E la domenica Giggino si riposò

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E la domenica Giggino si riposò“La Domenica andando alla Messa, compagnata dai miei amatori, mi sorpresero i miei genitori. Monachella mi fecero andar”.

Così cantava Gigliola Cinquetti nel 1970. Più di cento anni prima, nel marzo 1861, tale Camillo Benso Conte di Cavour, che certo non frequentava il Festival di Sanremo, nel discorso al Parlamento con cui appoggiò l’ordine del giorno che acclamava Roma capitale d’Italia, pronunciò la famosa frase “Libera Chiesa in libero Stato”.

A voler dare ascolto a quanto si percepisce in questi giorni relativamente ad uno strano asse tra i più alti vertici dello Stato che già fu pontificio ed il movimento degli “uno vale uno”, qualcuno potrebbe pensare che sia il caso di riprendere a dire con rinnovato vigore “Libera lo Stato dalla Chiesa”.

Io non credo, non voglio credere che il buon Tafazzi, il noto personaggio televisivo vestito con la tuta nera, autolesionista al punto da darsi bottigliate lì dove non batte il sole e sono custoditi i tesori della genetica riproduttiva, abbia preso armi e bagagli e si sia trasferito oltre Tevere permeando di sé e del proprio modus operandi il pensiero, le parole, le opere e le omissioni dei più alti vertici ecclesiali.

Sia ben chiaro, e lo scrivo a scanso di equivoci, la vostra cronista non soffre di laicismo, ateismo, agnosticismo, anticlericalismo, tardo illuminismo, comunismo e mi cominciano a mancare le desinenze ma il concetto credo sia più che chiaro. Quindi eviterò di riportare alla memoria argomentazioni su cui si è già ampiamente dissertato. Accuse di pedofilia: lette. Accuse di abusi sessuali: letti, inteso come verbo e non come giaciglio. Scomparse misteriose: lette. Giravolte finanziarie: lette. Ristrutturazioni immobiliari per ministri in toga rossa: lette. Giordano Bruno: bruciato. Ma all’epoca non c’erano le rilevazioni sulla tossicità dei fumi, né le agenzie regionali per la protezione dei danni ambientali e né i dipartimenti di prevenzione. Credo anzi che il 17 febbraio del 1600, data fissata nella calda memoria di Campo de’ Fiori, le Aziende sanitarie locali non fossero state ancora neanche teorizzate e infatti le liste di attesa per i candidati al rogo non erano lunghe né erano oggetto di battaglia politica e di mancata uscita dal commissariamento della sanità. Fino a quel giorno di febbraio il nostro ardente filosofo portava avanti la sua intuizione della originaria unità e infinità del tutto, in cui l’Uno che è Dio, infinito in un solo atto, si riverbera e moltiplica in infinite modalità di esistenza attraverso un processo immanente alla stessa natura divina.

Pertanto, sempre a detta dell’infiammabile, ovunque è visibile Dio e la religione consiste nel riconoscere Dio ovunque. Ma se Dio è ovunque, sappiamo che i Pooh ci hanno suonato almeno due volte. Se è ovunque allora è una concezione tipica dell’animismo secondo cui ogni fenomeno dell’universo è dotato di anima e vive una propria vita, anch’essa creduta divina e degna di culto. Si dirà: ma l’animismo è cosa quasi preistorica! E perché secondo voi non è un ritorno alla preistoria anche solo ipotizzare la chiusura dei grossi centri commerciali e degli ipermercati il giorno di domenica? Che poi il giorno domenicale è proprio quello in cui Qualcuno si riposò, è vero, ma certamente non chiese ai nostri politici con le cinque stelle di contribuire a tagliare un centinaio di migliaia di posti di lavoro a causa della stimata perdita dell’importante e vitale fatturato prodotto nel giorno che fu di Pippo Baudo e di Novantesimo minuto. È un tentativo di captatio benevolentiae da parte di Giggino? È un calcolo elettorale per ingraziarsi il voto dei cattolici? E siamo certi che tra i centomila – esagerata – ottantamila – esagerata – che perderanno il lavoro tra occupati diretti ed indotto non ci sono cattolici che perderanno il sostentamento dei figli, la propria dignità umana, la voglia di andare in chiesa e forse anche la fede? Sì, la fede, quella spirituale e magari anche quella che si portava all’anulare prima di portarla al compra oro e rivenderla a 36 euro al grammo, prezzo aggiornato ma soggetto ad oscillazioni brusche come i recentissimi dati elettorali.

Voglio continuare ad andare anche la domenica negli ipermercati, girare all’infinito alla ricerca del quasi introvabile parcheggio e poi, sfinita e sfiduciata, andarmene al negozietto aperto proprio per cercare di resistere alla crisi economica. E poi dire “mai più di domenica al centro commerciale”. Ma voglio essere io a dirlo, in autonomia, gestendo al meglio il mio tempo. Non ho mai sentito dire che le case del Signore devono essere aperte solo di domenica nel giorno a Lui consacrato.

Ceteris paribus, niente paura per chi non ricorda il latino c’è internet, vorrei non iscrivermi d’ufficio tra quanti ritengono che sia ormai giunta l’ora di liberare la Chiesa dalla sovrastruttura istituzionale. In effetti l’iscrizione potrebbe non servire: andando avanti di questo passo i supermercati saranno chiusi nella sera del dì di festa, chiedendo un prestito a Leopardi, ma anche le Chiese rischieranno di essere vuote come le pance dei nuovi disoccupati. Andiamo in pace e mettiamoci il cuore in pace: vincerà Tafazzi.

@vanessaseffer

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Rocco Buttiglione di qua e di là del Tevere

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Rocco Buttiglione di qua e di là del Tevere“Nostalgia canaglia”, per dirla come un autore caro agli italiani almeno quanto la Democrazia cristiana. Un sentimento che impedisce a tanti ancora di immaginare un futuro, rimanendo ancorati ad un passato che di fatto non tornerà più, impedendo anche al Paese e ai suoi abitanti più giovani, i pochi rimasti, di crescere e di emanciparsi, rischiando di sognare un contentino mensile che piuttosto che essere “una misura di politica attiva del lavoro di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale”, potrebbe facilmente diventare un incentivo a restare perennemente col pigiama sul divano di casa e una Playstation in mano.

Ne parliamo con Rocco Buttiglione, filosofo, politologo e docente universitario. È stato segretario del Partito popolare italiano (Ppi) nel 1994, e fondatore nel 1995 dei Cristiano democratici uniti (Cdu). Deputato dal 1994 al 2018, parlamentare europeo (1999), due volte ministro (2001-2006) degli Affari europei e della Cultura. Poi, vicepresidente della Camera, dal 2008 al 2013. Ha sempre difeso la dottrina cattolica e fra le sue pubblicazioni, i suoi numerosi articoli, i molteplici inviti a fare relazioni e seminari nelle più prestigiose università d’Europa e del mondo, ha contribuito con il suo interesse per la cultura polacca, a farci conoscere la filosofia di Karol Wojtyla, pubblicando due libri, il secondo dei quali sull’uomo e il lavoro, alla base dell’Enciclica papale “Laborem exercens”.

Professore, qual è il pensiero sturziano che si può associare alla fine della Democrazia cristiana?

Ho tenuto una relazione ad un convegno organizzato dall’onorevole Rotondi sul primo centenario della fondazione del Partito popolare. C’erano circa 500 democratici cristiani in sala, e io ho detto che per capire Sturzo bisogna applicare un metodo di lettura sintomale. Si tratta di un metodo che legge non quello che c’è scritto ma quello che non c’è scritto. Si legge un testo e ci si aspetta di trovare alcune cose ma invece non ci sono. Immaginiamo di dire l’Ave Maria e manca il Santa Maria. Questo è più significativo che il resto. Cosa c’è quindi che manca in Sturzo? Tutti i cattolici della sua epoca dicevano che bisognava riparare al grave torto fatto al Papa con la distruzione dello Stato Pontificio. Non era possibile fare nulla. Il mondo sarebbe rimasto fermo fin quando non si riparava a questa terribile ingiustizia. Se guardiamo Sturzo, la cosa più importante è che questo lui non lo dice. Esce dal buco in cui stavano tutti i cattolici italiani, apre gli occhi e comincia a parlare dell’Italia, dei problemi che ha il Paese, pur da un punto di vista cattolico. Ma non si fossilizza sulla storia dello Stato Pontificio. Lo Stato Pontificio è finito, a torto o a ragione, perché la Provvidenza ha deciso così.

E non esistendo più non ne parla. Sturzo era avanti a tutti per il suo tempo.

Sì. E anche adesso bisogna andare avanti. Perché fin quando si continuerà a discutere sulla grave ingiustizia che ha subìto la Democrazia cristiana, sul complotto per causa del quale la Dc è finita, non andremo avanti. Sono tutte questioni importantissime di cui si devono occupare gli storici. I politici si devono occupare del Paese. Se mai in Italia risorgerà qualche cosa legato ai valori della Democrazia cristiana, nascerà quando qualcuno comincerà a guardare da quel punto di vista, non la storia passata ma la storia presente, la storia dell’Italia. Non so quanto questo messaggio sia passato, però ne sono convinto.

I politici oggi come si formano, chi li forma? Come possono giovani menti avviarsi alla responsabilità civica e aspirare all’attività politica?

È una bella domanda. Io ho l’impressione che giovani ambiziosi inizino a fare politica immaginando di poter accaparrare per sé un frammento di potere. Sono espressione di gruppi familiari nella provincia italiana, ma anche in alcune grandi città sono espressione di gruppi d’interesse. Ma non esiste una classe dirigente animata da una visione del futuro del Paese da una prospettiva di bene per l’Italia. I grandi luoghi di formazione ideali son venuti meno. Erano i partiti. La Democrazia cristiana e il Partito comunista facevano in modo che tanti giovani animati dalla volontà di costruire un futuro migliore cominciassero a fare politica. Con idee sbagliate, talvolta, però non soltanto per il potere e il denaro. Oggi la mia impressione è che il personale politico venga reclutato un po’ a caso, ma che la motivazione fondamentale sia il denaro e il potere. Machiavelli, che era un grande, era un po’ un birbante ma la politica la capiva, nel “Dell’arte della guerra” forse il suo vero capolavoro, fa parlare il Principe Fabrizio Colonna, grande condottiero della sua epoca, che comincia col dire che “la cosa più importante è il reclutamento. Se io potessi avere un esercito fatto di cittadini che sono lì perché costretti da una preoccupazione per il bene comune, potrei fare un certo tipo di cose. Cosa volete che faccia con eserciti fatti di mercenari, ladri, assassini, vagabondi, gente che esercita il mestiere delle armi soltanto perché attratta dalla possibilità di fare rapine”. Ecco, noi abbiamo il problema del reclutamento. Dove si recluta il personale della politica. Chi è che forma? Una volta la Chiesa formava l’élite politica della Democrazia cristiana. Con la Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), con Papa Montini e Igino Righetti, si ebbe la migliore élite cattolica italiana. Da lì sono venuti fuori Andreotti, Moro e tanti altri. Oggi i cattolici non hanno luoghi di formazione. O hanno paura della politica o fanno corsi di formazione politica che poi alla fine non lo sono, perché la politica si impara facendola. Il vero luogo di formazione è il partito. I partiti non ci sono più, forse hanno meritato di morire perché erano corrotti. Però senza partiti la democrazia non può funzionare e non c’è il luogo di formazione alla politica.

Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco I. Come sono stati e come sono cambiati i nostri politici durante questi tre papati?

Questi tre papati hanno un elemento in comune: sono tutti papati che hanno avuto una fortissima dimensione mondiale e l’Italia ha smesso di essere il centro del mondo.

Perché nessuno di loro è italiano?

Certo. E tutti e tre hanno una visione mondiale e non pensano che l’Italia sia l’ombelico del mondo e nemmeno della Chiesa cattolica. Tenga presente che oggi forse il 40 per cento dei cattolici vive in America Latina, in Europa e Stati Uniti. Forse un   terzo vive in Africa, un sesto in Asia. Mentre in Africa e in Asia stiamo crescendo con ritmi straordinari, in Europa no. E l’Europa diventa sempre più piccola nel mondo. Allora è normale che la Chiesa debba essere più cattolica secondo la dimensione della totalità.

Professore, vuol dire che il cattolicesimo è una religione che appartiene ai poveri?

Anche. Perché certamente noi parliamo dei poveri. Non Ratzinger, ma Wojtyla e Bergoglio vengono da Paesi poveri. Hanno vissuto l’umiliazione della povertà dell’oppressione, tutte le cose terribili che la povertà porta con sé, delinquenza, fame, guerra civile, e portano dentro di sé questo tipo di sensibilità. Paolo VI fece una cosa straordinaria: lui che veniva da un mondo ricco, chiese di convertire la Chiesa ai poveri. Però lui rimaneva uno di noi, i suoi successori no. Wojtyla era espressione di un’altra povertà, diversa da quella del mondo occidentale. Peggiore, ma comunque diversa. Bergoglio è l’espressione della povertà del mondo occidentale. Ci guarda con gli occhi con cui ci guardano quelli dei Paesi più poveri e che noi non vogliamo vedere.

Papa Bergoglio ha detto che dobbiamo accogliere tutti perché è bene aprirsi agli altri. Quando lo ha detto c’era un governo di sinistra che ha accolto di buon grado le sue parole e da lì sembra essere partito un flusso di accoglienza infinito e inarrestabile, in nome di questo bene e che forse in suo nome ne ha approfittato.

Davvero? Io ho l’impressione che il messaggio del Papa sia stato deformato. Francesco ha anche detto che bisogna accogliere quelli che si è in grado di integrare. Ha detto anche un’altra cosa: se volete contenere l’immigrazione dovete dare forza al diritto di non emigrare. Il diritto di non emigrare è qualcosa a cui dai forza se tu sostieni con energia lo sviluppo, la formazione di posti di lavoro nei Paesi d’origine dell’emigrazione. Per la verità questo lo aveva detto anche Giovanni Paolo II. Questo era il tema del mio programma come vicepresidente della Commissione europea. Poi, al Parlamento europeo non gliene fregava niente di questo e si interessavano invece delle opinioni private sulla moralità o immoralità dell’omosessualità e di immigrazione non si parlò più. Tu non puoi avere una politica dell’immigrazione ragionevole da sola. Cosa fai li ammazzi tutti? Li fai venire tutti? Che fai? La politica dell’immigrazione ha senso solo dentro una politica di vicinato. Quando in Europa comandavano i democristiani veri, cioè quando comandava Helmut Kohl, noi avevamo un progetto per questo. Nel 2000 è stato fatto un Consiglio europeo e si delineò un grande programma. Bisognava costruire una grande infrastruttura che andasse da Marrakech fino al Cairo ad abbattere le barriere doganali, per aiutare la transizione democratica in quei Paesi, in modo da poter investire con delle élite politiche e locali capaci di poter gestire lo sviluppo. Poi, dopo andò al potere un altro tipo di politici e tutte queste cose sono state dimenticate. In Europa si è parlato di “Europa dei diritti” senza capire che i diritti si concretizzano dentro ad un progetto, non da soli. Non abbiamo avuto una politica di vicinato, abbiamo lasciato che il Nord Africa decadesse, non abbiamo sostenuto lo sviluppo dei Paesi dell’Africa Sud-Sahariana, e abbiamo creato tutte le condizioni per attivare enormi flussi migratori che non sappiamo come contenere.

Perché non ha potuto occuparsene Papa Benedetto XVI?

Perché abbiamo perso. Quando dico noi penso al grande movimento suscitato da Giovanni Paolo II, dal punto di vista spirituale e culturale, e a quello che un gruppo di politici attorno a Helmut Kohl ha fatto sull’onda di quel grande movimento. Abbiamo fatto la difesa della Germania, abbiamo creato sistemi di economia funzionante nei Paesi distrutti dal comunismo, abbiamo creato Stati di diritto, abbiamo, in qualche modo, riunificato l’Europa e poi siamo stati sconfitti. Il lavoro è rimasto a metà. Volevamo un’Europa politica e non l’abbiamo avuta. Tutti parlano contro l’Europa, ma l’Europa non esiste. L’Europa è un palazzo bellissimo senza il tetto. È ovvio che quando le cose vanno male ci piove dentro e tutto va in rovina. Non ha poteri reali. L’accusano di imporre, ma non impone niente, perché non ha alcun potere reale. Bisognerebbe completare il progetto europeo. I popoli sono rimasti senza sovranità. Il popolo italiano è troppo piccolo per essere sovrano, circondato da realtà molto più potenti: la Cina, l’India, gli Stati Uniti, la Russia. Da soli non siamo sovrani. La sovranità europea non è nata. Allora in Europa dominano le burocrazie che sono il risultato della morte della politica.

E questo nuovo connubio Francia e Germania siglato ad Aquisgrana il 22 gennaio scorso?

Speriamo che funzioni. Ne dubito. Secondo me ci vorrebbe una spinta culturale, prima ancora che politica, molto più forte. Vedo invece che tutti hanno paura della globalizzazione e si accaniscono contro l’Europa, senza capire che l’Europa è la difesa dalla globalizzazione, non è la causa dei problemi della globalizzazione, altrimenti la governeranno gli altri. Il mondo di domani verrà governato da grandi aggregazioni di potere. Gli Stati Uniti ci saranno sicuramente, magari non saranno soli come sono stati per un lungo periodo. Forse ci sarà la Russia, io ho qualche dubbio ma è probabile. Sicuramente ci sarà la Cina e l’India, forse il Brasile. Nessun Paese europeo da solo ci sarà.

Il mondo arabo? Anche i musulmani sono una preoccupazione diffusa in Europa e nel nostro Paese.

I musulmani non sono un problema, il problema sono i cristiani. Se i cristiani avessero valori forti, se credessero in sé stessi, se amassero l’Italia, se amassero l’Europa, sarebbe tutto diverso. Se noi italiani avessimo una cultura e non avessimo un odio per la nostra cultura, l’odio dell’Italia per sé stessa, non avremmo paura di qualche milione di musulmani che arrivano in Europa e sapremmo fare una cosa che loro accetterebbero volentieri: gli daremmo delle regole. Diremmo queste sono le nostre regole. Se volete stare qui dovete accettarle e non ne faremmo arrivare così tanti, perché attiveremmo politiche di vicinato, le quali consentirebbero a quella gente di trovare un lavoro al paese loro. Perché pensiamo che sia divertente lasciare la propria casa, la propria lingua, il proprio Paese, la propria cultura e trapiantarsi in un mondo totalmente diverso, magari arrivando con una barca e rischiando la pelle nelle acque del Mediterraneo? Se lo fanno è perché sono sotto una spinta potentissima che noi potremmo allentare e cresceremmo anche noi economicamente, perché se crescono questi Paesi cresce anche l’Italia. Verrebbero a comprare da noi la conoscenza, il know-how, le tecnologie avanzate di cui hanno bisogno per crescere. Gli Stati Uniti ebbero un gesto di intelligente generosità: ci prestarono un sacco di soldi per ricostruire la nostra economia. Noi ci siamo rimessi in piedi, siamo cresciuti. Così siamo diventati grandi clienti degli Stati Uniti e gli Stati Uniti hanno avuto un boom economico, perché noi con i soldi degli americani abbiamo rimesso in piedi le nostre industrie e abbiamo cominciato a comprare prodotti americani.

Professore, so che ha confidato ad Arafat quella frase sturziana che ha detto ai democratici cristiani.

Sì. Che il mondo arabo ha una forma di ossessione e che nulla potrà essere fatto fin quando non avremo rimediato all’ingiustizia commessa contro il popolo palestinese. Questo li ha bloccati per settant’anni. Quello che è successo in Palestina nel 1948 sarà stata un’ingiustizia. Gli arabi hanno avuto molte colpe, ma comunque è successo. Immaginate cosa sarebbe l’Italia oggi se De Gasperi avesse fatto dei grandi campi di profughi al confine con la Jugoslavia e avesse detto che nessun problema dell’Italia si poteva risolvere prima di avere rimediato all’ingiustizia storica dell’annessione alla Jugoslavia dell’Istria e della Dalmazia. Dove saremmo? Avremmo fatto una mezza dozzina di guerre con la Jugoslavia, avremmo fatto da detonatore per una possibile Terza guerra mondiale e i profughi istriani invece di essere pacificamente inseriti e con grande successo perlopiù dell’economia italiana, morirebbero di fame.

Cosa ha detto Arafat?

Che forse avevo ragione, ma che ormai era troppo tardi.

La nostra società sembra essere impazzita. Nessuno ha più rispetto per l’altro, per le regole, per l’autorevolezza della conoscenza, per i valori dei nostri avi. Sembra che più scorra il tempo più ci stiamo abbrutendo, non abbiamo molti esempi positivi, dove stiamo andando?

Diceva Norberto Bobbio che il più grande nemico della democrazia è l’eccesso di democrazia. Perché la democrazia è il miglior metodo per gestire una comunità politica. Tutti paghiamo le tasse, tutti corriamo i rischi di possibili guerre, così abbiamo il diritto di dire la nostra. Ma l’idea di “democratizzare” la società è un’idea stupida perché ci sono ambiti che non possono essere retti con metodo democratico. L’università per esempio, è una democrazia ristretta. A sapere chi dei giovani merita di diventare dottore e chi no sono quelli che fanno i professori universitari. A sapere chi possono diventare professori ordinari possono essere quelli che sono già professori ordinari. Certo, a volte, fanno un uso vergognoso di questo privilegio, allora verrebbero richiamati, ma mai accettando il principio che chiunque può ficcare il naso. Adesso abbiamo dei giudici, dei pretori che pretendono di saperne più della comunità scientifica internazionale sulla Xylella fastidiosa in Puglia, provocando gravi danni all’economia pugliese, perché hanno ritardato l’applicazione di misure che tutta la comunità scientifica unanimemente raccomandava. Adesso abbiamo qualche giudice che pretende di saperne più dei medici per quello che riguarda la tutela della salute e cerca di imporre delle terapie che tutta la comunità scientifica unanimemente condanna. Può sbagliare tutta la comunità scientifica? Certo che può sbagliare. Ogni tanto qualche scienziato rivoluzionario scopre e afferma qualche teoria che manda in pensione buona parte del sapere precedente. Ma di nuovo, a giudicare su di lui, possono essere soltanto i competenti, non si fanno i referendum sulle scoperte scientifiche. Invece adesso sì. Perché è caduta l’autorità della verità. Benedetto XVI aveva messo in guardia contro il relativismo morale. Io, una volta gli ho detto che più pericoloso del relativismo morale è il relativismo cognitivo. Non che si affermano verità diverse sulla morale, non solo, ormai si affermano “verità” non provate, senza l’onere della dimostrazione, negli ambiti più diversi. È stato divertente un episodio: c’era Padoan in tivù. Si può pensare ciò che si vuole di Padoan come politico, ma come tecnico sa quello che dice. C’era una giovane esponente del governo attuale che lo contraddiceva sistematicamente e Padoan aveva difficoltà a rispondere perché se una come la signora non ha le basi minime di competenza per capire un ragionamento di economia per rispondere, bisognerebbe cominciare a parlare come si fa con uno studente di primo anno di università, ma non puoi permetterti nel poco tempo televisivo a disposizione di fare un corso universitario per spiegarle l’abc dell’economia e davanti al popolo l’incompetente spesso sembra più convincente del competente. Leonardo Sciascia ha scritto un libro bellissimo, il suo vero capolavoro secondo me, “Il Consiglio d’Egitto”, che racconta una storia vera: alla fine del secolo XVIII una nave saracena naufraga vicino a Palermo e a bordo c’è un ambasciatore inviato dal re di Tunisi al re di Francia e il viceré di Palermo lo accoglie. Ma nessuno conosce l’arabo. Allora, trovano un prete maltese, Don Vella che non conosce l’arabo ma sa il dialetto maltese che con l’arabo sono parenti e quindi un poco s’intende con l’ambasciatore, lo accompagna, gli fa da chaperon. Quando l’ambasciatore riparte, regala a Don Vella un libro. Dopo un po’ il prete dice che quel libro è una copia delle originarie costituzioni del Regno di Sicilia. C’era il viceré Caracciolo che tentava una grande riforma, abbattendo il potere dei baroni e dando tutto il potere alla corona, e si appoggiava all’idea che le antiche leggi di Sicilia erano quelle di una monarchia assoluta: il re era tutto e i baroni erano niente. Invece, dal libro di Don Vella risultava che il re era un primus inter pares, non ha il diritto di togliere ai baroni le loro prerogative. Tutta la nobiltà siciliana è compatta intorno a Don Vella. Allora Caracciolo, che ha fiutato l’imbroglio, fa venire uno studioso tedesco che sa l’arabo e fanno il confronto aperto davanti al popolo palermitano. E lo fanno aprendo a caso il libro e chiedendo di tradurre una pagina a caso all’uno e all’altro. Don Vella preciso ripete perché ha imparato tutto a memoria. Il tedesco capisce che in realtà quella è una normale copia del Corano e come fanno tutti quelli che leggono un libro straniero per la prima volta ogni tanto s’intoppano, si correggono, così il popolo decreta il trionfo di Don Vella. Se si pensa di poter giudicare senza studio finisce sempre così. Nella nostra società siamo entrati in una fase regressiva.

Ciclicamente si giunge a situazioni di decadenza sociale e culturale come queste, da cui si viene fuori con guerre o pestilenze.

Vedremo. Nell’immediato è il compito dei benedettini mantenere almeno in alcune realtà, magari limitate, la grande cultura che adesso viene abbandonata e quindi il metodo scientifico. Quindi l’abitudine a giudicare secondo la logica, ad accertare la verità dei fatti prima di arrivare a delle facili conclusioni, il metodo critico. Ne avremo inevitabilmente bisogno.

Siamo in pace da oltre settant’anni. Ci si annoia della pace?

Quando ci si dimentica quanto è terribile la guerra allora ci si annoia della pace. Questa nuova realtà comincia in Europa quando va al potere una generazione che non si ricorda quanto è brutta la guerra.

@vanessaseffer

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Umanità ai margini

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Unità ai marginiCorreva l’anno 1979 e gli italiani rimasero inorriditi alla notizia che un somalo senza dimora era stato bruciato vivo a Roma da alcuni ragazzi annoiati sotto il portico di via della Pace.
Notizia cruda, uno shock, un pugno nello stomaco ed uno schiaffo alle coscienze di connazionali che non avrebbero mai potuto immaginare che molti anni dopo avrebbero avuto modo di assistere ai video choc dell’Isis con soldati nemici trasformati in torce umane.

Eppure il 1979, tanto per rimanere in tema, era l’anno in cui usciva nelle sale Apocalypse Now: ma era un’altra guerra, un altro fronte, e magari a molti, nel film, appariva indistinto il confine tra buoni e cattivi. Il 1979 era anche anche l’anno in cui nascevano Rai 3 e Roberto Saviano, ma garantisco che il collegamento è solo temporale, o almeno spero. Nasceva Valentino Rossi e i Pink Floyd pubblicavano The Wall e qui la cronista si pone in deferente e grata riconoscenza.

Neo fascisti ed estremisti di sinistra si prestavano ad essere drammaticamente tiro a bersaglio gli uni contro gli altri; il centesimo anniversario della nascita di Albert Einstein veniva ricordato con toni non enfatici, e la vittoria elettorale dei conservatori in Gran Bretagna portava Margaret Thatcher a diventare il primo politico di genere femminile ad occupare la carica di Primo Ministro. La Democrazia Cristiana, ripeto la Democrazia Cristiana e sembra preistoria, correva col suo 38,3% alle politiche, anticipate tanto per cambiare, ed una delle due squadre di Milano vinceva lo scudetto: in questo caso, in effetti, un tempo davvero molto lontano.

Avellino, gennaio 2007, a morire ustionato era stato un senzatetto di origine polacca che aveva trovato rifugio nella zona del Mercatone. Rimini, novembre 2008. Arrestati e reo confessi quattro ragazzi, tutti ventenni, fermati dalla polizia per aver dato fuoco ad un clochard mentre riposava su una panchina. Avellino, novembre 2017, dieci anni dopo il tragico episodio del Mercatone, ecco scatenarsi nello stesso luogo la violenza in tutta la sua barbarie. Oleg un 40enne di nazionalità ucraina, riportava multiple ustioni, fortunatamente non mortali: in tre gli avevano lanciato contro una bottiglia incendiaria piena di benzina.Tutto sarebbe nato per un “gioco” di alcuni adolescenti.
Palermo, marzo 2017. Bruciato vivo un clochard mentre dormiva su un marciapiede davanti al ricovero dei Cappuccini. Verona, dicembre 2017. Clochard marocchino di 64 anni bruciato vivo nella automobile che rappresentava anche la sua dimora.

Palermo, dicembre 2018, Aid “Aldo” Abdellah clochard molto conosciuto dagli abitanti e dai negozianti di piazza Ungheria, ucciso da un sedicenne e un dodicenne rom per rubargli un telefonino. Di lui rimane l’inseparabile amico gatto rosso Helios.  Nessuna condanna per gli adolescenti responsabili della morte. Hanno ucciso per gioco o per noia, hanno ucciso in modo orribile ma, perché c’è sempre un “ma”, al momento del delitto, uno aveva 12 anni e quindi non era imputabile, l’altro ne aveva 16 e quindi il Tribunale dei Minori ha concesso a quest’ultimo la messa in prova per tre anni ovvero l’affidamento in comunità, l ‘obbligo di svolgere lavori socialmente utili e di sottoporsi a psicoterapia, senza dunque trascorrere un giorno in carcere.

Notizia anche questa cruda: ma dove sono finiti, quasi quaranta anni dopo, lo shock, il pugno nello stomaco e lo schiaffo alle coscienze dei connazionali? Accantonati a fronte del flusso inarrestabile dei migranti? Superati dal nuovo sentire sociale in stile “fai da te” per difendere se stessi, i propri familiari e le proprie cose? Minimizzati dalla necessità di difendersi dall’invasione non silenziosa e non regolamentata dei trasportati da canotti e Ong “senza fini di lucro”? Dimenticati alla luce delle azioni di chi sa parlare alla “pancia” degli italiani? Comunque sia sono azioni orribili e dovremmo chiederci se è anche colpa di noi madri e padri, della nostra incapacità di investire nel presente oltre che nel futuro dei nostri figli, di dedicare loro tempo e amore senza identificare in loro il prossimo rapper o calciatore o starlette fabbrica soldi. Gioventù da aiutare ma anche da non lasciare impunita di fronte al massacro dei valori e di altri esseri umani.

@vanessaseffer

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Un sabato molto speciale a Piazza San Giovanni

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Centomila? Duecentomila? Il balletto delle cifre lasciamolo alle comunicazioni ufficiali della Questura, oppure alle note enfatiche dei sindacati oppure anche, ma si dai, a quanto diranno i detrattori governativi. Resta il fatto che l’Italia che difende il lavoro, che cerca il lavoro, che vuole tenerselo il più a lungo possibile era presente nella testa di quanti oggi, in una splendida e soleggiata Roma, hanno sfilato in corteo per raggiungere la storica Piazza San Giovanni aderendo alla manifestazione di Cgil, Cisl e Uil. Colori allegri, qualche battuta, la colazione insieme, volti sorridenti che non riuscivano a nascondere la grande stanchezza di un lungo viaggio. Striscioni e bandiere dal Friuli alla Sicilia. Giovani e anziani, uomini e donne in casacche coi colori che erano qualcosa in più, molto di più di un segno di appartenenza. Un segno di orgoglio in un Paese dove la politica è diventato un talk show urlato o un click cibernetico su qualche tastiera di qualche piattaforma. Alcuni volti noti, una Camusso finalmente rilassata e felice tra la sua gente che la stringeva, disponibile a fare selfie e ad abbandonarsi ai complimenti di tanti anche con i colori delle bandiere bianco-verdi e blu. Tanti i volti sconosciuti. Gente che tira avanti per arrivare a fine mese, famiglie coi bambini. Un clima anche allegro, nessuno slogan urlato a manifestare una rabbia che eppure potrebbe forse avere ragione di esistere nel vuoto di idee e nel pieno di proclami e di promesse. “Rieccoli i sindacalisti. Ho trent’anni e mio nonno mi ha detto che i sindacati hanno rovinato l’Italia”. Inutile spiegare al giovane e gentile commesso di un negozio, dove la vostra cronista era entrata un attimo a ristorarsi, che magari i sindacati pur tra mille colpe hanno avuto il merito di tenere unito il Paese in momenti difficili che non riusciamo a dimenticare. Magari senza i sindacati non ci sarebbe democrazia. Poi intendiamoci, anche in una fase storica in cui “uno vale uno”, inizia a contarne centomila o duecentomila e poi vediamo quando finisce la conta.
@vanessaseffer

Da Sanità Online News

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Anche Cisl Medici alla manifestazione nazionale unitaria CGIL CISL UIL #FuturoalLavoro

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Anche la Cisl Medici aderisce alla manifestazione nazionale unitaria che vede CGIL CISL e UIL sfilare in corteo da piazza della Repubblica a Roma a Piazza San Giovanni in Laterano, il 9 febbraio 2019 alle ore 9, per #FuturoalLavoro . in relazione all’irrigidimento dell’applicazione delle nuove norme di sicurezza non potrà essere utilizzate piazza del Popolo. L’appuntamento è a Piazza San Giovanni. L’esigenza di un cambio della piazza si è avvertita per la grande affluenza prevista alla manifestazione. Se ciò da una parte è motivo di orgoglio per la grande adesione è soprattutto motivo di ulteriore impegno per aumentare ancora di più gli sforzi di partecipazione essendo questa piazza più capiente. Confermato d il concentramento dei manifestanti in Piazza della Repubblica alle ore 9.00 ed il successivo corteo che raggiungerà Piazza San Giovanni per il comizio conclusivo dei Segretari Generali Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
Vanessa Seffer

Da Sanità Online News

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