La diatriba sui costi sociali dell’esercizio dei diritti alla salute, al lavoro, alla famiglia, ad una esistenza libera e dignitosa, ci sembra puramente strumentale e dissimula il vero dramma, cioè, è impossibile garantire tutto a tutti. Il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione) è sacro, ma non può essere gratis per tutti e i medici hanno il dovere di non sbagliare, ma non il diritto di fare come credono. Viene in mente il film di Alberto Sordi, “Il medico della mutua”, esilarante la scena di quando il dottor Terzilli saluta le tette di una moglie insoddisfatta dal marito malato con un “arrivederli”.
Per i più un bravo medico è quello che prescrive molte analisi e somministra chili di medicine. Giuridicamente il presidio rappresentato dall’articolo 32 e dall’articolo 35, nonché dall’articolo 38 della Costituzione potrebbe rappresentare un grosso ostacolo al decreto Lorenzin, potrebbe perfino essere impugnato al Tar del Lazio, ovvero rimetterlo alla Corte Costituzionale. Ma perché invece non cercare una qualche intesa? A chi non conviene questa eventualità? Sarà per caso Big Pharma?
Ci rivolgiamo ad una voce autorevole, il professor Gino Corazza (nella foto), presidente della Società Italiana di Medicina Interna (Simi): “Sono in linea di principio e in linea generale d’accordo con questo decreto – dice il professore – poi le attuazioni pratiche in Italia lasciano un po a desiderare. Sostanzialmente adesso sappiamo che in Italia sono sempre state fatte troppe indagini cliniche, questo non ha soltanto un riverbero economico ma anche per i tempi di attesa, che si prolungano su chi veramente ha bisogno di questi esami; in Italia per quello che riguarda alcuni esami per immagini ad alto impatto tecnologico come tac e risonanza magnetica è parso che impiego massimale e impiego ottimale delle risorse fossero sinonimi, mentre invece non è vero niente, fare tanto non vuol dire fare meglio”.
Sono state individuate 208 procedure a rischio di inappropriatezza, eccedenza di ricoveri, abbondanza di prestazioni ed esami radiologici. Nei primi posti della lista nera Tac, risonanze, test allergologici che sappiamo bene non servono a nulla, eppure molto richiesti, e cure odontoiatriche. In molti casi queste prestazioni non saranno più mutuabili.
“Il problema deve avere altri correttivi – continua il professor Corazza – ma noi come internisti siamo assolutamente convinti che la diagnosi non la si fa con gli esami ma col ragionamento clinico, gli esami servono a confermare o a confutare il ragionamento clinico che però ci deve sempre stare alla base della loro richiesta”.
I medici, soprattutto i più giovani, non usano più le mani, le orecchie, gli occhi per visitare un paziente, pertanto si rivolgono sempre più spesso alle macchine.
“Non vorrei essere troppo polemico contro una serie di figure professionali e una serie di sigle sindacali che si sono erte contro questo decreto – ci viene incontro il professore – ne faccio più che altro una questione di metodo, non sono convinto che siano in particolare i giovani, sono convinto che siano quelli che non amano più il loro lavoro, quelli che non amano più fare il medico, quelli che non visitano il paziente, quelli che non stanno attenti alla sua storia”.
Quali correttivi si potrebbero applicare al decreto Lorenzin, dunque?
“Potrei dire che un esame potenzialmente inappropriato diventa subito appropriatissimo se il contesto e’ quello giusto – spiega il professore – ciò ribadisce quello che dicevo prima riguardo ai segni clinici, che vengono etichettati come quelli della vecchia medicina, ma che sono quelli della medicina reale, perché la medicina e’ fatta di ascolto del paziente, di visitare il paziente sempre tutto quanto. Se c’e’ un mal di fegato non è che io metto la mano sopra al fegato e basta, io debbo visitare tutto, perché se c’è un soffio cardiaco si può avere male al fegato a causa del soffio, perché ci sarà uno scompenso cardiaco, quindi il paziente va visitato sempre tutto e non nel solo distretto del sintomo, allora si che gli esami che si richiedono poi sono appropriati, a prescindere dalla lista dei 208”.
Quindi è il medico di base che deve comprendere il sintomo e non inviare il paziente da un medico specialista che poi prescriverà almeno quattro esami innescando quel meccanismo poco virtuoso?
“Proprio così – conferma il professore – è una catena di S. Antonio che sostanzialmente moltiplica i costi e moltiplica le prestazioni, ma non voglio attribuire troppa responsabilità ai medici di medicina generale, cioè ai medici di famiglia. Il sistema sanitario dev’essere costituito da persone che ragionano con la loro testa, poi ci sono persone che possono offrire prestazioni ultra specialistiche e se del caso vanno coinvolte nella gestione del paziente, ma se del caso. Noi internisti siamo gli specialisti del paziente non della malattia o dell’organo o dell’apparato, quelli sono gli specialisti che a volte sono molto utili, però nella maggior parte dei casi c’è bisogno di un medico che abbia una visione onnicomprensiva, è un cambio di mentalità che è necessario e bisogna valorizzare quelle discipline cosiddette sistemiche anche perché con l’invecchiamento della popolazione che c’è, sono rari i pazienti che hanno una sola malattia a carico di un solo distretto, questo crea il presupposto di una vanificazione della medicina specialistica a favore di una medicina che non tende a spezzettare più l’ammalato ma a considerarlo nella sua unità. Questo decreto ministeriale ha il grosso merito di richiamare tutti al problema, ma forse le soluzioni vanno intraviste in maniera diversa e in questa soluzione dev’essere coinvolta una diversa formazione del medico che negli ultimi anni e’ stato improntato di più allo specialismo, anziché alla visione globale”.
Ma che fine hanno fatto quei baroni dell’Università che non hanno interesse ad insegnare il mestiere allo studente e tendono a tenersi vicino amici, amanti e parenti, mettendo in sicurezza persone che non hanno le competenze ma il grado di parentela!
“E’ stato facile criticare su questo – si oppone il professore – e fare scandalismo e lo si è fatto, così accusiamo le scuole di medicina. Io invece ritengo che il sistema delle scuole di medicina sia molto virtuoso, l’unica cosa da tenere in conto e’ di non avere all’interno del gruppo che stai formando, o all’interno della propria scuola, un figlio, una moglie, un’amante, perché questo distorce l’ottica che si può avere. Altrimenti l’ottica quale dovrebbe essere se non quella della reciproca convenienza, che secondo me e’ un alto valore etico in realtà. Che interesse ho io a non spingere il migliore dei miei studenti che da lustro alla mia scuola, che produce risultati nuovi, che rende alto il nome della nostra istituzione e la valorizza, potrò sbagliare nel giudicarlo, ma senz’altro ho avuto molto tempo per poterlo fare, perché parliamo di spazi ventennali. Poi tante cose sono cambiate, non c’è più l’arbitrio e lo spazio decisionale che c’era una volta e questo e’ senz’altro giusto, ma la reciproca convenienza dice che vanno selezionati i migliori”.
Il decreto Lorenzin mira a risparmiare 180 milioni di euro. Le analisi cliniche vengono sempre ben interpretate? L’interpretazione delle indagini esige competenza e la competenza è la base di un buon medico. Ci sono stati radiologi che non sono riusciti a vedere un tumore iniziale nel polmone o endoscopisti che non hanno riconosciuto un iniziale cancro dello stomaco perché magari gli sembrava una piccola ulcera. Le indagini debbono essere guidate da un’idea portante, se si ritiene che un paziente abbia una determinata patologia si fanno fare delle analisi che la confermeranno o confuteranno. Ma i medici avvertono la pressione dei pazienti e il pericolo di essere denunciati. Spesso le persone vanno dal medico dopo aver letto su Internet di un determinato esame e pretendono di averlo prescritto.
“La medicina difensiva di cui si parla tanto in questi giorni, è un vero cancro – afferma il professor Corazza – fa spendere un sacco di soldi, molte volte questi esami inutili e inappropriati vengono fatti per infortuni diagnostici, qui se il governo manterrà fede a ciò che ha detto non andrà nella direzione sbagliata, in tutta la nostra legislazione c’è la presunzione di innocenza per tutti meno che per i medici. Sono i medici che debbono dimostrare la loro innocenza, portare le prove del corretto operato, e non il presunto paziente o l’avvocato. L’onere della prova spetta a chi inizia la vertenza quindi al paziente o meglio all’avvocato. Sono fioriti studi legali che fanno solo questo e ciò incrina il rapporto medico paziente, non una legge come questa che è ancora allo stadio iniziale e deve prendere la giusta direzione”.
Negli Stati Uniti sono frequentemente i pakistani e gli indiani ad entrare in sala operatoria o in sala parto, cumulano richieste di danni, poi lasciano il paese e non vi fanno più ritorno; i medici americani hanno terrore di venire denunciati. Le assicurazioni non vogliono più assistere i medici e le cause contro gli ospedali sono diventate un business, sia quelle motivate che quelle pretestuose. Quindi un disastro per i conti pubblici, un rischio eccessivo per le assicurazioni, un’angoscia per i medici e un affare per gli studi legali che vedono quadruplicare le azioni civili e penali nei confronti dei medici accusati di aver sbagliato.
“Le assicurazioni costano come interi mesi di stipendio – sostiene il professor Corazza – ma c’è qualcosa che non quadra. Se già si elimina il fatto che non devo essere io a dimostrare che ho fatto bene, ma il paziente che io ho fatto male, già questo scoraggerà molto chi pensa di trarre vantaggio dalle richieste di risarcimento, sto parlando della media e dei grossi numeri, poi se ci sono colpe legate ad incuria o ad ignoranza troppo grassa e’ un’altra cosa. Siccome la medicina e’ troppo vasta io sono più propenso a scusare le piccole ignoranze piuttosto che l’incuria o il disinteresse per l’ammalato. Invece quello che bisogna capire bene e chi è che giudicherà inappropriato questo o quest’altro, quali saranno le sanzioni legate a questa inappropriatezza e se i controlli verranno fatti a tappeto o verranno fatti a campione”.
Anche la Simi ha votato cinque indagini da non fare: 1) non lasciare i pazienti a letto, favorire la mobilizzazione precoce; 2) non chiedere il d-dimero senza indicazioni precise; 3) non prescrivere terapia antibiotica a lungo termine in assenza di sintomatologia; 4) non somministrare in modo perpetuo gli inibitori di pompa protonica; 5) non posizionare o mantenere in sede cateteri venosi centrali ad inserimento periferico per comodità del personale. I primi quattro punti cui sono stati invitati gli internisti a seguire queste pratiche sono stati proposti dagli stessi soci Simi e non sono presenti nella lista statunitense o canadese.
“Il choosing wisley di derivazione americana sta cambiando, va di pari passo col movimento inglese “less is more”che vuol dire fare di meno a volte e’ meglio. Noi, facendo raffiche di esami, sottoponiamo il paziente a radiazioni inutili, a quattrini spesi inutilmente, ma il problema e’ sempre quello della medicina difensiva perché in un determinato contesto, quello che abbiamo decretato “da non fare” potrebbe rivelarsi utile. Ma, mentre in America queste procedure o esami da non fare sono state calate dall’alto, nel caso della nostra Societa’ ho avuto l’idea di far girare un’inchiesta fra noi medici e le abbiamo votate a maggioranza, questo avrà un risvolto molto importante sul piano pratico, perché le cose che vengono imposte dall’alto spesso non sono rispettate, al contrario se si tratta di una cosa che è stata condivisa a priori”.
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, e gli ultimi tre Presidenti della Regione Sicilia sono medici, intorno a loro tante lamentele, polemiche e fatti gravi. Qualcuno anche in odor di mafia. Non si può non riflettere anche su questi professionisti che decidono di intraprendere la carriera politica.
“Chissà se alla base di questo non possa esserci un fatto positivo – spiega il presidente della Simi – cioè che il medico che è da sempre una figura importante nella società civile, in Italia ha sempre subito una serie di vessazioni a partire da quelle economiche, un medico alle prime armi guadagna come un infermiere che ha avuto qualche scatto di anzianità senza nulla togliere alla professionalità dell’infermiere, guardiamo i processi di malpractice dove il medico si deve discolpare anche da cose inesistenti, e quindi in questa ottica la discesa in politica in cui il medico a volte raggiunge delle posizioni di vertice e non necessariamente quei medici che raggiungono delle posizioni di vertice sono i medici migliori, la vedo bene se il medico vuole far sentire la sua voce non mediata dal politico di turno, anche su problemi che lo riguardano. Io non lo farei mai, non lo vedo a priori come un fatto negativo, poi questi citati sono dei casi limite”.
Perché non andare allora prima dal medico internista, li ci si può curare bene e con poco.
“Infatti – aggiunge il professore – noi della medicina interna ci siamo sempre proposti come partner delle istituzioni e del cittadino perché costiamo meno. Questo tipo di medicina costa meno ed è più efficiente. C’è differenza fra efficacia ed efficienza, efficacia è quando si raggiunge il risultato, efficiente e’ chi raggiunge il risultato con pochi costi e attraverso la via più breve. Noi riteniamo di fare una medicina efficiente. Questa non è una scomunica allo specialismo, non me la potrei permettere, perché quando lo specialista ci vuole ci vuole, però molte volte non ci vuole”.
@vanessaseffer