tanti tabù, anche quello della morte stessa, concepita come una delle paure innominabili che abbiamo, al punto da essere tutti, chi più chi meno, un po’ scaramantici. Ma forse la paura della nostra mortalità in questo momento che stiamo attraversando è ciò che ci mantiene umani.
@vanessaseffer
Da L’Opinione