Contrasto legale alle violenze in corsia

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Contrasto legale alle violenze in corsiaIl fenomeno delle violenze in corsia, arrecate ai danni dei medici e degli altri lavoratori della sanità, all’interno dei Pronto Soccorso piuttosto che nei reparti di degenza, è in continuo aumento. La Cisl Medici Lazio ha chiesto, pertanto se, ai fini di garantire una efficace ed adeguata tutela della salute del personale medico che, nell’esercizio della propria attività professionale e all’interno del proprio ambiente di lavoro, subisce aggressioni o violenze, sia possibile riconoscere in capo al sindacato, quale ente portatore di interessi diffusi, la legittimazione ad una autonoma costituzione di parte civile nel processo penale.

L’avvocato Mario Scialla, consigliere segretario dell’Ordine degli Avvocati di Roma, avvocato penalista, ci fornisce il seguente parere.

La norma processuale di riferimento è l’articolo 91 del Codice di procedura penale.  L’introduzione di questa norma all’interno dell’ordinamento ha, senza dubbio, rappresentato una importante innovazione nel nostro sistema processuale: il suo intento è, infatti, quello di favorire la partecipazione degli enti collettivi allo svolgimento di quelle specifiche attività di accertamento che sono indirizzate alla repressione di condotte criminose che vanno ad incidere su interessi di portata generale, la cui cura e salvaguardia viene assegnata a determinate strutture organizzative.

Quali sono i requisiti che vengono posti dal codice di rito affinché tali strutture plurisoggettive abbiano la possibilità di esercitare concretamente tali poteri? 

Sono essenzialmente tre. L’assenza di uno scopo di lucro, il riconoscimento legale della finalità di tutela degli interessi pregiudicati dal reato, ovvero una legittimazione normativa alla salvaguardia di tali interessi che rinvenga la sua fonte in una legge statale, o regionale o una fonte subordinata ad attuare quella primaria e, infine, l’anteriorità di tale riconoscimento rispetto al momento in cui sia stato commesso il reato. La norma, quindi, pur conferendo alla fonte legislativa il potere di riconoscere, di volta in volta, la legittimazione degli enti alla salvaguardia degli interessi lesi dal reato, non fa altro che rafforzare quella modalità di partecipazione al processo già riconosciuta e disciplinata dall’articolo 74 del Codice di procedura penale ovvero la costituzione di parte civile.

Dalle sue parole si intuisce che la costituzione di parte civile di un sindacato non è soggetta a regole diverse rispetto a quelle comuni e dunque occorrerà accertare, caso per caso, se il sindacato di un diritto e se tale situazione soggettiva sia stata realmente danneggiata dal reato.

In tale contesto, caratterizzato dalla presenza di  un’apertura sempre maggiore verso la tutelabilità di ampie posizioni soggettive, la giurisprudenza si è pronunciata in senso sempre più favorevole nei confronti del riconoscimento della possibilità di costituzione della parte civile da parte degli enti collettivi: gli enti e le associazioni sarebbero infatti legittimati all’azione risarcitoria purché l’interesse leso dal reato coincida con un diritto che sia riconosciuto e salvaguardato all’interno del suo stesso statuto. Quindi, sulla base della rivalutazione degli interessi solidaristici e partecipativi riconosciuti dalla Costituzione, la Corte di Cassazione ha ribadito la tutelabilità degli interessi collettivi, affermando che “il riconoscimento di un diritto soggettivo in capo al soggetto che degli stessi è portatore può discendere dalla diretta assunzione di esso da parte dell’ente che ne ha fatto oggetto della propria attività, diventando lo scopo specifico dell’associazione (cfr. Cassazione Penale sezione IV, n. 22558 del 2010).

E per fare un riferimento specifico alle associazioni sindacali dei lavoratori?

Per fare un riferimento specifico alle associazioni sindacali dei lavoratori occorre precisare che per i reati che costituiscono violazione dell’integrità fisica, la Suprema Corte ha ritenuto addirittura ammissibile, senza il limite della prescrizione, la costituzione di parte civile dei sindacati nei procedimenti per i reati di omicidio e lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica, ritenendo che la violazione di tale normativa nell’ambito dell’ambiente di lavoro possa cagionare un autonomo e diretto danno, patrimoniale o non patrimoniale, ai sindacati per la perdita di credibilità all’azione dagli stessi svolta. Il sindacato infatti, annovera tra le proprie finalità, quella della tutela delle condizioni di lavoro intese non solo sotto il profilo dell’aspetto economico ma anche sotto l’aspetto della tutela delle libertà individuali e dei diritti primari dei lavoratori, quale quello della salute.

Quale conclusione è possibile trarre?

Gli approdi giurisprudenziali degli ultimi anni hanno dato man forte al riconoscimento di due dati fondamentali: le associazioni sindacali sono titolari, non solo dei diritti connaturati a qualsiasi soggetto, quali i diritti della personalità, ma anche di interessi di rilevanza generale e costituzionalmente garantiti, fra cui l’interesse collettivo dei lavoratori all’integrità psico-fisica e alla dignità, oltre che alla sicurezza dell’ambiente di lavoro; inoltre così come specificato all’interno dello Statuto dei lavoratori esse perseguono l’interesse dei lavoratori alla solidarietà e all’eguaglianza, attraverso gli strumenti di tutela collettiva. Pertanto non è insensata l’ipotesi che il sindacato tenti di costituirsi parte civile per le violenze subite, dal proprio iscritto, nell’esercizio della sua attività, laddove lo Statuto sindacale faccia riferimento a questa espressa forma di tutela. E’ evidente che trattandosi di una situazione nuova che non annovera specifici precedenti di legittimità, vada perseguita, come tutte le battaglie di civiltà, con pazienza e determinazione, mettendo anche in preventivo una serie di iniziali insuccessi, con l’auspicio però che in un futuro non lontano possano trovare adeguata tutela processuale-penalistica i predetti interessi diffusi e questo deprecabile fenomeno, in parte ancora sommerso, possa prima emergere in tutta la sua gravità, come sta facendo la Cisl Medici Lazio con la sua campagna di denuncia sociale e di sensibilizzazione dei cittadini, per essere poi debellato.

@vanessaseffer

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La sfida di Musumeci secondo Gibiino

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La sfida di Musumeci secondo Gibiino Da pochi giorni si è insediata la nuova giunta regionale in Sicilia, ma le polemiche non sono mancate, perché si dice rifletta alcuni difetti della vecchia gestione: troppi suggeritori, assessori con poca esperienza o che lasceranno l’incarico dopo qualche mese. Ma l’esigenza di trovare soluzioni con urgenza e concretezza per una seria e rapida ripresa, perché la Sicilia (ri)diventi bellissima, mette da parte in fretta la paura di un nuovo inganno, si spera di nuovo in un tempo migliore. Ancora memori degli annunci propagandistici di Rosario Crocetta, che promise una rivoluzione che non è arrivata mai, si prova a dare fiducia al nuovo corso, com’è giusto che sia. Così ci siamo rivolti al senatore Vincenzo Gibiino, uomo vicino al presidente Nello Musumeci, chiedendogli conforto e qualche chiarimento.

Cosa ha spinto Musumeci a scegliere la giunta come ha fatto?

È una giunta abbastanza equilibrata, in qualche misura il suo specchio. Ci sono nomi nuovi, ma le dinamiche che hanno portato alla formazione della giunta sono diverse da quelle adottate un tempo. Il presidente vuole una certa discontinuità col passato, specie riguardo agli assessori e alle figure apicali all’interno della presidenza e degli assessorati. Lo ha detto sin dall’inizio, “se mi candido sarà l’ultima volta, per cui non sarò ricattabile poiché non mi andrò a cercare i voti per la volta successiva”. Questo finalizzato a poter cambiare tante cose in Sicilia, non è mai successo nemmeno nei diversi governi precedenti che avrebbero dovuto essere in contrapposizione, ma in realtà non lo sono stati.

Cambiamenti a partire dal segretario generale?

A partire dal segretario generale e a finire all’ultimo in assessorato. Ci vuole molto coraggio e non c’è molto tempo, c’è la programmazione per il futuro da fare, che manca da decenni, c’è la gestione di un ordinario del passato che è diventato straordinario per mancanza di cura, mi riferisco alla formazione, alla sanità, all’energia, ai rifiuti, al turismo e ai trasporti.

Non si sente ancora il peso di Lombardo, Cuffaro, Lumìa? Bisognerà scendere ancora a patti?

Non ne sono convinto, il clima è cambiato. Il 50 per cento della popolazione siciliana è sul baratro dell’esclusione sociale. Delle promesse del passato non sa proprio cosa farsene e non sa cosa farsene di queste persone che in passato le promesse le hanno fatte e non le hanno mantenute. Essendo cambiato il clima, la pressione di ogni tipo di ambiente di ieri, oggi ha molta meno forza e questo consente un’azione di governo più snella e veloce.

Che ne pensa di Vittorio Sgarbi alla Cultura e del fatto che fatto che potrebbe restare soltanto tre mesi?

Senza ipocrisia le dico che queste cose non mi piacciono. Se una persona ha intenzione di andare a fare il ministro non deve avviare un percorso di assessorato in Sicilia, capisco che lui non è siciliano e sostanzialmente può assumere un incarico e poi lasciarlo, ma quando si inizia un operato come questo almeno bisogna avere due anni davanti per lasciare un segno, altrimenti è un occupare una poltrona in attesa di una poltrona successiva, per cui da questo punto di vista non sono d’accordo.

Cosa si aspetta invece da questo Governo in merito alla sanità pubblica e privata?

La sanità pubblica ha due ordini di problemi: uno l’offerta che non è in linea con le aspettative dei siciliani, tant’è che chi se lo può permettere continua a fare i viaggi della speranza al nord. Secondo sono i costi, determinati da un’elevata spesa per le forniture ospedaliere. In molti casi le analisi che ci ha portato il commissario per la spending review sono pari a tre volte delle spese degli ospedali del nord, dove c’è una maggiore programmazione negli acquisti. Poi abbiamo il problema della valorizzazione dei quadri, dei primariati e della distribuzione dei letti, probabilmente lasciata un po’ al caso. Va rivisto il rapporto con la convenzionata esterna, ha un costo bassissimo pur dando servizi senza file d’attesa e molto altro, una capillarità sul territorio che va a valorizzata. Ci sono cittadini che pensano di non avere l’ospedale vicino e quindi si rivolgono a quello a 60 km da loro, avendo strutture convenzionate esterne a due passi, mi riferisco non solo alle Case di Cura ma anche ai laboratori di analisi, al cardiologo convenzionato che magari sono nello stesso paese con una giusta attività di tradizione. Potrebbero fornire cure a basso prezzo, presenza, servizio e programmare successivi interventi con la disponibilità degli ospedali sapendo 60, 90, 120 gg prima piuttosto che ridursi agli interventi su acuti.

Ritiene che il nuovo assessore alla Salute Ruggero Razza e Nello Musumeci sapranno attenzionare tutto questo?

Musumeci durante la campagna elettorale ha annunciato che la sanità l’avrebbe tenuta per sé, perché vuole dare un taglio importante. L’assessore è persona vicina a lui, è equidistante da tutti i mondi: pubblico, privato, università, ricerca, pur essendo avvocato e avendo fatto esperienza amministrativa in provincia. Un valore aggiunto perché si pone con la giusta attenzione alle varie esigenze del territorio, per riuscire a fare scelte senza condizionamenti da blocchi di potere a monte. Che in passato possono aver condizionato qualche altro Assessore alla sanità.

In 5 anni si potrà mettere ordine nelle vicende siciliane o il tempo non sarà sufficiente?

Quello che dovrà fare secondo me Musumeci nei primi sei mesi è di arginare il declino della Sicilia dal punto di vista economico e soprattutto sociale. Il livello di rassegnazione della popolazione siciliana ormai aveva superato il limite della sopravvivenza. Successivo passaggio sarà quello dell’inversione della tendenza iniziando a fare le opere per cui ci vogliono i progetti, con i quali si partecipa ai bandi o si accede ai fondi. Bisogna ridurre una parte della spesa pubblica per utilizzare questa quota libera per i cofinanziamenti per attrarre i fondi europei. Ci vogliono circa sei mesi per i progetti pronti e due anni per quelli nuovi, gli appalti impongono tempo. L’unico settore a mio giudizio che può funzionare subito è quello legato al turismo, alla valorizzazione dei beni messi a regime di tutti i siti archeologici, che in alcuni casi non vendono neanche un ticket durante tutto l’anno. Essendo a ingresso gratuito sono solo dei costi. Poi la messa a regime dei trasporti, pur lasciando tutto com’è all’inizio, perché non c’è il tempo di poter fare tutto.

Ma cominciare a sistemare seriamente strade, ponti, viadotti e ferrovie?

Si può fare, abbiamo un presidente che ha voglia di fare e un presidente dell’Anas che ha le risorse economiche per avviare le manutenzioni. Ma questo non risolve il problema della viabilità in Sicilia, perché connettere correttamente porti, aeroporti, con tram e metropolitana, la gomma e il ferro in Sicilia, è fondamentale. Se oggi volessi andare col treno da Catania a Palermo passando da Messina non ho la connessione del treno; arrivo a Messina e devo aspettare 3 ore per il treno Messina-Palermo. Quindi è una Sicilia mai stata pensata nell’intermodalità, una Sicilia isolata all’interno. Verso l’esterno è connessa bene con porti e aeroporti. E non si può pensare al ponte sullo Stretto in questo momento in cui è tutto fermo, non vedo condizioni percorribili.

Lei a cosa sta lavorando in questo momento?

Quello che stiamo cercando di fare per la mia vicinanza col presidente della Regione è di attivare una serie di attenzioni da parte di fondi di investimento di imprenditori e di federazioni sul rilancio del turismo, sull’agricoltura di eccellenza, sul recupero dei circuiti automobilistici dove poter fare non tanto le gare, ma i test di vetture, di gomme, come si fa in tutte le parti d’Italia dove ci sono circuiti, che in Sicilia avrebbero una valenza superiore anche per le condizioni climatiche che favoriscono la fruibilità di queste strutture e la presenza di tante persone.

Lo dice perché ha una grande passione per le automobili, essendo un noto ferrarista.

Conosco la materia, ma lo dico perché seguo da tre anni la riforma del Codice della strada e so dai rapporti che ho con l’Aci che tutte le strutture collegate, dalle case automobilistiche, quelle di autobus e di costruzione di veicoli complessi, di caschi, di tute e di gomme, hanno bisogno di testare i loro prodotti e si sappia che al nord un circuito viene locato per 50mila Euro al giorno. Il circuito di Pergusa ci procura 300mila Euro di perdite all’anno, ciò da la misura di cosa una struttura del genere messa a regime possa dare, solo con la pista, non dico l’utilizzo del lago in termini di fruizione turistico ambientale. Potrebbe determinare dal punto di vista economico nel territorio più depresso d’Italia, una svolta. Sono piccole ma grandi cose, come lo sviluppo dei borghi rurali che organizzati porterebbero un turismo di nicchia. Sono tante le cose che possiamo fare attraverso le conoscenze sviluppate negli anni e che guardano alla Sicilia con grandissima attenzione ma che solo chiedevano una continuità e serietà di governo che evidentemente non trovavano con la gestione precedente di Crocetta, che invece trovano in Nello Musumeci, non fosse altro perché contattano me per fare investimenti privati importanti sapendo che il nuovo presidente è una persona seria.

Il matrimonio dell’anno nel 2018 di Fedez e Chiara Ferragni annunciato nei giorni scorsi e che si terrà ad un passo da Siracusa per la prossima primavera, nel bel mezzo del barocco di Noto, patrimonio dell’Unesco, così come le tre candidature ai Golden Globe del regista palermitano Luca Guadagnino, ci fanno pensare che davvero c’è quello sguardo attento del mondo del business e del glamour e che le eccellenze siciliane meritano visibilità e attenzione. Si percepisce dai nuovi insediati al governo quella voglia di fare che vuol mettere fine al far west e alle contraddizioni che hanno dominato finora la bella terra di Sicilia.

@vanessaseffer

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Sicilia: Luigi Genovese, parla “Mister preferenze”

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Sicilia: Luigi Genovese, parla “Mister preferenze”È il 21enne più chiacchierato d’Italia, per via dei 17.359 voti che ha ottenuto alle elezioni regionali siciliane appena concluse e delle problematiche giudiziarie dei suoi familiari. Cerchiamo di conoscerlo un po’ di più, perché in pochi gli hanno concesso il beneficio del dubbio. Sono i figli che spesso pagano per fatti veri ma anche presunti che hanno coinvolto padri e madri. Gli do del tu, perché ho un figlio della stessa età, ma dovrei chiamarlo onorevole, non Luigino, usato non con affetto ma per ridimensionare al massimo la persona.

Come rispondi alle polemiche contro di te e tuo padre?

Risponderò nelle fasi successive, con i fatti. Adesso è scontato il mio pensiero. Le critiche erano personali, attacchi contro la mia famiglia che maggiormente si fondavano sull’insulto. Se ci fossero state critiche legate al mio operato, ma non ho neanche cominciato, o su una progettualità che voglio portare avanti, allora le avrei accettate con tutto me stesso. Anzi, avrei imparato da esse. Oggi, purtroppo, ho potuto solo imparare qualche insulto di cui ancora non ero a conoscenza.

Quali sono i punti salienti del tuo programma?

Mi piacerebbe riuscire a coinvolgere i giovani nella vita politica siciliana, quelli della mia generazione. Come? Per esempio con l’istituzione dei Consigli comunali dei giovani, come esistono nel Lazio. Mi piacerebbe portare questo format in Sicilia. Ma anche portare nel mondo dell’Assemblea regionale siciliana strumenti innovativi per velocizzare l’iter burocratico. A causa di tutti i passacarte, questo non succede. Ho tante idee e progetti, ma se vuoi sapere qual è la prima cosa che farò, sarà richiedere la presenza del question time, come alla Camera dei deputati. Perché, oggi, un deputato che decide di fare un’interrogazione parlamentare a un assessore non ha certezza di risposta, c’è un limite massimo di sei mesi per cui l’assessore può rispondere, ma è sua facoltà non un obbligo. Invece è importante che sia un obbligo.

Porterai dei coetanei con te all’Ars come tuoi collaboratori?

Assolutamente sì. Ci rinnoviamo a cominciare da questo.

Cosa pensi di dire ai tuoi coetanei siciliani che non sono interessati alla politica, cosa farai per loro?

Vorrei essere portavoce della mia generazione; quando ho scelto di candidarmi è stato questo che mi ha stimolato. Non ho avuto tutti con me ovviamente, ma una buona parte sì. Ma sono il rappresentante di tutti, non solo dei giovani della mia generazione. L’attenzione sarà massima nei confronti di chiunque.

Come ti sei preparato per un percorso così gravoso anche per un cinquantenne con una lunga esperienza alle spalle?

Sicuramente studiando, mi sono iscritto a Giurisprudenza, sono indietro di qualche esame, uno lo recupererò a dicembre. Quello che era legato al mondo della Pubblica amministrazione mi ha sempre appassionato di più rispetto al resto. Però l’esperienza deve farsi sul campo.

Rappresenti una grossa fetta dei votanti di questo anno, dovranno ascoltarti. Sei la quarta generazione di politici in famiglia: lo zio di tuo padre è stato più volte ministro, tuo nonno senatore diverse volte e tuo padre deputato nazionale due volte, una volta deputato regionale ed è stato sindaco di Messina. Si è sempre respirata la politica in casa tua. È complicato essere figlio di Francantonio Genovese?

È semplicissimo e devo dirti che è una grande soddisfazione. Naturalmente questo mi impone un impegno ancora più grande, il triplo che ci metterei se non fossi suo figlio, questo mi stimola molto a fare meglio che posso.

È giusto che le colpe dei padri debbano ricadere ed essere pagate dai figli?

È assolutamente scorretto. Hanno provato in tutti i modi a fare ricadere su di me delle colpe di mio padre che non sono neanche accertate, quindi so che è una cosa parecchio sgradevole.

Cos’è per te la politica?

È una cosa bella. Quando ho scelto di fare politica l’ho fatto perché mi piace lo spirito di servizio che è alla base, e mi piacerebbe che si cominciasse a parlare veramente di politica, quella in cui non ci deve essere un necessario scontro fra maggioranza e opposizione, e quella soprattutto in cui ci deve essere rispetto per le parti politiche, quelle per le persone. Cosa che oggi manca totalmente e io ne sono l’emblema nonché il più puntato dagli altri schieramenti.

Qual è lo schieramento che si è infervorato di più e ha usato le parole di cui mi hai parlato prima?

Il M5S nella figura del suo candidato, Cancelleri, ma anche di Corrao e di Grillo stesso. Tutti hanno denigrato, sicuramente perché imposto dall’alto, la mia persona. Io credo che Grillo che tanto si presenta come una persona onesta, non può permettersi di paragonarsi a me. Potrei dire che Grillo o suo figlio non possono più parlare di sicurezza stradale e incidenti, dato il noto fatto giudiziario che lo ha riguardato e che lo ha visto condannato in via definitiva. Penso anche all’attacco sui fondi europei e mi chiedo perché non dovrei parlarne, se oggi sono l’unica risorsa che la Regione Sicilia può ottenere in via diretta e soprattutto semplificata.

Come vedi Silvio Berlusconi?

Come una persona competente, un uomo che quando scende in campo è in grado di riuscire a far risollevare le sorti di un centrodestra che sembrava morto, invece gli ha ridato nuova linfa vitale, reclutando persone nuove, io tra questi.

Hai una vaga idea di quello che potrebbe essere dopo Berlusconi? Cosa speri?

Spero di poter costruire insieme a lui il dopo.

@vanessaseffer

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Sylos Labini è “Uno sbagliato”

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Sylos Labini è “Uno sbagliato”Dopo aver interpretato grandi personaggi, come Gabriele D’Annunzio lo scorso anno, Edoardo Sylos Labini trasforma il Teatro Golden di Roma in un locale notturno, dove presenta la pièce scritta e diretta da lui, “Uno sbagliato”. Interagendo direttamente con il pubblico, narra di un quarantenne cinico, amaramente ironico e disorientato, incapace di affrontare le sue responsabilità di marito, padre e dipendente statale, che ha un lavoro grazie al suocero che “piuttosto che mia figlia in mezzo a una strada ci penso io”, rivelando le sue paure e insicurezze al barman, davanti a diversi bicchieri di drink, che in poco tempo lo trasformano in un alcolizzato.

La pazienza della moglie, incinta per la terza volta, appare davvero surreale. La  condizione di lei fa esplodere in lui l’irrequietezza e il turbamento di essersi ritrovato adulto con desideri ancora da ragazzo. Lei lo perdona anche quando sparisce per giorni e non fa tante domande al suo ritorno. Solo quando vanno a fare la spesa al centro commerciale e scopre che lui ha speso tutto lo stipendio in bagordi e che ha perso il lavoro, reagisce con violenza; questa volta sarebbero state le bambine a farne le spese!

Una storia che esamina la nostra attualità, spesso priva di valori che una volta erano fondanti. La donna in “attesa”, che sopporta per il quieto vivere, che non è palesemente evidenziata sul palcoscenico, è comunque una presenza importante. Ricorda quella di secoli fa, ma ancora fra noi ce ne sono svariati esempi. Sylos Labini calandosi nelle vesti dello spiantato Michael, tocca con un monologo delicato – che ci permette di riconoscere parte di noi, delle nostre vite o di quelle dei nostri amici e che ci lascia una strana amarezza mista a una nervosa ilarità – dei temi delicatissimi e attuali come l’alcolismo e la prostituzione.

Il tutto arricchito dalle voci straordinarie di Alice Viglioglia e Chiara Capobianco, dal barman pungente e pronto all’ascolto come un sacerdote nel suo confessionale, interpretato da Lorenzo Felice Tassiello, che esordisce con questo ruolo. I costumi e le scene sono di Laura Giannini e le luci di Davide Di Francescantonio.

“Uno sbagliato”, in scena a Roma fino al 19 novembre, cancella ogni perplessità riguardo a cosa l’essere umano possiede e dove può certamente trovare sempre un riparo: la sua famiglia.

 

@vanessaseffer

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Malaria: la parola passa agli esperti

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Malaria: la parola passa agli espertiL’autopsia sul corpicino di Sofia Zago “ha confermato il referto e la diagnosi ospedaliera di morte per encefalopatite malarica”, ha riferito il procuratore capo di Trento, Marco Gallina. Gli ispettori dopo aver controllato le procedure del reparto di pediatria dell’Ospedale Santa Sofia di Trento, hanno chiarito che per dare una risposta esatta su quale ceppo di malaria avrebbe colpito la bambina ci vorrà tempo. Il dato certo è che due bambine del Burkina Faso sono state ricoverate nello stesso reparto e negli stessi giorni con la malaria e prima di loro un fratellino e la mamma. Ma le bimbe non hanno mai incontrato o giocato con Sofia.

Il dottor Massimo Galli, vicepresidente della Simit, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, ha detto: “Perché il contagio avvenga, non è sufficiente un semplice contatto col sangue, come ad esempio nell’ipotesi di un contatto epidermico tra soggetti infettati”.

In caso di un paziente con la malaria non è previsto l’isolamento, perché per la trasmissione della malattia ci vuole un vettore. Nella stessa stanza in cui la piccola era ricoverata per diabete c’era un bimbo di 3 anni, anch’egli col diabete, rimasto dal 16 al 21 agosto, che non ha manifestato sintomi di malaria. Successivamente sono state piazzate le trappole per le zanzare e queste sono risultate negative per la presenza di questi insetti. Ma non si può escludere che ce ne fossero nei giorni in cui Sofia si trovava ricoverata in ospedale, quando c’erano anche i due piccoli affetti da malaria, poi guariti. Prenderebbe più piede l’ipotesi della ‘zanzara nella valigia’, proprio dei piccoli pazienti del Burkina Faso.

Ma non c’è solo un modo per prendere la malaria!

“La trasmissione della malattia avviene nella maggioranza dei casi attraverso un insetto – risponde il professor Giovanni Maga, biologo molecolare dell’Ospedale di Pavia – ci vuole il vettore, la zanzara anopheles, che punga una persona che ha la malaria, il protozoo si replica e poi viene trasmesso alla persona sana mediante un’altra puntura. Questa in assoluto la trasmissione più naturale. Poi ci possono essere trasmissioni dovute a trasfusioni o contaminazioni accidentali per utilizzo di strumenti a contatto col sangue o sporchi di sangue. Oggi il sangue trasfuso viene controllato, non è facile immaginare che una siringa sporca di sangue possa essere riutilizzata, in Italia o in un se occidentale, ma sicuramente c’è stata una trasmissione di sangue infetto”.

A livello teorico, una zanzara italiana potrebbe essere stata il vettore?

“Allo stato attuale della nostra conoscenza non sembra ci siano da noi zanzare competenti ad attuare la trasmissione di Plasmodium falciparum. Ci sono quattro Plasmodi e le nostre zanzare sono competenti per un altro paio. Potrebbe esserci stato un insetto importato, poiché queste zanzare viaggiano nelle navi, negli aerei, nei bagagli, non hanno capacità di volare lontano dal luogo dove arrivano, però con gli insetti non si possono fare delle previsioni, possono sopravvivere a lungo e diffondersi. Altra cosa è se ci sono queste zanzare sul nostro territorio che abbiano la capacità di trasmissione, questi insetti cambiano, si evolvono. In Europa c’era una specie di zanzara che era capace di essere vettore, parliamo degli anni ‘40/’50, ma sono state effettuate bonifiche che ne hanno provocato la scomparsa”.

Da un punto di vista epidemiologico la malaria entra nel nostro se ogni anno con 600/700 casi all’anno. Vengono trattati con farmaci molto efficaci di ultima generazione come l’artemisina, per cui la farmacista cinese Tu Youyou, che ha isolato il principio attivo estratto dall’artemisia annua nel 1972, con cui venivano curate molte febbri, è stata premiata con il Nobel per la Medicina nel 2015.

“Ci sono una dozzina di molecole usate per trattare la malaria e la mortalità per questa infezione è ridotta all’uno per cento – continua il professor Maga – la forma più grave è quella che ha colpito la bambina di Trento. Una bambina che arriva con la febbre alta in ospedale non viene sospettata di malaria se non è stata in una zona a rischio. I sintomi all’esordio sono gli stessi e molto comuni: febbre alta, nausea, vomito, a meno che non ci sia una forma molto avanzata allora si fanno degli esami più specifici, come è successo alla bimba nell’ultimo ricovero. Non mi sento di ascrivere delle responsabilità al personale sanitario. Per un motivo molto semplice: gli esami di routine non accertano la situazione e non si possono fare indagini tanto approfondite su tutti quelli che arrivano con la febbre e che non sono stati in zone tropicali. Ci sono una serie di parametri che possono portare al sospetto, ma questo non può succedere all’inizio della malattia. Zika, faringite, influenza, malaria hanno lo stesso protocollo medico all’inizio della malattia. La prima domanda che un medico deve fare è “è stata in un Paese tropicale? Ha avuto contatti con qualcuno che ha fatto un viaggio in un Paese a rischio? La sfortuna della bambina è stata che non c’era nulla che potesse far sospettare una trasmissione in Italia. Nel corso del ricovero non possiamo sapere se ci sono state delle inadempienze, saranno i tecnici a stabilirlo”.

La temperatura di queste ultime estati è molto simile alle temperature dei si di provenienza di queste zanzare, così la circolazione degli insetti può essere prolungata, tutto può aver contribuito. È importante stabilire se siamo di fronte a fenomeni d’importazione di vettori del Plasmodium sul nostro territorio. Con insetti come le zanzare c’è poco da scherzare! La natura cambia e così può mutare anche la funzione vettoriale di questi insetti, dando origine ad episodi impensabili. Dobbiamo capire l’origine di questa situazione.

Ma la struttura di Trento ha sbagliato oppure no? Come è stata possibile una trasmissione all’interno di un ospedale?

La struttura di Trento è un riferimento per noi, è considerata molto valida – dice il professor Emerito di Malattie Infettive e Tropicali di Brescia, dottor Giampaolo Carosi – la presenza dei bambini del Burkina Faso fa pensare che la trasmissione sia avvenuta lì. Esiste anche la possibilità di un trasferimento diretto col sangue, con il trapianto, la trasfusione, siringhe. Negli anni Settanta e Ottanta, quando incalzava la tossicodipendenza, abbiamo avuto alcuni casi da scambio di siringhe, ma sono state tutte delle modalità eccezionali. In Italia abbiamo delle norme che controllano molto strettamente donazioni di sangue e di organi, e gli strumenti che si usano sono monouso. Escluderei una trasmissione di sangue così. Due ipotesi in ballo: il vettore necessario per la trasmissione da un portatore di plasmodio, in questo caso i bambini del Burkina Faso, a persona sana, può essere locale o importato. Questo è il dubbio, liberato il campo dalle altre ipotesi. Ci sono stati rari casi in Italia di malaria aeroportuale o malaria da valigia, quindi con anofele importate. Anni fa c’è stato un caso in cui, sbarcate a Fiumicino, delle anopheles hanno volato fino a Marino e hanno punto una persona. Poi nel grossetano, nel 1997, una zanzara anopheles aveva trasferito il plasmodio da un indiano in visita alla sua famiglia, a famiglie del posto. Era una anopheles nostrana che aveva trasferito il plasmodio dall’indiano agli italiani, ma era una anopheles vivax non falcidium, ed è molto meno grave. Studi del 2009 hanno teorizzato che da noi le anopheles ci sono, perché nel nostro se c’è stata la malaria, l’ultimo caso di bonifica nel 1957 dopo un focolaio a Palma di Montechiaro in Sicilia. Caravaggio morì di malaria. La malaria era molto diffusa in quegli anni. Ora si dovrebbe vedere se in Trentino-Alto Adige e nell’alto Adriatico ci sono queste zanzare. Studi recenti hanno dimostrato la migrazione delle zanzare, non solo degli uomini con l’intensificazione dei viaggi, le migrazioni per movimenti bellici o economici. Alla John Hopkins di Baltimora che ha in corso uno studio con il Kenya e l’Africa centrale, in cui facendo una mappatura si vede che da un anno all’altro la popolazione di zanzare cambia molto. Abbiamo imparato che le zanzare migrano e i cambiamenti climatici che si stanno verificando favoriscono la riproduzione e la vita di questi insetti anche da noi. Io che ho una certa età non vedo più le nevicate d’inverno di una volta. Non è da escludere che anche la popolazione di zanzare anopheles si sia ambientata da noi ed evoluta.

Quanto contano la prevenzione, il riconoscimento immediato di questa malattia, che non ucciderebbe se ci fosse, e poi un vaccino?

“Di malaria si può morire solo se non si fa una diagnosi in tempo. Oggi con i farmaci che abbiamo è perfettamente guaribile, dal chinino all’artemisina. Adesso i farmaci si fanno in laboratorio, ma questo ultimo farmaco è stato fatto alla vecchia maniera. Non mi sento di addossare la responsabilità ai medici di Trento. Oggi dobbiamo dire che è imperativo conoscere la malaria e fare diagnosi in tempo, ma quando c’è un precedente di soggiorno tropicale. Se sono stato nell’alto Adriatico è improbabile pensare alla malaria. L’ospedale di Trento ha fatto diagnosi in 2 giorni, ma la bambina è arrivata all’ultimo ricovero con il cervello già infarcito di plasmodi ed è andata in coma. Se la diagnosi fosse stata fatta fra il 26 e il 28 agosto sarebbe andata diversamente. Ma l’anamnesi per soggiorni tropicali era negativa.

Il vaccino che abbiamo attualmente invece è protettivo al 30/35 per cento, che può essere valido per l’Africa dove ci sono 200 milioni di casi di malaria all’anno e mezzo milione di morti, fra cui prevalentemente bambini e una protezione del 35 per cento salva il 35 per cento di questi 500mila. Un adulto in Africa viene punto frequentemente dalle zanzare e quindi sviluppa i naturali anticorpi, una sorta di immunità. L’immigrato in Italia dopo un po’ perde questa semi-immunità. L’80 per cento dei 600/700 casi che importiamo ogni anno sono a carico degli immigrati perché perdono la semi-immunità , poi tornano a casa a trovare i familiari nei si d’origine e lì prendono la malattia. Dopo averci convissuto non hanno più gli anticorpi. Come avveniva da noi con i meridionali a Torino. Solo che in scala più vasta. La semi-immunità non è completa e si può perdere nel tempo vivendo in un luogo diverso, non è come per l’immunità al morbillo che una volta sviluppata non la perdi più. La situazione immunologica della malaria è molto più complessa, per questo non abbiamo ancora un vaccino. Un italiano che va in Africa fa una profilassi, per cui prende il farmaco due giorni prima di partire, ogni giorno durante il soggiorno e una settimana dopo il ritorno. L’immigrato non lo fa perché pensa di aver convissuto con la malaria senza averla mai presa”.

@vanessaseffer

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