Roma. Rebibbia, un quartiere di periferia. “Qui ci manca tutto, non ci serve niente”.

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di Bruno Calabrese

Dieci anni fa Zerocalcare, un fumettista di grande successo editoriale, ha realizzato un famoso murale su una delle pareti della stazione della metropolitana di Rebibbia, a Roma, in occasione della fiera “Più libri, più liberi” che si tenne all’EUR.
Un murale di benvenuto che ancora campeggia sbiadito e scolorito, in parte rovinato, nonostante restaurato da appena un anno, svilito e abbrutito da alcuni scandalosi imbrattamenti.
Oggi, tutti vi passano davanti e nessuno si sofferma!


Anzi, tutti lo considerano uno scarabocchio realizzato abusivamente da uno di quei tanti writer che impazzano, deturpando incontrollati pareti e vagoni della metropolitana di Roma.
Quel murale, realizzato su proposta dell’ATAC, ormai è ridotto a fenomeno di cult solo per intellettuali e per quella ristretta elite di estimatori artistici di murales alla Banksy. Insomma, un’opera d’arte, rinomata perfino all’estero, paradossalmente, non è conosciuta nemmeno dagli stessi abitanti del quartiere a cui si riferisce.
Il murale s’incentra sulla raffigurazione di un grosso Mammut sul cui dorso vi sono personaggi felici, anche se oppressi da strutture cementizie, rappresentative sia delle sedi industriali dismesse che del famoso carcere di Rebibbia.
L’iconografia del Mammut rappresenta l’antica presenza umana, del periodo paleolitico, documentata dai ritrovamenti di un vasto deposito pleistocenico (tra cui molte parti appunto di Mammut) scoperto nel 1981, poco distante dalla stessa fermata metropolitana.
Dalla campagna di scavi, durata ben lunghi cinque anni, di grande importanza scientifica, ne è derivata un’attrezzatissima ed interessante struttura museale, oggi abbandonata a se stessa, ormai bisognosa di ristrutturazione, i cui addetti girano i pollici per tutto il loro turno lavorativo a causa della totale assenza di visitatori, fatta salva qualche scolaresca svogliata, lì zavorrata da qualche docente illuminato.
L’iconografia del Mammut fu utilizzata da Zerocalcare per rappresentare l’inossidabile presenza umana in quel territorio, refrattaria a qualsiasi evento da circa due milioni di anni a questa parte.
Infatti, campeggia sulla parte alta del murale una scritta di benvenuto che sintetizza sociologicamente e psicologicamente l’approccio di vita degli abitanti del quartiere: “Welcome to Rebibbia. Fettuccia di paradiso stretta tra la Tiburtina e la Nomentana, terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi. Qui ci manca tutto, non ci serve niente”.
Qui ci manca tutto, non ci serve niente!
Qualcuno ha osservato che si tratti di una satira graffiante sulla condizione degli abitanti del quartiere.
Purtroppo, si tratta, al contrario, di una potente denuncia di una condizione di reale abbandono a se stessa, come tutti i quartieri periferici di Roma, che si è verificata dagli anni ’80 ad oggi.
L’orgoglio romano, tanto vituperato, rimane inscalfibile!
Il popolino, abbandonato a se stesso e ai soprusi aristocratici durante i secoli del regno pontificio, continua a reagire allo stesso modo. “Non ci serve niente! Anche se ci manca tutto!”.
Ne discende che “Non potete chiederci niente!”.
Non potete chiederci partecipazione e coscienza politica, identificazione con lo Stato, rispetto per le istituzione Statali e comunali, rispetto per le leggi.
E la coscienza civica? Oh, quella sì! La coscienza civica è ben incarnata e radicata in ogni persona che è costretta al fai da te per sopravvivere!
Infatti, proprio nelle periferie, diventate fasciste, a dispetto dello zoccolo duro comunista durato oltre un cinquantennio, vi è molto rispetto ed amore per gli stranieri, a cui non gli si chiede di mostrare il permesso di soggiorno, ma solo la voglia di buttarsi a fare qualsiasi lavoro e chissenefrega se in nero.
Rispettosi per qualsiasi essere umano (tatuato, giallo, nero, musulmano, indù, rasta e non, che sia) purché contribuisca, in un modo o nell’altro, a far qualcosa di lavorativo sia per se stesso che per la sopravvivenza del quartiere.
Fascisti e razzisti, sì, nei confronti di tutti gli scansafatiche, parassiti (bianchi e di colore, in divisa e non) che abusano della propria posizione per avere una sorta di supremazia a scapito degli altri.
Ecco in sintesi, come si concretizza, il senso di accoglienza e la cultura inclusiva in una periferia romana. In senso antitetico e contrario; in senso antistatale!

Bruno Calabrese

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