Il 13 dicembre ci sarà il workshop organizzato da FnomCeo per discutere l’ultima macroarea delle problematiche sulla questione medica che riguarda il lavoro. Ne parliamo con Ivan Cavicchi, esperto di politiche sanitarie e docente di Filosofia della Medicina a Tor Vergata. Ha scritto numerosi libri ed inneggia ad un “cambiamento” necessario nel settore della sanità pubblica, specialmente riguardante la figura di un nuovo medico, poiché c’è una crisi di questa figura così centrale nella vita di tutti noi che non risponde più alle necessità della società odierna, per cui come lui stesso ha detto, oggi abbiamo “una medicina scientificamente forte ma socialmente inadeguata”.
Da dove si comincia a ridisegnare questa figura del “nuovo medico”?
Partiamo dall’idea che noi dobbiamo ridefinire il medico per necessità, ma non si può ridefinire il medico indipendentemente dalla ridefinizione del suo lavoro. Ma il suo lavoro ha tanti profili, giuridici, normativi e contrattuali. Ovviamente il tema è delicato, perché si colloca a metà strada fra la questione delle professioni e le questioni sindacali. Sottolineo le questioni sindacali per evidenziare l’autonomia del sindacato su queste cose. Però non si può pensare ad un nuovo medico senza pensare ad un’idea di nuovo salario, nuova retribuzione, nuova organizzazione del lavoro, pensando che in questo settore diciamo che proprio il lavoro in quanto tale in generale è la parte che è variata meno in questi ultimi tempi, cioè ci sono molte continuità. Per esempio Filippo Anelli dice che i medici sono dipendenti dello Stato. Un’idea che ho in mente è di ripensare proprio il concetto di “dipendente”, che vuol dire semplicemente che un medico è definito in base a delle norme di riferimento e la norma di riferimento definisce i compiti e il medico fa i compiti che sono descritti dalla norma. Per i contesti che abbiamo, per le complessità che dobbiamo governare, per i contrasti che abbiamo con la società, io penso che dobbiamo avere un’idea nuova, e questa nuova idea l’ho chiamata “l’autore”.
In cosa consisterebbe il compito di un autore?
Un autore giuridicamente lavorerebbe per l’azienda, ma dal punto di vista professionale è un signore che in cambio di autonomia offre responsabilità. Sostanzialmente il discorso è “dimmi quello che vuoi, ci mettiamo d’accordo, però mi dai l’autonomia di organizzare il mio lavoro e in cambio mi misuri sui risultati”. Questa idea dell’autore per esempio media molto il dibattito che c’è stato qualche anno fa e che si è arenato tra coloro che volevano diventare tutti convenzionati e coloro che dovevano diventare tutti dipendenti. In realtà tra il convenzionato e il dipendente secondo me c’è una terza via che è questa idea di autore, perché se alla base della crisi del medico c’è un’aggressione all’autonomia, noi non possiamo pensare di ridefinire il medico senza ridefinire la sua autonomia, per cui l’idea dell’autore si presterebbe a questo. È un modo, anche dal punto di vista contrattuale, di ridefinire l’autonomia del medico rimetterlo al centro. Anzi, oso pensare che addirittura ci vuole più autonomia del passato, bisogne pensare ad un medico diverso. Questo apre degli orizzonti interessanti perché ti obbliga per esempio a ripensare all’azienda (Asl).
Vorrei fare l’avvocato del diavolo. Quando in politica c’è un fallimento, ne abbiamo visti uno dietro l’altro negli ultimi anni, il partito o gruppo politico torna travestito da qualcos’altro e dice sempre di essere il “nuovo”. Nel caso del medico e delle aziende, in che cosa dovrebbe consistere la novità? Tanto il palcoscenico e il pubblico non cambiano.
Nel caso dell’autore cambia proprio l’idea di medico. Dipendente significa pendere giù. Dipendi da norme che definiscono le tue competenze. Sono le competenze che definiscono quello che devi fare. L’idea dell’autore è diversa poiché hai un ambito di autonomia che puoi governare come ti pare con l’unico obbligo di dare dei risultati, non puoi fare del tutto come ti pare, è un’idea nuova di professione in un contesto di azienda più diffusa, un’idea quasi del medico autoimprenditore di se stesso, non più il dipendente classico dello Stato. Ecco è questa idea che vorremmo approfondire, certamente nuova e da qui cambierebbe il profilo professionale, il lavoro.
Il rischio qual è?
Il rischio che vedo che se non lo definisci bene puoi scadere nell’arbitrio e questo è da evitare. Io ti do autonomia ma non puoi fare quello che vuoi. È un’autonomia condizionata al rendimento, a degli obiettivi da raggiungere che concordo con la mia controparte.
La controparte, la politica, è sufficientemente pronta?
No, bisogna lavorare molto su questo, perché per esempio un autore implica un direttore generale completamente diverso, non un monarca, ma una diversa visione del potere gestionale. L’idea dell’autore viene fuori dalla necessità di dare di più al malato, dare di più alla società e nello stesso tempo di raddrizzare il tiro ad una crisi professionale.
@vanessaseffer