Come ogni anno in inverno, Pronto soccorso e reparti ospedalieri vengono letteralmente presi d’assalto e sommersi da un carico di lavoro che mette a dura prova il personale ospedaliero (medici, infermieri, operatori dei servizi), la tolleranza di chi deve fronteggiare l’emergenza e dei cittadini che necessitano di assistenza. Questa situazione non si perpetua soltanto nel nostro Paese, ma anche nel resto d’Europa. Pure negli Stati Uniti. Il taglio di numerosi posti letto, le assunzioni bloccate, la carenza di alternative all’ospedale, i ricoveri temporanei in altri reparti (in attesa che si liberi un posto), medici costretti a correre da un reparto all’altro per seguire il paziente dall’inizio alla fine e il personale infermieristico che deve occuparsi di pazienti di altri reparti, rendono il problema ancora più complicato. Tutto il personale è così sovraesposto ad un lavoro eccessivo, fuori dagli standard indicati dalle Regioni. Questo può inficiare la risposta assistenziale. Non si investe sui servizi alternativi sul territorio e sull’assistenza domiciliare; non c’è sufficiente collaborazione fra i medici di base e quelli ospedalieri per rispondere alle necessità dei cittadini, sostituendo in molti casi il ricovero negli ospedali e decongestionando così le strutture ospedaliere. Fino a che non si attivano questi servizi alternativi, tutto resterà sulle spalle del personale ospedaliero, che è già ben oltre il limite.
“Il sovraffollamento negli ospedali c’è sempre, ma la situazione più critica quest’anno si è verificata a Natale e solo adesso cominciamo a vedere luce – ci spiega il professor Claudio Modini, Ordinario di Chirurgia generale e direttore del Dai Emergenza e Accettazione del “Policlinico Umberto I” di Roma – C’è stata una specie di tempesta perfetta, un anticipo dell’epidemia influenzale che è arrivata circa 7/8 settimane prima del previsto, in contemporanea col periodo delle festività e con un peggioramento intorno all’1/2 gennaio, con poco personale in servizio perché in ferie o in congedo e l’influenza che ha colpito anche molte persone giovani, compresi medici e infermieri. Lo squilibrio tra calo del personale e carico del lavoro è diventato tale da determinare e non consentire una risposta ottimale”.
Professore, potrebbe non essere una coincidenza che il sovraffollamento ci sia nei periodi festivi, nei week-end e nei giorni più caldi quando le famiglie vanno in ferie?
In qualche misura forse sì, però abbiamo avuto un numero di accessi al Pronto soccorso sovrapponibile a quello dello stesso periodo negli altri anni, molti pazienti con polmoniti, con complicanze proprie di queste sindromi virali influenzali. Il problema del nostro Policlinico non è dei pazienti che vengono qui piuttosto che da un’altra parte; il problema è per i pazienti che hanno bisogno di essere ricoverati nell’ospedale.
Quali potrebbero essere le azioni da compiere sul territorio, per non andare direttamente in ospedale ed evitare questo ingombro, non credo che tutti i casi siano gravi o gravissimi? Evidentemente c’è qualcosa che territorialmente non funziona.
Noi cerchiamo di veicolare sul territorio quei pazienti che necessitano di un posto letto, il cui numero è la variabile fondamentale; noi abbiamo definito questo fenomeno “effetto Lampedusa” perché c’è un’analogia stretta dal punto di vista logico. Non possiamo respingere i pazienti come non possiamo respingere i migranti. Ma se il centro di accoglienza ha una capienza inferiore alle capacità, che sono molto mutevoli, è evidente che si crea una situazione di grande disagio. Se noi abbiamo centri di accoglienza con 1000 posti e arrivano 4mila persone si blocca tutto.
Mi scusi, ma un paziente italiano, che non viene dunque dall’Africa ma da qualche isolato dal Policlinico, può rivolgersi al suo medico curante prima di venire in ospedale, oppure alla guardia medica?
Chi ricoveriamo ha altro tipo di problema, questi pazienti hanno necessità di ricovero. Io ho una struttura con 8/9 posti in sala codice rosso, ma di solito ne accogliamo 10/12 e in più quelli che escono da lì che devono poi essere ricoverati. Gli ospedali non hanno questa capacità di risposta adeguata, anche avendo diverse decine di ambienti da sfruttare perché il personale è numericamente insufficiente. Abbiamo avuto dei picchi drammatici nei giorni scorsi. C’è un sito della Regione che in tempo reale dice quanti malati ci sono nei vari Pronto soccorso; noi abbiamo avuto anche punte di 160 pazienti. Oggi stiamo bene (relativamente) perché ne abbiamo 112. Bisogna sfruttare tutto al meglio, ma c’è una legge economica, c’è una curva, dopodiché il rendimento si riduce. Speriamo di avere una tregua perché ho avuto difficoltà con i turni di guardia, ho dovuto raddoppiare quelli degli infermieri. Tutti gli ospedali stanno nella nostra stessa situazione! Ospedali che di solito non hanno un grande afflusso, tipo il “Policlinico Gemelli”, giorni fa aveva anche 130 persone al Pronto soccorso. Quindi è un fenomeno molto intenso.
Quante persone può accogliere il Dea del Policlinico Umberto I in perfetto regime di accoglienza?
In perfetta norma, rispettando tutti i canoni di privacy, di pulizia, di turni e di tutta la copertura necessaria, circa 75/80 pazienti. Abbiamo avuto anche 156 pazienti alcuni giorni fa e allora lei capisce che in queste condizioni è quasi una guerra.
Dove le mettete queste persone in più, se ne avete 156?
Abbiamo aperto un reparto dove ne possiamo mettere un’altra ventina. La maggioranza comunque è gente che attende il posto letto, quindi che hanno una terapia impostata, che hanno bisogno dunque di tutti i confort di un reparto e il reparto non c’è. Abbiamo aperto nella notte un reparto giorni fa, dove abbiamo inserito una ventina di questi pazienti a rotazione, mano a mano che li ricoveravamo inserivamo gli altri, per farli dormire in condizioni dignitose, ma non a tutti ovviamente.
Il personale infermieristico e medico fa quindi i doppi turni?
Riguardo al personale, come ha detto alcuni giorni fa il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sono degli eroi. Chiaramente sono tutti affaticati e stressati ma sono d’esempio. Questa è la situazione. Di base il problema c’è.
Chi si dovrebbe occupare di queste problematiche?
Io mi occupo del Dea. Chi se ne deve occupare sono le aziende. Quando io ho segnalato la nostra previsione per questi giorni, che avremmo avuto questa progressiva crescita, la risposta c’è stata. La Regione, il nostro direttore generale ha fatto delle disposizioni molto stringenti, ha mobilitato tutte le risorse che avevamo; siamo riusciti quindi ad uscirne senza avere conseguenze tragiche per i malati e per il personale. Il Policlinico è centrale nella città, l’età media degli abitanti che sono intorno all’“Umberto I”, rispetto a 10 anni fa, è invecchiata. Abbiamo una popolazione più anziana e sono quelli che hanno pagato le tasse e che ci permetteranno di avere la pensione. Ma sono pazienti polipatologici, che hanno bisogno di tante cose, quindi quando noi ci ritroviamo con 150 persone all’improvviso comincia a mancare tutto, anche i farmaci, ma tutto l’ospedale fa il possibile. Secondo gli esperti il picco non si è ancora esaurito. Se non ci fosse stata l’influenza avremmo avuto una situazione affrontabile. L’impatto è stato violentissimo in tutti i Pronto soccorso.
Di fondo c’è una disorganizzazione che porta queste problematiche o va tutto bene professore?
Il problema riguarda le risorse che vengono messe da una parte o dall’altra. Io non mi occupo di risorse e quindi non le so dire dove andrebbero messe. Se avessi 50 letti in più nell’ospedale avrei meno difficoltà.
Chi decide il numero dei posti letto e come muovere le risorse?
In parte i direttori generali, ma fanno quello che possono.
Chi li sceglie questi direttori generali?
In generale i direttori generali rispondono alla Regione.
La Regione e il ministero della Salute come fanno a sapere se ci sono o meno e quali di queste problematiche?
Convocano i direttori generali che danno certi indirizzi, ma certe abitudini è difficile cambiarle. Non è che si possono trasformare dei reparti di Medicina dove, a seconda della patologia, hanno 15 giorni di degenza media. Non si può chiedere di colpo con una disposizione di farli diventare da 10 giorni di degenza media; è un processo lento che ha bisogno di personale nuovo, di giovani, perché quando abbiamo contemporaneamente problemi di personale e di posti letto la situazione diventa difficile.
Quanto deve stare mediamente ricoverato un paziente per essere curato bene, reagire bene alle terapie, per poi lasciare il posto letto ad un altro paziente? Quali sono i tempi giusti?
I tempi giusti senza parlare di pezzi di carta, reali, per un paziente appena arrivato, sono di 6/8 ore per decidere se ricoverarlo o meno, e allo scadere delle 24 ore il posto letto lo dovrebbe avere. Se io adesso ho 40 pazienti in attesa di ricovero (ma ne abbiamo avuti anche 100), allora 100 malati o 50 in attesa di ricovero, sono l’equivalente di due o tre divisioni. I malati invece stanno lì. Io non ho l’organico o i posti letto di tre divisioni, ma devo curare quelli che arrivano! Io non faccio né l’amministratore né il politico, penso che sia difficile per tutti. Non conosco i problemi che sono in capo agli altri, se lei interroga i responsabili dei vari dipartimenti le diranno le stesse cose.
Ci potrebbe essere un problema legato all’accorpamento di alcuni reparti?
Se uno riduce – perché c’è il piano di rientro e dobbiamo risparmiare – la disponibilità di letti ma lascia gli stessi spazi e vabbè, quando c’è un momento di crisi aggiunge altri letti, ma se uno vuole veramente risparmiare deve accorpare i reparti, in maniera tale da limitare il personale.
Che ne pensa del caso di Nola che ha suscitato grande stupore, è un problema di tutto il territorio italiano?
Non è solo un problema italiano. Se lei va sul web e clicca “overcrowding” (sovraffollamento) vedrà che è un problema più diffuso di quanto si pensi nei Paesi occidentali. Anche in Francia con un sistema sanitario di assoluta eccellenza, come hanno dimostrato con la risposta che hanno dato al terrorismo, hanno dei problemi. A Nola hanno avuto 260 accessi in un ospedale da cento posti letto. È come se io avessi avuto 1000 accessi. Hanno fatto il massimo di quello che potevano fare. A Nola l’effetto Lampedusa c’è stato in maniera precisa. Sono arrivati quei pazienti e loro li hanno curati al meglio che potevano. Le prime critiche sono state assolutamente ingenerose.
@vanessaseffer