Le Rems, ossia Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, sono strutture residenziali con funzioni socio-riabilitative nelle quali alcuni autori di reato, nella fattispecie quelli affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi, su disposizione della magistratura, vengono accolti, quando una misura detentiva vera e propria a causa del loro stato di salute mentale non si può applicare, al fine di poter essere curati. La gestione interna dei pazienti che non possono definirsi detenuti, è di competenza esclusivamente sanitaria, poiché afferenti al Dipartimento di Salute mentale. Queste strutture sostituiscono i precedenti Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), che a loro volta sono subentrati alla chiusura dei ben noti manicomi chiusi con la legge Basaglia.
Ma siamo certi che nelle Rems ci sia tutto ciò che serve per affrontare ed assicurare le cure adeguate e fare fronte alla pericolosità sociale dell’infermo e seminfermo di mente? Di questo parliamo con uno psichiatra ligure, il dottor Gianluca Lisa, componente dell’Esecutivo nazionale della Cisl medici. Fino al maggio di quest’anno 2019 in Italia ci sono 30 Rems. In Liguria ce n’è solo una a Genova con 20 posti. Nel Lazio ce ne sono 5 con 111 posti in totale. Una di queste si trova al sesto piano di un palazzo. Le liste d’attesa sono lunghissime in tutte le regioni, e molti pazienti che avrebbero diritto ad essere ospitati in Rems non possono accedervi. Nel frattempo chi commette un reato e non può essere condotto in prigione perché non un luogo adatto in quanto si è agito per ragioni dovute alla malattia mentale, non può usufruirne e quindi è alto anche il rischio suicidio.
La Rems ha ragion di esistere così come è concepita o ci vorrebbe un miglioramento del sistema?
Secondo me è un problema atavico del nostro Paese ed una gestione un poco superficiale come è spesso stato dei problemi seri. La 180 è sicuramente stata una legge importante, il problema delle Rems l’ho gestito in passato sindacalmente nella regione dove lavoro e in Piemonte con cui abbiamo molti contatti. Innanzitutto il problema nasce dalla 180, perché i manicomi ad un certo punto erano diventati dei lager, quindi menomale che è arrivata questa legge, che avrebbe dovuto garantire un’assistenza territoriale ai pazienti psichiatrici, ma questo è avvenuto solo parzialmente e buona parte della problematica è ricaduta sulle famiglie. Gli Ospedali psichiatrici giudiziali andavano a mio modesto avviso umanizzati, ristrutturati e riadeguati, perché le Rems oltretutto non sono dei luoghi di cura ma sono posti di degenza. Partiamo dal presupposto che nel momento in cui per il paziente psichiatrico viene disposto un inserimento presso una Rems, non appena questo si scompensa, nella Rems non fanno delle terapie specifiche ma lo mandano nel reparto psichiatrico. Quindi si crea un paradosso per cui molte volte il ricovero del paziente viene indicato presso una Rems che non è dotata di quegli strumenti per trattare, perché parliamo di “pazienti psichiatrici”, se escono da un Opg non si tratta di pazienti che non sono solo psichiatrici ma hanno anche un discreto grado di pericolosità o potrebbero averlo. Il paziente psichiatrico è di per sé imprevedibile, molte disgrazie accadono anche perché può avere una crisi improvvisa. Quindi nel momento in cui si crea un’alternativa all’Opg, deve essere un luogo dove una persona staziona ma dove venga anche curata. Ho sentito molti colleghi lamentarsi di alcune disposizioni della magistratura che facevano sì che il paziente dato che non c’era posto nella Rems veniva messo in Servizio psichiatrico diagnosi e cura (Spdc), quindi c’è il problema del “chi lo piantona?”, spesso la polizia penitenziaria non ha personale, allora si cercano degli escamotage per cui ne fanno le spese sempre i medici.
Quando un paziente psichiatrico ha commesso un reato grave e viene condotto in carcere è comunque pericoloso per gli altri carcerati e per chi lo piantona?
Bisogna vedere caso per caso, si parte dal presupposto che l’atto delittuoso possa essere stato commesso da un paziente psichiatrico o no? Il paziente psichiatrico è potenzialmente più pericoloso rispetto al delinquente comune per la legge, bisogna vedere se era in cura già prima o dopo il fatto, ma lì la Magistratura interviene secondo precise norme a seconda della gravità dell’avvenimento. Se questo paziente era in carico ad uno specialista, la Magistratura cerca di individuare anche dove vi siano state delle responsabilità nel prescrivere il percorso di cura. Diverso è il caso di un paziente che commette un atto delittuoso e poi ad un certo punto, come spesso accade per qualsiasi delitto si invoca o si chiedono i Ctu, cioè le consulenze tecniche, per capire se ci sono patologie psichiatriche, le parti difensive intervengono. Delle due l’una: o tutte le carceri sono dei reparti psichiatrici o troviamo delle soluzioni per definire un po’ meglio questi percorsi, anche sotto il profilo legale.
Lei dice, posso capire perché è problematico il mondo delle Rems. Qual è il problema? Cosa manca, c’è una carenza di psichiatri, perché non si può curare bene dentro le Rems, c’è un vuoto legislativo?
C’è innanzitutto una carenza numerica degli psichiatri anche sui territori e negli Spdc, nei reparti psichiatrici, perché come auspicava la legge 180 se fosse stata effettivamente garantita a tutti coloro che uscivano dai manicomi l’assistenza territoriale, con personale adeguato, quindi con gli psichiatri, molti problemi sarebbero stati risolti. Il problema è che adesso il servizio di salute mentale in diverse Regioni è, non dico sicuramente al collasso, ma certamente in una fase problematica per la scarsità di personale, ma ciò non riguarda solo il personale medico, parlo anche di infermieri, educatori, psicologi e dunque praticamente quando i servizi non riescono a lavorare perché manca il personale, tutte le cose a cascata si complicano. La Rems poi, per come è strutturata, è un posto dove il paziente prima o poi si scompensa e viene inviato in un reparto psichiatrico, quindi si va a gravare con un problema giudiziario i reparti psichiatrici degli ospedali che sono già al collasso. In ogni provincia dovrebbero esserci 16 posti in un reparto psichiatrico, poi in ogni realtà questi posti sono derogati, chi arriva a 20, chi arriva a chiederne 24, perché in effetti la patologia psichiatrica sta aumentando in maniera esponenziale forse perché questa società è per certi versi troppo permissiva e senza regole ed infatti nei reparti psichiatrici arrivano sempre più i giovani. I giovani hanno in più le conseguenze delle assunzioni degli stupefacenti, di droghe sempre più complesse. La Rems va a creare un problema in più fra gli Spdc che hanno già pochi posti in urgenza, perché non dimentichiamoci che l’Spdc è un reparto di urgenza, che prevede una durata di ricovero anche breve con un turnover elevato, e in questa particolare circostanza vanno a bloccare un posto con un ricovero che a mio parere è improprio, perché dovrebbe essere la Rems a gestire il paziente al suo interno e non all’insorgere di un problema mandarlo in Spdc, perché i posti sono pochi. Quindi si somma problema su problema, i posti sono pochi, le Rems non hanno i numeri di posti adeguati al problema e diventa un sistema che va inevitabilmente verso l’implosione.
Essendoci tutte queste problematiche nuove, legate anche al decadimento dei valori e quindi si abbassa anche l’età, perché c’è una nuova falla che coinvolge la famiglia che non può reggere questa situazione di figli con queste problematiche, genitori single e non con figli aggressivi, che si drogano, che fanno uso di droghe nuove, che hanno comportamenti molto aggressivi, probabilmente bisognerà inventarsi altri luoghi che non siano queste Rems, perché non sembrano il posto adatto a questo tipo di situazione che si stanno venendo a creare. Poi anche fra i giovani sembra esserci una violenza dilagante e molto preoccupante.
Lei sta sottolineando un problema importante, non dimentichiamoci che c’è un confine: la minore e la maggiore età. Intanto c’è la competenza del Tribunale dei minori per i giovani di minore età e poi è vero che stanno aumentando i ricoveri anche dei minori nei reparti psichiatrici. Ho sentito dei colleghi in Liguria con cui parlavamo di casi di ragazzini di 11-13 anni già ricoverati. Ho fatto dei ragionamenti anche da sindacalista e non da uomo della strada. È normale che in un paese civile serie tivù come Gomorra o Romanzo Criminale vengano trasmesse dalle televisioni quasi in senso apologetico? Dove nella mente dei ragazzi lavorano chissà in che modo? Una volta c’era la famiglia che dava delle regole, c’erano tutti in casa, compreso i nonni, mentre al giorno d’oggi i ragazzi vengono parcheggiati davanti alla televisione o al telefonino, spesso minori, e spesso vedono spettacoli raccapriccianti, perché c’è un grande business dietro. Se fossi nei panni del presidente del Consiglio farei cessare subito questo tipo di programmazioni perché sono profondamente diseducative, trasmettono una serie di valori totalmente antitetici a quelli che erano delle passate generazioni. Per certi versi ci stupiamo di quello che accade fra i giovani, dell’uso di droghe smodato, o di alcol. Ma c’è un po’ di ipocrisia, perché la società oggi non sta facendo nulla per andare incontro ai ragazzi, non ci sono regole, ci sono le discoteche già aperte alle 16, una società che se non si dà una regolata sul controllo del sociale anche abbastanza rigido non capisce che a farne le spese sono proprio i ragazzi. I giovani non vanno in una Rems perché c’è il carcere minorile, ci auguriamo che fino ad oggi vengano destinate ai maggiorenni, però ci sono dei ragazzi di sedici anni che creano dei problemi di ordine pubblico e di gestione psichiatrica non indifferente e che non sono il bambino che noi potevamo conoscere nelle nostra generazioni precedenti, ma sono degli energumeni alti due metri che creano non pochi problemi nei reparti dove vengono ricoverati e oltretutto si tratta di patologie dovute all’uso di droghe che vengono sintetizzate in laboratorio sulle quali noi non abbiamo ancora che una scarsa conoscenza e non sappiamo con precisione cosa può derivare dalla interazione con farmaci che abitualmente vengono somministrati per smorzarne gli effetti.
Nelle Rems, qualora ci fossero tutte le figure necessarie, medici, psichiatri, infermieri, psicologi, educatori, ci sarebbe la possibilità di curare o no? Oppure è un luogo dove si staziona e basta? Vorrei precisarlo una volta per tutte.
La Rems ad oggi non è un luogo di cura, auspico che lo possano diventare effettivamente, non si può andare in carcere e non si può andare più in Ospedale psichiatrico giudiziario. È una via di mezzo. Il paziente psichiatrico non è consapevole dei suoi agiti ma questa inconsapevolezza fa sì che mentre la persona che non ha problemi psichiatrici e commette un reato può pentirsi, il paziente psichiatrico è un caso diverso, lui può commettere certe azioni sotto l’influsso di un peggioramento delle sue condizioni che sono imprevedibili e dipendono anche dalle terapie che assumono. Quindi un luogo dove vengano controllati ci vuole. Non è un problema di Rems, ci vorrebbe un potenziamento dell’assistenza psichiatrica nel suo complesso, a partire dai servizi territoriali. Se questi potessero funzionare meglio avremmo sicuramente meno ricoveri in Spdc, se i servizi psichiatrici fossero potenziati anche relativamente al Servizio tossicodipendenze (Sert). Però anche la società deve fare la sua parte, dando delle regole ai giovani che in questo momento non ne hanno, tutta questa situazione sarebbe più contenuta, perché sta portando ad un aumento esponenziale della patologia psichiatrica. Una volta ad un Congresso rispetto a questo problema usai una metafora citando la Battaglia di Capo Matapan dove in pochi minuti furono affondati tre incrociatori italiani, lo Zara, il Pola e il Fiume. Quella notte gli italiani si dimenticarono degli inglesi, che tra l’altro avevano il radar, ma gli inglesi non si dimenticarono degli italiani. Allo stesso modo, la nostra società, le nostre istituzioni si sono dimenticate della psichiatria, ma la psichiatria non si sta dimenticando della società che sta regredendo, con l’aumento di tutte queste patologie documentate. La risposta va data soprattutto sul territorio, sono convinto che la 180 sia stata una conquista con un impianto per certi versi positivo, che non ha avuto quelle risorse promesse e le famiglie il più delle volte si son trovate a gestire loro il paziente psichiatrico anche scompensato.
Alcuni pazienti di alcune Rems hanno anche il permesso per uscire dalle strutture per qualche ora.
I permessi, le concessioni, sono cose importanti che vanno date cum grano salis, valutando attentamente, perché quando dai una possibilità ad una persona con malattie mentali devi essere profondamente sicuro del processo riabilitativo terapeutico e non si manda fuori a casaccio solo per dire di aver fatto una bella azione. Deve esserci un disegno clinico e riabilitativo dietro.
Alcune persone con disturbi mentali vengono inserite in contesti abitativi ad hoc, sorgono appartamenti dove possono vivere insieme, sono realtà per un certo tipo di pazienti psichiatrici, che non hanno commesso reati, quindi non da Rems, che non sanno dove vivere e questa soluzione sembra essere un’alternativa possibile. Che ne pensa?
Potrebbe essere una esperienza positiva, ma il problema sono le risorse che ci mettiamo per gestire questi pazienti. Piuttosto che rinchiusi in un istituto, se possono conquistare un po’ di autonomia è una cosa importante, ma sono necessari quei servizi del territorio che potenziati, facciano un lavoro di gestione dei processi di contenimento. Non si può mandare una lettera al paziente psichiatrico per dirgli di andare a stare in quella casa o andare a fare le terapie in quel posto, sono i terapeuti che devono andare a trovarli periodicamente a seconda dei casi e della patologia. Ci sono poi alcune patologie pericolose, ci sono stati dei colleghi psichiatri che hanno perso la vita a causa di alcuni pazienti aggressivi, perché spesso alcuni soggetti sono rischiosi e impegnativi per tutti quelli che hanno a che fare con lui a partire dai medici e i familiari. Per questo dico che se la società si rendesse conto che la patologia psichiatrica sta aumentando esponenzialmente, magari si avrebbe la consapevolezza di doversi adoperare aumentando i servizi.
Uno psichiatra ha bisogno di scaricare la sua “spazzatura” scaricando periodicamente in qualche modo tutto ciò che gli altri raccontano e che lui accumula?
Io ritengo che la psichiatria rappresenti l’aristocrazia dell’arte medica. Molte volte sono stato chiamato anche per consulenze insieme a patologie neurologiche o internistiche, lo psichiatra serve anche in casi come quelli, adesso vado meno per la mia età, un medico ama tutti i suoi pazienti, forse lo psichiatra li ama un po’ di più. Poi ogni psichiatra secondo me dovrebbe fare un percorso analitico, ma non perché ne abbia bisogno, ma perché quando si parla con un paziente e vengono fuori i vissuti della persona, la famiglia, gli affetti, lo psichiatra deve essere attento a non trasferire su di sé le tematiche affrontate. Comunque abitualmente si fa, è utile ma non è obbligatorio.
Dovrebbero fare o no un percorso psicanalitico anche gli insegnanti, i magistrati, i preti e tutti coloro che per mestiere hanno e che avranno a che fare con la vita e il futuro delle persone?
Diciamo che viviamo in una società troppo veloce, che chiede molto, a tutti noi. Faccio una considerazione che va fuori tema, ma che dimostra cosa succede quando viviamo senza fermarci. Provo profondo dolore per quei genitori che hanno abbandonato in macchina i figli convinti di averli portati all’asilo e che poi sono deceduti per il caldo ad esempio. Pensiamo ad una persona in questa società che rischia il posto di lavoro, le rate del mutuo e che ha un blocco per cui dimentica. Che tragedia può essere. Tutti, nessuno escluso, avrebbero bisogno di un momento per fermarsi, per come si corre oggi e per le responsabilità che ha, non abbiamo cinque minuti di tempo da dedicarci? O per avere la consapevolezza di averne bisogno? Tante persone potrebbero giovarsene ma non averne la consapevolezza dell’utilità. Alcuni negano l’utilità di questo tipo di supporto che è un prendersi cura di sé. Molto importante è la funzione della scuola. Ricordo di essere stato chiamato con una quindicina di colleghi in una scuola per il caso di un bambino perché rompeva delle cose. Io feci presente che fra operatori pubblici, assistenti sociali eravamo quindici persone pagate dallo Stato. Se quando ero piccolo io o uno dei miei compagni ci fossimo azzardati non dico a spaccare qualcosa ma a fare uno scarabocchio sul muro della scuola, sarebbe arrivato il maestro, mi avrebbe portato a calci sul sedere dal preside, il preside mi avrebbe preso per un orecchio e avrebbe chiamato mio padre che sarebbe venuto, mi avrebbe portato a casa e mi avrebbe messo in punizione. I nostri maestri fino agli anni Sessanta gestivano delle classi con ragazzi molto problematici, compreso i disabili che ci sono sempre stati. Ma nella nostra società è cambiato qualcosa in peggio in questi anni? C’è stata una richiesta di libertà soggettiva sociale che ha portato ad una assenza totale di regole specie per le giovani generazioni e questo è un problema.
@vanessaseffer