Uno studio recentemente pubblicato su “The Lancet”, considerata tra le prime cinque riviste mediche internazionali, rivela che lunghe ore lavorative possono far aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, ma gli studi prospettici sono stati scarsi, imprecisi ed essenzialmente limitati alla patologia coronarica, mancando quella cerebrale. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di identificare entrambi i contesti poiché fino ad ora si è saputo di più come reagisce il cuore e si sa molto poco del cervello.
Gli scienziati hanno raccolto tutti gli studi effettuati e già pubblicati sull’argomento, su dati che riguardavano 600mila persone ed hanno osservato che in relazione a chi lavora in modo standard (35/40 ore settimanali) un orario di lavoro superiore a 55 ore viene associato un maggiore rischio sia di malattie coronariche (infarto) che di ictus. L’aumento è parallelo all’aumento delle ore di lavoro. Il rischio aumenta del 10 per cento se le ore di lavoro aumentano fra 41 e 48; del 27 per cento se le ore di lavoro aumentano fra 49 e 54 e del 33 per cento al di sopra delle 55 ore di lavoro settimanali. I fattori di rischio, secondo lo studio, sono indipendenti se si tratta di fumatori, di obesi, non riguardano l’età, il genere, l’attività fisica o la pressione alta.
“L’elemento più rilevante di questo lavoro – afferma il professor Antonello Pietrangelo (nella foto), Ordinario di Medicina Interna dell’Università di Modena e Reggio Emilia – è il dato sul rischio di ictus che non era mai stato studiato nè riportato, mentre era già nella letteratura il concetto che la posizione seduta per molte ore e la modesta attività fisica possono associarsi ad un più elevato rischio di ictus. Interessante anche l’evidenza portata dallo studio che incidenti fatali e non fatali per coronaropatia sono più frequenti per status occupazionali-lavorativi associati a basso livello socio- economico (low SES) rispetto a quelli associati ad alto livello socio-economico (high SES). Ovviamente ci sono alcuni limiti: essere esposti a molte ore di lavoro non ci dice come sono quelle ore, quanto il lavoratore le trascorra con passione, gioia o stress e frustrazione, o in che ambiente si svolgano, quante ore dorme, quanto sale introduce con la dieta, un fattore importante nella patogenesi delle patologie in studio. Il lavoro fa emergere il nuovo dato sul rischio di ictus, forse sfuggito a studi precedenti, che insieme alle ormai standardizzate malattie cardiovascolari, suggerisce di trovare nuove strategie di prevenzione”.
Negli ambienti di lavoro non è facile adottare interventi di prevenzione efficaci, ma se il rischio di ictus si accompagna alla durata eccessiva dell’orario di lavoro ecco un ulteriore spunto di riflessione su quanto l’Unione europea ha proposto riguardo alle 11 ore di riposo fra un turno e l’altro riguardo specifiche categorie particolarmente sotto stress come quelle di medici e infermieri che spesso si trovano in corsia h24, peggio ancora in sala operatoria. Per rimediare ai vuoti nelle ore di assenza forzata in cui non si saprebbe come coprire i turni e garantire i servizi, che dovrebbero essere compensati da altrettanti professionisti qualificati, andrebbero stabilizzati i precari e banditi nuovi concorsi per l’assunzione di nuovo personale medico, infermieristico e paramedico, come sta cercando di fare il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
@vanessaseffer