Rems, presìdi sanitari o prigioni bianche? (seconda parte)

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Rems, presìdi sanitari o prigioni bianche? (seconda parte)Nella Asl Roma 5 di Tivoli si è tenuto il primo tavolo italiano di discussione sulle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), con la significativa partecipazione di una rappresentanza delle persone assistite nelle strutture, oltre che dei sindaci in rappresentanza della cittadinanza ospitante le strutture, degli operatori sanitari e aziendali, del Garante dei detenuti.

Per la prima volta ci si è seduti tutti insieme allo stesso tavolo per valutare le attività in corso e per discutere dei problemi da affrontare. Purtroppo a questo tavolo, per una problematica improvvisa, mancava la Procura che ha un ruolo importante in questa vicenda; non bisogna dimenticare inoltre che sebbene la riunione fosse in una Asl specifica, quella di Tivoli, nelle Rems ci vanno persone provenienti da ogni parte della regione. È importante la partecipazione degli organismi giudiziari, anche quelli che istruiscono i procedimenti, perché uno dei problemi più gravi è di lavorare sempre nella più stretta necessità. Abbiamo chiesto al Garante dei detenuti, Stefano Anastasìa (nella foto), presente alla riunione, una sua opinione sulla situazione obiettivamente anomala che vivono buona parte delle persone ospitate nelle Rems, molte delle quali ancora in attesa di una decisione definitiva da parte della magistratura sulle loro condizioni di salute mentale, sulla loro pericolosità sociale, come se fossero, diciamo, in una sorta di misura cautelare.

“È una situazione effettivamente anomala – spiega Anastasìa – rispetto alla quale c’è una difficoltà degli stessi operatori delle Rems ad avviare un piano terapeutico significativo, perché si tratta di persone che l’indomani potrebbero essere pienamente giudicate responsabili del fatto, tornare nell’istituto penitenziario, oppure addirittura essere prosciolte, assolte ed essere liberate, quindi questa è una difficoltà vera, che incide notevolmente sulla lista d’attesa, e su questo versante è importante una sensibilizzazione da parte della magistratura, quella che istruisce i procedimenti e decide sull’incapacità di intendere e di volere per evitare che troppo facilmente ci sia un’associazione tra malattia mentale e pericolosità sociale. Di fronte al presunto autore di reato che abbia problemi di salute mentale più o meno evidenti, la reazione in qualche modo immediata da parte degli organi giudiziari è quella di predisporre una misura cautelare, in questo modo le Rems si saturano facilmente”.

Ma è una mancanza di sensibilità governativa o degli organi giudiziari?

Secondo me è una preoccupazione da parte della magistratura che quando c’è un reato commesso da un presunto malato mentale ha come naturale propensione di mettere in qualche modo in sicurezza e sotto custodia queste persone e si ricorre con eccessiva facilità all’internamento nelle Rems, quindi è un problema culturale della magistratura; ma anche la società ha questi timori.

Ci sono poche Rems? Come si risolve il problema delle liste d’attesa?

Per un versante riducendo le persone indirizzate alle Rems, che sono immaginate dal legislatore come un’estrema ratio, quindi non tutti i malati di mente e gli autori di reato devono andarci. Bisogna avere una particolare pericolosità sociale, tale per cui non possono essere seguiti attraverso altre forme di cure e terapia o magari altre strutture. Qui si apre un altro versante: accanto alle Rems i dipartimenti di salute mentale devono in qualche modo sostenere una capacità di accoglienza da parte di residenze e strutture terapeutiche sul territorio che non necessariamente devono avere le caratteristiche delle Rems, cioè non necessariamente devono essere delle strutture chiuse. E’ chiaro che in assenza di questa capacità di presa in carico sul territorio tutto finisce sulle Rems e le Rems non reggono.

Perché al Nord non ci sono liste d’attesa?

Questo dipende da una diversa capacità di organizzazione dei servizi sul territorio. Non è che al Nord ci sia una maggiore capienza nelle Rems. La regione Lazio ha 91 posti in Rems sui 600 che ci sono in Italia, parliamo di una regione che non avendo 1/6 della popolazione italiana ha quasi 1/6 dei posti in Rems. Laddove ci sono servizi di salute mentale sul territorio che possono prendere in carico persone che abbiano commesso reati minori, seguirli e se necessario ospitarli in strutture terapeutiche territoriali, le Rems non si affollano. Viceversa, laddove il territorio non offre queste possibilità tutto viene rivolto alle strutture contenitive delle Rems. Si rischia di cadere dalla padella alla brace, in fondo gli ospedali giudiziari che sono stati chiusi erano questo. Se si vuole dare seguito a quella riforma bisogna essere capaci di costruire una capacità di presa in carico del territorio nel suo complesso, che riduca i tempi di permanenza per esempio in Rems. Quando gli operatori della Rems ritengono che il paziente sia maturo per lasciare la struttura in assenza di una struttura familiare solida, di una ospitalità, non si sa dove mandarle queste persone. Dopo 6 mesi-un anno si può rivalutare la pericolosità sociale e riconoscere che la persona può stare in una struttura residenziale terapeutica sul territorio, ma per far questo è necessario che il territorio sia attrezzato, accogliente.

Quanti incontri sono previsti, a quando il prossimo tavolo?

Non abbiamo uno scadenziario preciso, ma realisticamente quattro volte l’anno.

Tra i partecipanti al tavolo tecnico anche una rappresentanza dei pazienti. Si rendono conto dell’importanza data loro in questa circostanza?

Mi è sembrato che fossero ben consapevoli dell’importanza di questa partecipazione, che hanno utilizzato per rappresentare i problemi che hanno dentro. Ci hanno costretto ad ascoltare le loro problematiche di ordine pratico e organizzativo, della possibilità di svolgere attività di studio e di formazione al lavoro. Dopo aver superato i momenti di scompenso ritengono di dover superare anche queste sfide.

La riforma della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e la nascita delle Rems non si può esaurire in questo semplice cambiamento, da quei grandi istituti a queste piccole strutture. Ma comporta una diversa modalità di funzionamento di tutti i servizi di salute mentale. Il lavoro è molto lungo e va esteso a tutti i servizi di salute mentale, sul territorio, dentro gli istituti di pena, dentro le Rems. La riforma è a tutto campo, questa è la sfida che abbiamo davanti, con tutta la fatica del caso.

Per adesso il passo del “tavolo del dialogo” delle parti in causa, voluto dal Commissario straordinario della Asl Roma 5, Giuseppe Quintavalle, ha dato stimoli a una nuova forma di collaborazione che certamente porterà maggior chiarezza, obbligando ciascuno degli attori in campo a fare il suo lavoro, al meglio.

@vanessaseffer

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Rems, presìdi sanitari o prigioni bianche? (prima parte)

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Rems, presìdi sanitari o prigioni bianche? (prima parte)   Dal 2015, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) hanno sostituito i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Queste strutture sanitarie accolgono di fatto autori di reati molto gravi essendo affetti da disturbi mentali ed essendo conseguentemente socialmente pericolosi. La gestione interna delle Rems è di esclusiva competenza sanitaria, quindi delle Asl. Qui le persone vengono curate, non recluse, quindi si tratta di “pazienti”. Il tempo massimo di permanenza nella Rems non può essere superiore al massimo della pena prevista del reato del paziente. Qui, pertanto, dovrebbero intervenire in modo essenzialmente perfetto le parti in causa: i medici, la magistratura, la politica.

Nel Lazio ci sono cinque Rems: due a Palombara Sabina e una a Subiaco dipendenti dalla Asl Roma 5 di Tivoli; due a Pontecorvo e Ceccano dipendenti dalla Asl di Frosinone. 91 posti in tutto con 70 persone in lista d’attesa solo nel Lazio, 400 nel Paese, dal Lazio in giù.

“Questo dipende da tanti fattori – ci spiega il primario psichiatra dottor Giuseppe Nicolò, direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 5 – la tempistica nelle Rems dipende in parte dal sanitario e in parte dal giudice. Il paziente rimane da noi 3-4 mesi, abbiamo un tempo di permanenza medio che supera di poco l’anno solare, una media di 380 giorni, oppure tempi molto prolungati che superano gli 800 giorni.

Mentre i pazienti sono in lista d’attesa, nel frattempo dove si trovano?

I pazienti in attesa di Rems sono un problema nazionale. Alcuni essendo stati giudicati incapaci non punibili non possono stare in carcere, ma alcuni sono reclusi. Magari qualcuno di questi mentre si trova in carcere può mettere in atto comportamenti suicidari e questo è un problema gravissimo oltre che una disgrazia, perché si trova in un posto dove non dovrebbe stare. Altri invece sono in libertà e questo crea un altro tipo di problema, perché la misura di sicurezza serve a proteggere la società solo dalle eventuali azioni criminose del soggetto che ha un disturbo mentale. Succede solo in alcuni casi che abbiamo disponibilità per qualche soggetto e che questo sia irrintracciabile. I tempi di attesa possono variare da alcuni mesi all’anno.

Queste strutture sanitarie accolgono persone affette da disturbi mentali gravi, socialmente pericolose. Autori di omicidi, anche efferati. Queste persone vanno curate e poi reinserite nella società, come scritto nella norma. Che vuol dire, che alcuni di questi pazienti spariscono?

Essendo a piede libero, alcuni di questi soggetti che non sono stati inseriti all’interno delle Rems possono darsi alla fuga. Eventi rari ma possono verificarsi. I pazienti che vengono da noi invece intraprendono un trattamento farmacologico, un trattamento riabilitativo e una riabilitazione in senso lavorativo. Così alcuni pazienti possono davvero reinserirsi in un ambito sociale. Ma la realtà vuole che circa il 62 per cento dei pazienti dimessi dalle Rems finiscono in strutture riabilitative meno intensive, come le comunità terapeutiche; ciò significa che quando la situazione è molto grave già aver ottenuto che il soggetto aderisca ad alcune regole e svolga una serie di attività quotidiane è un grosso risultato. Con molta onestà non possiamo pensare a una integrazione totale per questi pazienti con sintomi così gravi.

Come si svolge la vita all’interno di una Rems, i pazienti hanno spazi, uscite autorizzate, attività collettive?

Sì, i pazienti hanno uscite autorizzate due o tre volte alla settimana, fanno attività sportive in strutture vicine e hanno qualche permesso di tornare a casa dai familiari quando è possibile. Tanta psicoterapia, terapie di gruppo, valutazioni testologiche, riabilitazioni.

I cittadini in questo caso di Palombara Sabina o di Subiaco non sono dubbiosi o impauriti di avere queste presenze intorno?

Non è mai successo nulla, i nostri utenti sono ben curati e trattati. Poi ci muoviamo in condizioni di massima sicurezza avendoli osservati per un periodo di circa sei mesi, pertanto i rischi possono essere ritenuti gestibili. In tre anni di attività non abbiamo avuto alcun evento spiacevole.

Un punto fondamentale è anche l’accordo con la Prefettura di competenza nell’area dov’è ubicata la Rems per avere uno standard di sicurezza all’altezza.

Quando usciamo avvertiamo i carabinieri che ormai ci conoscono molto bene, però è fondamentale che le nostre uscite le facciamo da soli, nessuno ci dà la scorta perché sarebbe anti-terapeutico.

Quanti operatori avete, e sono altamente specializzati?

Ottantuno operatori nelle nostre tre strutture Rems, 27 operatori per ciascuna. I pazienti sono solo uomini, perché la normativa penitenziaria non prevede condizioni miste. Hanno tutti una ventina d’anni di storia psichiatrica complessa. Molti sono immigrati, o con bisogni complessi, per cui la situazione si complica perché servono mediatori culturali, o c’è necessità di darli in carico a più operatori che svolgono servizi diversi. I pazienti hanno un basso livello culturale nel senso che il livello di scolarità è molto basso, hanno anche invalidità, la gran parte è singolo o divorziato, hanno sviluppato una resistenza ai trattamenti.

Sarebbe stato opportuno seguire questo tipo di persone già anni prima?

Questo doveva essere già stato fatto, spesso vi è stato un fallimento di un progetto territoriale che non ha retto più di tanto.

Avete da poco costituito un tavolo tecnico, prima esperienza in Italia con il dottor Quintavalle, vostro commissario straordinario, che ama sperimentare.

Riproduce in piccola scala in una condizione diversa il tavolo che sta nelle carceri, che mette a confronto i vari attori di questo scenario: la Procura della Repubblica, il Garante dei detenuti, i sanitari, i sindaci in rappresentanza della popolazione e tutta una serie di componenti che ci possono aiutare a valutare a 360 gradi quale potrebbe essere la migliore offerta per questi pazienti.

@vanessaseffer

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Parlamentari in salute

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Parlamentari in saluteLa XVIII legislatura ha tagliato il nastro e non vediamo l’ora di vedere come cambierà il vento almeno per quanto riguarda la situazione della sanità. I disservizi del Sistema sanitario nazionale (Ssn) non sono mai diminuiti, anzi, al contrario, sono aumentati. Il Paese è sempre più spaccato, con un Nord dove gli ospedali sembrano funzionare meglio e un Sud dove perlopiù arrancano e in cui le liste d’attesa sono lunghissime e da accettare con rassegnazione, dove se ti dice bene per fare una tac possono passare tre anni.

Ma adesso che la sanità in Parlamento può contare su 59 veri professionisti della salute tra confermati e new entry possiamo pensare di sperare in miglioramenti e non in tagli, sprechi, commissariamenti o incarichi inventati. Possiamo augurarci, ad esempio, che la metà dei pasti delle corsie degli ospedali non finisca nell’immondizia o che il 40 per cento dei farmaci che abbiamo a casa non vada nella spazzatura perché scaduto, oppure che ci siano attese di mesi o anni per gli esami diagnostici.

Adesso abbiamo 37 medici, 8 farmacisti, 4 biologi, 4 psicologi, 2 fisioterapisti, 2 infermieri, un assistente sociale e un operatore sanitario che si occuperanno di legiferare per risolvere gli episodi di corruzione di cui è affetta la sanità nazionale e sappiano mettere ordine a tutto questo. Di questi, 35 siederanno alla Camera dei deputati e 24 al Senato. Il partito più rappresentativo è il Movimento 5 Stelle con 28 parlamentari nei due rami del Parlamento, a seguire Forza Italia con 10 rappresentanti, poi la Lega con 9 e il Partito Democratico con 6.

 

Camera dei deputati

 

I medici: Rossana Boldi (Lega); Fabiola Bologna (M5S); Mario Alejandro Borghese (Maie); Guido De Martini (Lega); Graziano Delrio (Pd); Paolo Ficara (M5S); Giulia Grillo (M5S); Nicola Grimaldi (M5S); Marco Marin (FI); Rosa Menga (M5S); Silvana Nappi (M5S); Nicola Provenza (M5S); Paolo Russo (FI); Doriana Sarli (M5S); Paolo Siani (Pd); Giorgio Trizzino (M5S); Manuel Tuzi (M5S); Leda Volpi (M5S); Alberto Zolezzi (M5S).

I farmacisti: Roberto Bagnasco (FI); Giuseppe Chiazzese (M5S); Marcello Gemmato (FdI); Caterina Licatini (M5S); Andrea Mandelli (FI); Carlo Piastra (Lega);

Altre professioni sanitarie: Massimo Enrico Baroni (M5S), psicologo; Maria Teresa Bellucci, (FdI) psicologa; Elena Carnevali (Pd), fisioterapista; Andrea Cecconi (M5S), infermiere; Giuseppe D’Ambrosio (M5S), fisioterapista; Ilaria Fontana (M5S), biologa; Elena Lucchini (Lega), biologa; Stefania Mammì (M5S), infermiera; Francesca Troiano, (M5S) psicologa; Lorenzo Viviani (Lega), biologo.

 

Senato della Repubblica

 

I medici: Antonio Barboni (FI); Paola Binetti (Ncl); Caterina Biti (Pd); Roberto Calderoli (Lega); Maria Domenica Castellone (M5S); Luigi Di Marzio (M5S); Emilio Floris (FI); Albert Laniece (Autonomie-Psi-Maie); Giuseppe Mangialavori (FI); Gaspare Antonio Marinello (M5S); Raffaele Mautone (M5S); Pino Pisani (M5S); Gianni Pittella (Pd); Maria Rizzotti (FI); Rosellina Sbrana (Lega); Marco Siclari (FI); Pierpaolo Sileri (M5S); Laura Stabile (Forza Italia).

I farmacisti: Elena Cattaneo (Maie); Gianfranco Rufa (Lega).

Altre professioni sanitarie: Elena Fattori (M5S), biologa; Laura Garavini (Pd), assistente sociale; Barbara Guidolin (M5S), operatore socio-sanitario); Raffaella Fiormaria Marin (Lega), psicologa.

Cinquantanove politici che finalmente sappiano che costo abbia un ago nel Lazio, in Campania, in Lombardia o in Sicilia, quanto un lettino operatorio e a quanto ammonta lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri. Diamo loro il tempo di ambientarsi, perché nessuno è mai disposto ad aprire bocca e a rispondere su questi temi.

 

@vanessaseffer

 

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Vaccini, cosa accade se non si rispettano i termini

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Vaccini, cosa accade se non si rispettano i terminiLa prevenzione delle malattie infettive è il primo obiettivo della Sanità pubblica. Il 10 marzo è scaduto il termine fissato dalla legge per la presentazione della documentazione per l’adempimento degli obblighi vaccinali per le famiglie.

In alcune Regioni, quelle che si sono già dotate di anagrafe vaccinale informatizzata, è prevista la possibilità di anticipare anche per l’anno scolastico 2017/2018 la procedura semplificata prevista dalla legge che consente lo scambio diretto di dati tra Asl e Istituti scolastici (al momento hanno aderito solo le seguenti Regioni: Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Toscana, Marche, Bolzano, Trento, Liguria, Lazio, Valle d’Aosta, Sicilia). Valida la scadenza del 10 marzo fissata dalla legge che prevede che nel caso non si sia adempiuto agli obblighi vaccinali sarà vietato l’accesso per asili nido e scuola infanzia (0-6 anni). Per i ragazzi della scuola dell’obbligo (7-16 anni) scatterà la procedura che può portare ad una sanzione pecuniaria da 100 a 500 Euro.

La procedura semplificata prevede che entro il 20 marzo le scuole invieranno una comunicazione scritta alle famiglie che non risultano in regola con gli adempimenti. Entro dieci giorni dalla ricezione di questa comunicazione, i genitori appartenenti a queste regioni sono chiamati a presentare la documentazione che attesti la vaccinazione, l’eventuale esonero o anche la prenotazione dell’appuntamento presso il centro vaccinale. Ed entro il prossimo 20 aprile, i dirigenti scolastici trasmetteranno alla Asl la documentazione delle famiglie. Da lì scatteranno eventuali procedure di richiamo e di recupero.

Nella Lazio, le Asl fra le varie difficoltà hanno saputo far fronte alle esigenze della popolazione, confermando un incremento della copertura vaccinale giunta al 97 per cento. Soltanto nella Asl Roma 5 si è registrato un lodevole incremento del 43 per cento delle vaccinazioni nel 2017 rispetto all’anno precedente: 94.404 vaccinazioni rispetto alle 66.178 del 2016.

“Guardando alle vaccinazioni dei primi mesi del 2018 si può facilmente fare una proiezione per l’intero anno e arriviamo a 120mila vaccinati, in parte per l’apertura di 16 nuovi centri vaccinali, di 4 nuove sale vaccinazioni, alle nostre riaperture di sabato e domenica e all’attivazione di un numero verde e di un sito web dedicato – ha dichiarato il direttore del Dipartimento di Prevenzione della Asl Roma 5, dottor Alberto Perra – abbiamo migliorato l’efficienza, l’informatica e il personale sanitario è di una disponibilità straordinaria a lavorare anche di sabato e domenica. Tutto ciò ha permesso il raggiungimento di questi risultati eccezionali!”.

L’anagrafe vaccinale regionale è una conquista importante, consentirà nel tempo di conoscere la storia di ciascuno, che nel frattempo si potrà essere spostato con la sua famiglia, e allora sarà bene che ci sia presto anche un’anagrafe vaccinale nazionale, che da una Regione all’altra permetta di ricostruire questa storia, per avere un quadro vaccinale completo di una persona che non si disperda nel tempo.

“Adesso siamo noi che comunichiamo alla scuola le liste degli iscritti inadempienti – continua il dottor Perra – poi la scuola, una volta ricevuta la lista, inviterà i genitori a contattare il Centro vaccinale per regolarizzare la posizione del proprio figlio; siamo sempre noi che inviamo alle scuole il certificato vaccinale, che è piuttosto complesso da leggere e non si comprende subito bene se il bambino effettivamente è coperto come richiesto dalla legge, quindi è un modo per alleggerire il carico alle famiglie. Noi abbiamo circa settantamila ragazzi nelle nostre scuole. Immagini settantamila genitori che vengono alla Asl e richiedono settantamila certificati da portare a scuola!”.

@vanessaseffer

 

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