Second Opinion: questione di sfiducia o diritto personale?

Share

Che esistesse la Sindrome di Babele del web probabilmente non me ne sarei mai accorta se non avessi dovuto aiutare una signora a navigare in rete alla ricerca di un medico specialista che fornisse alla mia amica una diagnosi ed una terapia preferibilmente in linea con le aspettative della stessa. Quindi, passando attraverso siti che si sono rivelati autentici capolavori di marketing, mi sono imbattuta nel Network di consultazioni mediche trasversali del secondo parere, attivato presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Gli obiettivi sono:

• agevolare la necessità di orientamento ed indirizzo sulla salute e il counseling diagnostico-terapeutico del paziente non soddisfatto della offerta curativa nei suoi confronti;

• ottimizzare il rapporto costo/beneficio della diagnosi e della cura,

• ridurre i tempi di malattia e/o invalidità,

• ottimizzare la qualità della vita,

• conseguire qualora possibile la guarigione;

Ed allora ecco che tralasciata e messa da parte la mia amica – in fondo se ci si occupa di sanità il rischio è anche quello di uniformarsi a qualche andazzo non proprio edificante – mi sono messa a cercare le fonti.

Il secondo parere, definito nel mondo anglosassone come second opinion, non è un concetto recente, ma risale agli anni ‘70 quando, soprattutto negli ospedali americani, veniva richiesto con la finalità di diminuire i costi di esercizio (assicurativo-privato) della salute dei pazienti, migliorando l’obiettivo diagnostico e terapeutico allo scopo di ridurre, laddove possibile, i tempi di guarigione. In origine dunque il secondo parere rappresentava una funzione nata all’interno di strutture ospedaliere complesse per facilitare una migliore integrazione tra differenti pareri clinici e competenze specialistiche con il fine ultimo di favorire il miglioramento di prestazioni e risultati clinici, inclusa la soddisfazione del paziente ovvero la customer satisfaction.

Ma tutto questo è noto a noi accanite fans dei serial televisivi sul mondo della sanità made in USA a cominciare da ER, passando per il Dottor House e finendo per approdare a Greys Anatomy. Ovviamente non mi riferisco ad alcuni bellissimi attori – concedete alla povera autrice di questo articolo una vezzosa piccola bugia – bensì al ruolo di quei grandi medici specialisti, i consultant, che attraversavano il continente americano coast to coast per portare il proprio sapere al capezzale di un malato ricoverato in un altro ospedale.

Nel nostro Paese la Sindrome di Babele del web, che può essere definita come la ricerca ossessiva in rete internet da parte di soggetti affetti da qualsiasi tipo di patologia, che eccedono nel tentativo di conseguire informazioni utili circa medici, caregivers, strumentazioni diagnostico-terapeutiche e strategie di cura, appare come una degenerazione dell’esperienza statunitense.

Ma è proprio così? Il paziente ed i suoi familiari sono alla spasmodica ricerca sul web di una cura miracolosa, magari spinti dalla sfiducia nei confronti del medico curante, oppure stanno semplicemente cercando di soddisfare il proprio diritto di chiedere informazioni chiare ed esaurienti sulle sue condizioni di salute e anche una seconda opinione da parte di un medico diverso, sia all’interno della struttura, sia all’esterno di essa avvalendosi appunto di un consulente esterno all’organizzazione aziendale?

Il quesito non è di poco conto perché la problematica presenta diverse sfaccettature come fosse un cubo di Rubik.

Nelle patologie a prognosi infausta, come quelle oncologiche e degenerative, laddove l’emotività e la speranza di guarigione giocano un ruolo determinante e purtroppo anche fuorviante nella serenità delle scelte, il tema della richiesta del secondo parere si intercala tra sfiducia nei curanti e bisogno di vedere soddisfatte le aspettative del paziente, moderandone le ansie.

Le indicazioni al secondo parere, in oncologia, possono: i tumori rari per i quali è spesso indicata una terapia assai complessa, le condizioni di scarsa e inadeguata comunicazione con i pazienti, la disponibilità a fruire di nuovi farmaci in centri selettivamente specializzati e qualificati, ed infine la incapacità del paziente di accettare un verdetto di inguaribilità.

La seconda opinione richiesta in virtù di elevati livelli di ansia, di precedenti esperienze negative, di scarsi risultati a seguito delle terapie eseguite, appare sempre rispettosa dei diritti del malato e della deontologia medica e non deve apparire né essere interpretabile come una sorta di mancanza di fiducia o di messa in discussione delle prerogative e delle capacità professionali di altri colleghi.

Quando la stampa riporta in maniera frettolosa e a volte superficiale notizie di errori medici, il clima generale del rapporto fiduciario tra il clinico ed il paziente tende ad un peggioramento e aumenta il rischio di una catena di eventi caratteristici della disinformazione.

Uno dei rischi che ne consegue è proprio quello di determinare un eccesso di aspettative, magari innescate da forme non autentiche e fin anche truffaldine di pubblicità e di pseudoinformazione scientifica divulgativa, che portano alla richiesta del secondo parere, il cui rischio è però di generare ulteriori illusioni, assecondando la speranza dei malati verso traguardi di guarigione del tutto privi di concreta realtà.

@vanessaseffer

Da Off – IlGiornale.it

 

Share

In puero homo

Share

In puero homoA ripensare oggi ad un fatto di cronaca avvenuto un anno fa c’è da averne i brividi: un maestro era stato arrestato in una città del Paese per abusi sessuali nei confronti delle sue giovanissime allieve. Un atroce incubo per le bimbe, tutte di età compresa tra i 3 e i 5 anni, che secondo l’accusa venivano forzate a subire ripetuti atti di molestie sessuali durante l’orario scolastico. L’uomo era stato fermato dai Carabinieri e portato in carcere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. Il provvedimento restrittivo si basava sulle risultanze delle indagini investigative dei Carabinieri, a seguito delle denunce presentate da parte di diversi genitori preoccupati di quanto raccontavano le bimbe al rientro dalla scuola. A dare consistenza oggettiva alle indagini, le risultanze emerse da alcune telecamere installate nella scuola. Per garantismo e per il rispetto che si deve alle bimbe, ai genitori, alla Magistratura e anche al sospetto autore di questi abusi, la notizia di cronaca è priva di riferimenti temporali e di luogo. D’altronde non è la cronaca, seppure squallidamente dirompente per il contenuto, ad essere oggetto di questa nota. L’insegnante, di scuola materna e di scuola elementare, rappresenta sicuramente, insieme ai genitori, la figura adulta più importante per un bambino che trascorre gran parte della giornata a scuola. Un insegnante capace, attento, che ama il proprio lavoro, dovrebbe avere una conoscenza importante dei bimbi che gli sono affidati e dovrebbe possedere una sensibilità tale da portarlo a riconoscere alcuni segnali di allarme quali i cambiamenti di comportamento. Purtroppo la cronaca ci fornisce ormai con troppa frequenza un dato incontrovertibile, ovvero il moltiplicarsi di casi in cui sono proprio i maestri ad essere accusati di abusi e/o maltrattamenti nei confronti dei propri alunni. In alcuni casi l’aberrazione è tale che le accuse sono di abuso collettivo.

La Commissione Affari Costituzionali del Senato, in relazione all’esame in sede referente dei disegni di legge nn. 897 e connessi (“Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale”) ha audito nei giorni scorsi le Organizzazioni Sindacali della Scuola e della Funzione Pubblica. Il tema ha un grande impatto sociale e turba la coscienza collettiva. Ben vengano le azioni volte a prevenire forme di maltrattamenti o abusi. La discussione scaturita in audizione non si è limitata alla proposta di introdurre sistemi di videosorveglianza, ma ha toccato temi non secondari quali la valutazione delle condizioni di benessere o non benessere organizzativo in cui gli operatori dei servizi educativi e delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie si trovano a svolgere le proprie attività lavorative. In relazione al tema specifico dell’introduzione dei sistemi di videosorveglianza sono stati richiamati, in linea anche con quanto contestualmente espresso dal Garante della privacy, i principi di necessità e proporzionalità. Il rischio paventato è che l’uso di mezzi per definizione invasivi possa determinare compromissione dei meccanismi di fiducia. Il garantismo però in questo caso dovrebbe cedere il passo alla necessità imperativa di tutelare il minore, che non può difendersi, e una delle forme di difesa può consistere nel mettere a disposizione delle Autorità riscontri oggettivi con i quali incastrare quegli operatori colpevoli di simili atrocità. E infatti, in relazione al Disegno di legge 897 il legislatore pone una particolare attenzione sul contrasto alle condotte di maltrattamento e abuso, forme particolarmente riprovevoli nei casi di specie perché coinvolgono soggetti – i minori nella prima infanzia, gli anziani e le persone con disabilità – non in grado di difendersi, né spesso di raccontare.

Anche un singolo episodio di maltrattamenti ed abusi in questo ambito è già da considerare enorme, e deve essere messa in campo ogni azione per prevenirlo in maniera da evitare che possa ripetersi. Il termine corretto, ben al di là del lessico normativo, nonché il fine ultimo di ogni iniziativa di legge dovrebbe essere “stroncare” tali condotte abusive. Tuttavia, oltre alla necessaria condotta repressiva, non è semplice accademia porsi il quesito su quale possa essere lo strumento di protezione maggiormente efficace per garantire il contrasto alle condotte di maltrattamento e abuso senza, al tempo stesso, compromettere i percorsi educativi ed assistenziali. In altri termini occorre definire se, oltre ad attivare forme di controllo successive alle azioni delittuose, sia contestualmente possibile definire e realizzare forme di prevenzione di tali atti magari intervenendo ad esempio, anche con finanziamenti dedicati, sulla formazione continua del personale. Uno degli aspetti più significativi del testo legislativo in esame è la previsione di incontri periodici con un team di operatori specializzati in varie discipline, cui viene delegato il compito di verificare l’insorgere eventuale di situazioni di criticità individuando possibili soluzioni anche sulla base di procedure consolidate. È un percorso complesso. Occorre verificare le professionalità e le competenze che il team dovrà possedere, gli strumenti che potrà usare anche in raccordo con i servizi sociali e sanitari presenti sul territorio. Qualcosa di diverso rispetto ad un pur utile sportello antiviolenza, qualcosa di più, considerata la particolare fragilità delle vittime, qualcosa che configuri inoltre un patto fiduciario tra le Istituzioni e le famiglie anche ai fini della prevenzione dei maltrattamenti. Per quanto riguarda la videosorveglianza, la materia è delicata perchè occorre trovare una sintesi equilibrata tra gli interessi dei soggetti da tutelare (bambini, disabili e anziani), e le questioni relative alla privacy e ai diritti dei lavoratori ad esercitare la propria attività in maniera libera. Il tema è delicatissimo e non si può certo pensare di risolverlo solo con le telecamere o facendo intervenire i Carabinieri. Le telecamere possono essere un deterrente e ai Carabinieri non può essere delegata in toto una funzione preventiva. In gioco c’è il corretto sviluppo della personalità dei bambini. C’è chi afferma a tale proposito che i bambini, qualora sottoposti a sistemi di videosorveglianza, verrebbero iniziati ad una modalità di controllo che, sia pur ampiamente motivata dalla necessità della tutela da atti di coercizione e di violenza, di fatto li priverebbe della propria autonomia e libertà. Verrebbe da replicare, come primo impulso, che non può essere lasciato ad alcuno l’ autonomia e la libertà di affacciarsi alla notorietà della cronaca mediante atti di abuso fisico e sessuale. Anche il garantismo giudiziario ha dei limiti.

In puero homo.

 

@vanessaseffer

Share

Presidente, commissario, segretario o europarlamentare?

Share

Presidente, commissario, segretario o europarlamentare?Forse potrebbe avere ragione il segretario della Cisl Medici Biagio Papotto quando, riferendosi alle troppe camarille che ostacolano la chiusura di un Ccnl (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) che i medici attendono da dieci anni, afferma che le organizzazioni sindacali non ne possono più di giochetti matematici, di ritornelli politici, di attese inconcludenti e di promesse ancor meno credibili: non se ne voglia il sindacalista ma la sua affermazione ha il pregio di poter essere traslata anche in campi diversi da quelli contrattualistici.

Forse potrebbe avere ragione un noto esponente politico della Destra politica, Francesco Storace, già presidente della Giunta regionale del Lazio e in seguito ministro della Sanità, quando afferma che l’attuale governatore del Lazio fra poche settimane non avrà il tempo nemmeno per respirare.

Il moltiplicarsi degli impegni in agenda a fronte di un calendario scandito da settimane composte pur sempre da sette giorni e di giornate composte pur sempre da ventiquattro ore, rende difficilissimo il cammino di Nicola Zingaretti, stretto da un lato dalla lotta accanita all’interno del Partito Democratico e di quello che ne resta tra fughe e riposizionamenti alla finestra fiorentina, magari televisiva, seppure con scarsi successi, e dall’altro lato dalla necessità di buttare almeno un’occhiata a quello che accade in Regione e in particolare in quella sanità presidiata dal fedelissimo assessore e dagli altrettanto fedelissimi (altrettanto?) manager delle aziende, anch’essi stretti tra la routine quotidiana, l’esaurirsi della spinta propulsiva e la necessità di qualche accorgimento in più da adottare in caso di un bisogno improvviso per una giravolta con cambio di casacca.

Zingaretti è persona capace, intelligente e furba: la politica è parte integrante del suo codice genetico e gli va riconosciuto di avere fatto molte cose buone: basta guardare con serenità, andando al di là dei proclami, sull’uscita dal commissariamento della sanità (uscita?). “Ho firmato un decreto che cancella parte del percorso burocratico che almeno 600mila cittadini del Lazio, affetti da malattie croniche, devono affrontare per il rinnovo del tesserino necessario a non pagare il ticket”, dichiarava tempo fa ed una dichiarazione del genere, poco roboante rispetto al suo solito, si porta dietro una indubbia semplificazione delle procedure in questa materia. L’elenco delle cose fatte sarebbe anche lungo, magari meno lungo delle cose dichiarate. Resta il fatto che in questo momento i fronti aperti davanti e intorno a Zingaretti sono più di uno. Gli avversari non stanno certo lì a guardare con le mani in mano e prova ne sia anche un voltar pagina che vede noti editori muoversi con circospezione e “lento pede” verso una nuova sponda della quale però non si intravedono ancora i contorni.

E resta pur sempre il fatto che primarie o non primarie, europarlamento o meno, commissariamento della sanità del Lazio da parte del ministro Grillo o politica attendista ministeriale, il Nostro non si potrà permettere, come scrive Storace, in caso di vittoria nel primo appuntamento elettorale, che è la partita interna al Pd, “di considerare come secondo lavoro il governo della Regione Lazio”.

O forse sarebbe il caso di dire che i cittadini del Lazio non possono permettersi di avere un presidente a mezzo servizio, un governatore precario. Proprio lui che tanto ha fatto per i precari della sanità del Lazio grazie anche, va detto, al senso di responsabilità istituzionale delle opposizioni nella passata legislatura. Ma il presidente candidato a tutto o quasi, ha i suoi proconsoli ed ora, dopo un po’ di girotondo, ma non quello della filastrocca che finiva con “tutti giù per terra…”, ha dato il via libera per l’indizione dell’avviso pubblico di selezione per il conferimento di incarichi di direttore generale delle Aziende del Servizio Sanitario Regionale per la formazione delle rose di nominativi dei candidati idonei alla nomina a direttore generale delle seguenti aziende sanitarie:

  • Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata
  • Azienda Sanitaria Locale Roma 4
  • Azienda Regionale Emergenza Sanitaria (Ares118)
  • Azienda Sanitaria Locale di Frosinone
  • Azienda Sanitaria Locale Roma 5
  • Azienda Ospedaliero Universitaria S. Andrea

E allora il pensiero corre e vola con la fantasia. Sarà lui a gestire il percorso che porterà alle nomine dei manager? Sarà lui a stringere la mano alla commissione di esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d’interessi, di cui uno designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla Regione, che dovranno valutare i candidati per le prime sei posizioni che si rendono libere in questi giorni? E i candidati si presenteranno alla prova pur nell’incertezza di un eventuale cambio dell’interlocutore politico? E se i lavori della commissione si protrarranno nel tempo, date le molte variabili in campo, il gioco del bilancino, che nella Prima Repubblica si sarebbe definito Codice Cencelli, manterrà la sua validità o i manager prescelti potranno fingere qualche acciacco per vedere dove finisce la mossa?

La “Solitudine del manager” è il titolo di un romanzo di Manuel Vázquez Montalbán, dove il detective privato Pepe Carvalho è alle prese con il mistero di un manager, da lui conosciuto per puro caso anni prima negli Stati Uniti, trovato morto nei dintorni di Barcellona. Barcellona è bella (ma Roma di più), il romanzo è interessante ma quello che si sta scrivendo a Roma può essere un romanzo così avvincente da diventare un best seller nelle prossime settimane.

@vanessaseffer

Share

Medici, professionalità all’abbandono, parla Magi

Share

Medici, professionalità all’abbandono, parla MagiLa frequenza delle aggressioni che i medici e gli operatori sanitari subiscono descrive un fenomeno ormai cronicizzato. Il numero delle violenze fisiche, verbali e morali rappresenta una vera e propria emergenza sociale cui non si riesce a fare fronte. Una grande sfida per la tutela dei camici bianchi, ma anche per la sicurezza dei cittadini. Ne parliamo con il dottor Antonio Magi, presidente dell’Ordine provinciale dei Medici-chirurghi e odontoiatri di Roma.

Cosa si può fare perché i medici non siano lasciati soli?

Qualcosa come Ordine abbiamo fatto. Ho da tempo convocato tutti i direttori generali delle aziende ospedaliere, le direzioni sanitarie e l’assessore alla Sanità. Sono venuti da noi all’Ordine dei medici per discutere sul da farsi riguardo alle aggressioni. Ho fatto vedere loro i numeri raccolti tramite Inail. Quindi i casi denunciati, che sono la punta dell’iceberg, perché la maggior parte, non vengono denunciati se non ci sono situazioni davvero eclatanti. È stato istituito un tavolo di confronto fra Osservatorio nel Lazio, dove operano i responsabili di tutte le aziende compreso i Risk management e l’Ordine dei medici. Abbiamo già prodotto un documento con ciò che questo tavolo deve monitorare, con i primi numeri che abbiamo a disposizione. Con delle raccomandazioni date alle aziende di attivare determinati percorsi quali l’accoglienza, il controllo dei locali, alcune attività, il personale, il lavoro in gruppo specie in alcune fasce orarie, quali sono in caso di aggressione gli atteggiamenti da tenere mentre il personale svolge la sua attività, come capire i segnali prima di una aggressione. Abbiamo già messo in moto questi meccanismi. Inoltre, ho partecipato ad alcuni interventi alla Camera dei deputati per quanto riguarda la norma di legge e sensibilizzato la ministra della Salute Giulia Grillo che è venuta all’Ordine dei medici di Roma, dove è iscritta, che ha fatto la proposta sulla violenza agli operatori sanitari e dove sono stati presentati altri due disegni di legge, uno presentato da Fratelli d’Italia e l’altro dalla sinistra sempre sullo stesso tema.

Come può la categoria medica riconquistare la fiducia della popolazione?

Questo è l’altro problema. L’operatore durante il servizio non è un pubblico ufficiale. Le aziende ad oggi hanno sempre lasciato i medici da soli, abbandonati a se stessi. Con la procedura d’ufficio invece si supererebbe. Per cui noi abbiamo chiesto questo accorgimento e devo dire che nella prima stesura dell’Osservatorio della Regione Lazio si consiglia alle aziende di stare vicino al medico in fase di querela.

Se il medico venisse riconosciuto come pubblico ufficiale ci sarebbero una serie di oneri per lui.

Infatti, noi non vogliamo che sia definito tale in senso stretto, ma che nell’ambito della legge ci sia la possibilità di procedere lo stesso d’ufficio, indipendentemente dalla figura dell’operatore, in modo tale da far emergere tutto quello che noi oggi non vediamo, perché ci sono vari tipi di violenza, verbale, fisica, minacce, insulti, percosse, omicidio.

Poi ci sono le donne che hanno paura di svolgere la loro attività professionale in luoghi più sperduti e limitrofi. Perché un’azienda sanitaria non si pone la domanda di mettere una donna in condizione di lavorare in sicurezza?

Le strutture devono essere vigilate e i turni controllati, non c’è dubbio. Addirittura, nel Friuli Venezia Giulia c’è stata l’iniziativa degli alpini che autonomamente si sono resi disponibili a scortare i medici, sia donne che uomini, nel momento in cui vanno a svolgere le loro attività e poi rimangono di guardia. Questo è stato un segnale forte. Noi abbiamo chiesto al Prefetto di Roma e ad altri di mettere dei posti di protezione nei Pronto Soccorso, di vigilare in alcune strutture in particolare.

Una volta c’erano.

C’erano una volta e poi sono venute meno per mancanza di personale, è un problema nazionale.

Lei confida che ci sia una soluzione a queste problematiche oppure ci stiamo avviando verso una lenta china?

Se stiamo con il fiato sul collo penso di sì. Perché a parte i medici che subiscono la violenza e gli operatori, anche i pazienti vengono danneggiati se i medici non sono sereni nello svolgimento della loro attività. Per cui è un problema grosso che bisogna assolutamente risolvere. È però uno dei tanti problemi che ha la sanità in questo momento. Quindi fa parte di una di quelle cose che vanno a tutela del cittadino. Bisogna isolare certi soggetti. È anche questione di educazione civica che manca, perché non c’è solo la carenza nelle strutture sanitarie, c’è carenza anche nelle scuole, professori picchiati, nei campi da gioco del calcio, guardi gli arbitri; negli autobus, nei taxi. Si vive un grandissimo momento di inciviltà. In più, dobbiamo recuperare quel rapporto fiduciario e questo dipende un po’ da tutti quanti, dai media, dall’aggressività di certi avvocati scorretti, medici che non sanno comunicare con i pazienti, che non sanno cos’è l’empatia nel tempo di cura, perché ciascun paziente ha diritto al suo tempo nella cura. Queste sono cose che camminano insieme e vanno superate tutte quante.

Questo mea culpa mi piace.

Un mea culpa relativo, perché c’è qualcuno che non sa comunicare e quello è un problema proprio personale ma bisogna anche considerare che abbiamo attualmente un personale molto ridotto e si lavora sempre in emergenza e si andrà sempre a peggiorare per mancanza di specialità che vedremo sempre meno nel panorama sanitario del Paese da oggi a venire. C’è un collega che mi diceva giorni fa “O faccio un politrauma o un’emorragia, sono da solo e devo decidere da chi devo andare”. Certe volte ho dei colleghi che si trovano in situazioni terribili come questo e allora alla faccia della comunicazione! Bisogna invece dare il tempo necessario al professionista per cui ci si possa dedicare al paziente senza stress. Col fatto del turnover, col fatto che non assumono più nessuno, la cosa si sta esasperando sempre di più. Bisogna risolvere il problema. Poi c’è la parte burocratica che crea ostacoli quotidianamente, il paziente fa la fila per ore allo sportello e poi arriva dal medico già frustrato.

C’è carenza dei medici perché c’è un grosso problema con le specializzazioni?

Manca una programmazione corretta per il percorso che i medici devono chiudere non con la laurea, ma con la specializzazione. In Italia non programmiamo mai nulla come in tutte le cose e così tanti vanno via a lavorare all’estero, anche per il blocco del turnover, dopo che a spese nostre abbiamo specializzato queste persone andiamo a coprire errori fatti da altri in altri Paesi con le nostre risorse finanziate da noi. Ogni specializzato ci costa circa 400mila euro con soldi pubblici nostri. Alcune specialità vanno anche deserte perché a rischio professionale molto elevato, come ortopedia, ginecologia, anestesia, chirurgia. Per cui bisogna dire che in Italia, come in Polonia e Messico, c’è la penalizzazione del medico. Se sparo a una persona per strada o faccio un errore medico è la stessa cosa nel penale. O creiamo un meccanismo differente e allora creiamo un supporto per i colleghi oppure non so come andrà a finire. Perché un errore può accadere, l’importante che non sia dovuto a negligenza, imperizia. Anche l’apertura a tutti senza il numero chiuso della facoltà di Medicina, senza una programmazione delle specializzazioni, diventa un problema enorme per due motivi: le borse non sono sufficienti, tanti colleghi si laureerebbero ma non possono entrare nel mondo del lavoro, perché non si potrebbero specializzare. Poi perdiamo ogni anno una città grande come Parma come numero di nascite e nessuno ne parla. E quindi se si aprono i numeri chiusi delle università, succederà che poi il medico per vivere si dovrà inventare una malattia. Ci vuole un numero anche lì programmato, comprendendo quali sono le esigenze del territorio.

@vanessaseffer

Share

Che brutto momento per i medici

Share

Che brutto momento per i mediciSolo pochi giorni fa scrivevamo dello spot televisivo e radiofonico contro la categoria medica. Uno spot promosso dall’ennesima associazione di presunta tutela degli interessi dei cittadini, laddove gli interessi, di natura esclusivamente economica, vengono rappresentati da quanti lasciano balenare l’idea di sostanziosi risarcimenti ottenibili a costo zero, denunciando per malpractice un medico. Iniziative che, in spregio alla deontologia professionale ed anche al buon senso, promettono anche “nessun costo in caso di rigetto della denuncia”. Ricordate il personaggio di Walt Disney, quell’avaro ma simpatico Paperon de’ Paperoni, le cui pupille si trasformavano nel simbolo del dollaro quando qualcuno gli faceva intendere la possibilità di facili e lauti guadagni? Ingordigia e avarizia ma almeno tanta simpatia: e in tante situazioni alla fine usciva il cuore d’oro del vecchio zione plutocrate. Magari ora il simbolo del dollaro viene sostituito da quello dell’euro nelle pupille di questi promotori finanziari di facili arricchimenti alle spalle dei camici bianchi. E, visto che le strategie di marketing sono in continua evoluzione, ci permettiamo di suggerire a questi sedicenti benefattori una variante pubblicitaria, un’offerta promozionale cumulativa: denuncia tre medici, il quarto lo aggrediamo noi, magari al Pronto Soccorso, gratis! Sì, proprio così: questa può essere la nuova strategia pubblicitaria. Magari è un po’ aggressiva ma che importa, i medici alle aggressioni ci hanno fatto il callo. E anche agli stupri durante i turni di guardia, ai colpi di cacciavite inferti in un parcheggio al termine del servizio, a qualche colpo di pistola sparato così, tanto per dare una lezione a quel dottore che “ha ammazzato” un parente. E vai col Far West, con la giustizia sommaria, e tutto questo nel silenzio della politica che ha difficoltà a definire questi fenomeni nell’unica maniera possibile: azioni criminali.

E queste azioni criminali potrebbero anche essere, almeno in parte, frutto di queste anomale brutte campagne mediatiche. Bene ha fatto il presidente dell’Ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, a chiedere al ministro della Salute Giulia Grillo, anche lei medico, “di agire a tutela soprattutto dei cittadini, ma anche dei suoi colleghi e di voler porre in atto tutte quelle azioni che riterrà opportune, intervenendo sugli organi competenti per l’adozione di tutti quegli strumenti che evitino messaggi distorti, veicolati addirittura da canali pubblici” e ancora che “siano attivati tutti gli strumenti di repressione prima e di controllo poi di ogni discutibile forma di pubblicità, da qualunque parte provenga, che danneggi il pubblico interesse e la corretta informazione e che soprattutto non inganni i cittadini”. E bene ha fatto Biagio Papotto, segretario generale Cisl medici, a chiedere a gran voce “perché nessuno tra i politici, gli opinion leader, i commentatori mette in evidenza quanta fatica, quante vite vengono salvate ogni giorno, quanta qualità c’è nella sanità italiana, che mette il nostro Paese al terzo posto nel mondo”.

L’argomento è ampio e complesso, ma occorre avere la consapevolezza che, a fronte dei milioni di atti medici eseguiti ogni giorno, tutti i giorni dell’anno, i casi accertati di malpractice sono davvero una percentuale ridottissima. Davvero dobbiamo continuare a farci male come cittadini e come collettività solo perché qualcuno ha interesse a scatenare una corsa al risarcimento con lo slogan che tanto provarci non costa nulla?

@vanessaseffer

 

 

Share