Sicilia: Luigi Genovese, parla “Mister preferenze”

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Sicilia: Luigi Genovese, parla “Mister preferenze”È il 21enne più chiacchierato d’Italia, per via dei 17.359 voti che ha ottenuto alle elezioni regionali siciliane appena concluse e delle problematiche giudiziarie dei suoi familiari. Cerchiamo di conoscerlo un po’ di più, perché in pochi gli hanno concesso il beneficio del dubbio. Sono i figli che spesso pagano per fatti veri ma anche presunti che hanno coinvolto padri e madri. Gli do del tu, perché ho un figlio della stessa età, ma dovrei chiamarlo onorevole, non Luigino, usato non con affetto ma per ridimensionare al massimo la persona.

Come rispondi alle polemiche contro di te e tuo padre?

Risponderò nelle fasi successive, con i fatti. Adesso è scontato il mio pensiero. Le critiche erano personali, attacchi contro la mia famiglia che maggiormente si fondavano sull’insulto. Se ci fossero state critiche legate al mio operato, ma non ho neanche cominciato, o su una progettualità che voglio portare avanti, allora le avrei accettate con tutto me stesso. Anzi, avrei imparato da esse. Oggi, purtroppo, ho potuto solo imparare qualche insulto di cui ancora non ero a conoscenza.

Quali sono i punti salienti del tuo programma?

Mi piacerebbe riuscire a coinvolgere i giovani nella vita politica siciliana, quelli della mia generazione. Come? Per esempio con l’istituzione dei Consigli comunali dei giovani, come esistono nel Lazio. Mi piacerebbe portare questo format in Sicilia. Ma anche portare nel mondo dell’Assemblea regionale siciliana strumenti innovativi per velocizzare l’iter burocratico. A causa di tutti i passacarte, questo non succede. Ho tante idee e progetti, ma se vuoi sapere qual è la prima cosa che farò, sarà richiedere la presenza del question time, come alla Camera dei deputati. Perché, oggi, un deputato che decide di fare un’interrogazione parlamentare a un assessore non ha certezza di risposta, c’è un limite massimo di sei mesi per cui l’assessore può rispondere, ma è sua facoltà non un obbligo. Invece è importante che sia un obbligo.

Porterai dei coetanei con te all’Ars come tuoi collaboratori?

Assolutamente sì. Ci rinnoviamo a cominciare da questo.

Cosa pensi di dire ai tuoi coetanei siciliani che non sono interessati alla politica, cosa farai per loro?

Vorrei essere portavoce della mia generazione; quando ho scelto di candidarmi è stato questo che mi ha stimolato. Non ho avuto tutti con me ovviamente, ma una buona parte sì. Ma sono il rappresentante di tutti, non solo dei giovani della mia generazione. L’attenzione sarà massima nei confronti di chiunque.

Come ti sei preparato per un percorso così gravoso anche per un cinquantenne con una lunga esperienza alle spalle?

Sicuramente studiando, mi sono iscritto a Giurisprudenza, sono indietro di qualche esame, uno lo recupererò a dicembre. Quello che era legato al mondo della Pubblica amministrazione mi ha sempre appassionato di più rispetto al resto. Però l’esperienza deve farsi sul campo.

Rappresenti una grossa fetta dei votanti di questo anno, dovranno ascoltarti. Sei la quarta generazione di politici in famiglia: lo zio di tuo padre è stato più volte ministro, tuo nonno senatore diverse volte e tuo padre deputato nazionale due volte, una volta deputato regionale ed è stato sindaco di Messina. Si è sempre respirata la politica in casa tua. È complicato essere figlio di Francantonio Genovese?

È semplicissimo e devo dirti che è una grande soddisfazione. Naturalmente questo mi impone un impegno ancora più grande, il triplo che ci metterei se non fossi suo figlio, questo mi stimola molto a fare meglio che posso.

È giusto che le colpe dei padri debbano ricadere ed essere pagate dai figli?

È assolutamente scorretto. Hanno provato in tutti i modi a fare ricadere su di me delle colpe di mio padre che non sono neanche accertate, quindi so che è una cosa parecchio sgradevole.

Cos’è per te la politica?

È una cosa bella. Quando ho scelto di fare politica l’ho fatto perché mi piace lo spirito di servizio che è alla base, e mi piacerebbe che si cominciasse a parlare veramente di politica, quella in cui non ci deve essere un necessario scontro fra maggioranza e opposizione, e quella soprattutto in cui ci deve essere rispetto per le parti politiche, quelle per le persone. Cosa che oggi manca totalmente e io ne sono l’emblema nonché il più puntato dagli altri schieramenti.

Qual è lo schieramento che si è infervorato di più e ha usato le parole di cui mi hai parlato prima?

Il M5S nella figura del suo candidato, Cancelleri, ma anche di Corrao e di Grillo stesso. Tutti hanno denigrato, sicuramente perché imposto dall’alto, la mia persona. Io credo che Grillo che tanto si presenta come una persona onesta, non può permettersi di paragonarsi a me. Potrei dire che Grillo o suo figlio non possono più parlare di sicurezza stradale e incidenti, dato il noto fatto giudiziario che lo ha riguardato e che lo ha visto condannato in via definitiva. Penso anche all’attacco sui fondi europei e mi chiedo perché non dovrei parlarne, se oggi sono l’unica risorsa che la Regione Sicilia può ottenere in via diretta e soprattutto semplificata.

Come vedi Silvio Berlusconi?

Come una persona competente, un uomo che quando scende in campo è in grado di riuscire a far risollevare le sorti di un centrodestra che sembrava morto, invece gli ha ridato nuova linfa vitale, reclutando persone nuove, io tra questi.

Hai una vaga idea di quello che potrebbe essere dopo Berlusconi? Cosa speri?

Spero di poter costruire insieme a lui il dopo.

@vanessaseffer

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Sylos Labini è “Uno sbagliato”

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Sylos Labini è “Uno sbagliato”Dopo aver interpretato grandi personaggi, come Gabriele D’Annunzio lo scorso anno, Edoardo Sylos Labini trasforma il Teatro Golden di Roma in un locale notturno, dove presenta la pièce scritta e diretta da lui, “Uno sbagliato”. Interagendo direttamente con il pubblico, narra di un quarantenne cinico, amaramente ironico e disorientato, incapace di affrontare le sue responsabilità di marito, padre e dipendente statale, che ha un lavoro grazie al suocero che “piuttosto che mia figlia in mezzo a una strada ci penso io”, rivelando le sue paure e insicurezze al barman, davanti a diversi bicchieri di drink, che in poco tempo lo trasformano in un alcolizzato.

La pazienza della moglie, incinta per la terza volta, appare davvero surreale. La  condizione di lei fa esplodere in lui l’irrequietezza e il turbamento di essersi ritrovato adulto con desideri ancora da ragazzo. Lei lo perdona anche quando sparisce per giorni e non fa tante domande al suo ritorno. Solo quando vanno a fare la spesa al centro commerciale e scopre che lui ha speso tutto lo stipendio in bagordi e che ha perso il lavoro, reagisce con violenza; questa volta sarebbero state le bambine a farne le spese!

Una storia che esamina la nostra attualità, spesso priva di valori che una volta erano fondanti. La donna in “attesa”, che sopporta per il quieto vivere, che non è palesemente evidenziata sul palcoscenico, è comunque una presenza importante. Ricorda quella di secoli fa, ma ancora fra noi ce ne sono svariati esempi. Sylos Labini calandosi nelle vesti dello spiantato Michael, tocca con un monologo delicato – che ci permette di riconoscere parte di noi, delle nostre vite o di quelle dei nostri amici e che ci lascia una strana amarezza mista a una nervosa ilarità – dei temi delicatissimi e attuali come l’alcolismo e la prostituzione.

Il tutto arricchito dalle voci straordinarie di Alice Viglioglia e Chiara Capobianco, dal barman pungente e pronto all’ascolto come un sacerdote nel suo confessionale, interpretato da Lorenzo Felice Tassiello, che esordisce con questo ruolo. I costumi e le scene sono di Laura Giannini e le luci di Davide Di Francescantonio.

“Uno sbagliato”, in scena a Roma fino al 19 novembre, cancella ogni perplessità riguardo a cosa l’essere umano possiede e dove può certamente trovare sempre un riparo: la sua famiglia.

 

@vanessaseffer

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Malaria: la parola passa agli esperti

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Malaria: la parola passa agli espertiL’autopsia sul corpicino di Sofia Zago “ha confermato il referto e la diagnosi ospedaliera di morte per encefalopatite malarica”, ha riferito il procuratore capo di Trento, Marco Gallina. Gli ispettori dopo aver controllato le procedure del reparto di pediatria dell’Ospedale Santa Sofia di Trento, hanno chiarito che per dare una risposta esatta su quale ceppo di malaria avrebbe colpito la bambina ci vorrà tempo. Il dato certo è che due bambine del Burkina Faso sono state ricoverate nello stesso reparto e negli stessi giorni con la malaria e prima di loro un fratellino e la mamma. Ma le bimbe non hanno mai incontrato o giocato con Sofia.

Il dottor Massimo Galli, vicepresidente della Simit, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, ha detto: “Perché il contagio avvenga, non è sufficiente un semplice contatto col sangue, come ad esempio nell’ipotesi di un contatto epidermico tra soggetti infettati”.

In caso di un paziente con la malaria non è previsto l’isolamento, perché per la trasmissione della malattia ci vuole un vettore. Nella stessa stanza in cui la piccola era ricoverata per diabete c’era un bimbo di 3 anni, anch’egli col diabete, rimasto dal 16 al 21 agosto, che non ha manifestato sintomi di malaria. Successivamente sono state piazzate le trappole per le zanzare e queste sono risultate negative per la presenza di questi insetti. Ma non si può escludere che ce ne fossero nei giorni in cui Sofia si trovava ricoverata in ospedale, quando c’erano anche i due piccoli affetti da malaria, poi guariti. Prenderebbe più piede l’ipotesi della ‘zanzara nella valigia’, proprio dei piccoli pazienti del Burkina Faso.

Ma non c’è solo un modo per prendere la malaria!

“La trasmissione della malattia avviene nella maggioranza dei casi attraverso un insetto – risponde il professor Giovanni Maga, biologo molecolare dell’Ospedale di Pavia – ci vuole il vettore, la zanzara anopheles, che punga una persona che ha la malaria, il protozoo si replica e poi viene trasmesso alla persona sana mediante un’altra puntura. Questa in assoluto la trasmissione più naturale. Poi ci possono essere trasmissioni dovute a trasfusioni o contaminazioni accidentali per utilizzo di strumenti a contatto col sangue o sporchi di sangue. Oggi il sangue trasfuso viene controllato, non è facile immaginare che una siringa sporca di sangue possa essere riutilizzata, in Italia o in un se occidentale, ma sicuramente c’è stata una trasmissione di sangue infetto”.

A livello teorico, una zanzara italiana potrebbe essere stata il vettore?

“Allo stato attuale della nostra conoscenza non sembra ci siano da noi zanzare competenti ad attuare la trasmissione di Plasmodium falciparum. Ci sono quattro Plasmodi e le nostre zanzare sono competenti per un altro paio. Potrebbe esserci stato un insetto importato, poiché queste zanzare viaggiano nelle navi, negli aerei, nei bagagli, non hanno capacità di volare lontano dal luogo dove arrivano, però con gli insetti non si possono fare delle previsioni, possono sopravvivere a lungo e diffondersi. Altra cosa è se ci sono queste zanzare sul nostro territorio che abbiano la capacità di trasmissione, questi insetti cambiano, si evolvono. In Europa c’era una specie di zanzara che era capace di essere vettore, parliamo degli anni ‘40/’50, ma sono state effettuate bonifiche che ne hanno provocato la scomparsa”.

Da un punto di vista epidemiologico la malaria entra nel nostro se ogni anno con 600/700 casi all’anno. Vengono trattati con farmaci molto efficaci di ultima generazione come l’artemisina, per cui la farmacista cinese Tu Youyou, che ha isolato il principio attivo estratto dall’artemisia annua nel 1972, con cui venivano curate molte febbri, è stata premiata con il Nobel per la Medicina nel 2015.

“Ci sono una dozzina di molecole usate per trattare la malaria e la mortalità per questa infezione è ridotta all’uno per cento – continua il professor Maga – la forma più grave è quella che ha colpito la bambina di Trento. Una bambina che arriva con la febbre alta in ospedale non viene sospettata di malaria se non è stata in una zona a rischio. I sintomi all’esordio sono gli stessi e molto comuni: febbre alta, nausea, vomito, a meno che non ci sia una forma molto avanzata allora si fanno degli esami più specifici, come è successo alla bimba nell’ultimo ricovero. Non mi sento di ascrivere delle responsabilità al personale sanitario. Per un motivo molto semplice: gli esami di routine non accertano la situazione e non si possono fare indagini tanto approfondite su tutti quelli che arrivano con la febbre e che non sono stati in zone tropicali. Ci sono una serie di parametri che possono portare al sospetto, ma questo non può succedere all’inizio della malattia. Zika, faringite, influenza, malaria hanno lo stesso protocollo medico all’inizio della malattia. La prima domanda che un medico deve fare è “è stata in un Paese tropicale? Ha avuto contatti con qualcuno che ha fatto un viaggio in un Paese a rischio? La sfortuna della bambina è stata che non c’era nulla che potesse far sospettare una trasmissione in Italia. Nel corso del ricovero non possiamo sapere se ci sono state delle inadempienze, saranno i tecnici a stabilirlo”.

La temperatura di queste ultime estati è molto simile alle temperature dei si di provenienza di queste zanzare, così la circolazione degli insetti può essere prolungata, tutto può aver contribuito. È importante stabilire se siamo di fronte a fenomeni d’importazione di vettori del Plasmodium sul nostro territorio. Con insetti come le zanzare c’è poco da scherzare! La natura cambia e così può mutare anche la funzione vettoriale di questi insetti, dando origine ad episodi impensabili. Dobbiamo capire l’origine di questa situazione.

Ma la struttura di Trento ha sbagliato oppure no? Come è stata possibile una trasmissione all’interno di un ospedale?

La struttura di Trento è un riferimento per noi, è considerata molto valida – dice il professor Emerito di Malattie Infettive e Tropicali di Brescia, dottor Giampaolo Carosi – la presenza dei bambini del Burkina Faso fa pensare che la trasmissione sia avvenuta lì. Esiste anche la possibilità di un trasferimento diretto col sangue, con il trapianto, la trasfusione, siringhe. Negli anni Settanta e Ottanta, quando incalzava la tossicodipendenza, abbiamo avuto alcuni casi da scambio di siringhe, ma sono state tutte delle modalità eccezionali. In Italia abbiamo delle norme che controllano molto strettamente donazioni di sangue e di organi, e gli strumenti che si usano sono monouso. Escluderei una trasmissione di sangue così. Due ipotesi in ballo: il vettore necessario per la trasmissione da un portatore di plasmodio, in questo caso i bambini del Burkina Faso, a persona sana, può essere locale o importato. Questo è il dubbio, liberato il campo dalle altre ipotesi. Ci sono stati rari casi in Italia di malaria aeroportuale o malaria da valigia, quindi con anofele importate. Anni fa c’è stato un caso in cui, sbarcate a Fiumicino, delle anopheles hanno volato fino a Marino e hanno punto una persona. Poi nel grossetano, nel 1997, una zanzara anopheles aveva trasferito il plasmodio da un indiano in visita alla sua famiglia, a famiglie del posto. Era una anopheles nostrana che aveva trasferito il plasmodio dall’indiano agli italiani, ma era una anopheles vivax non falcidium, ed è molto meno grave. Studi del 2009 hanno teorizzato che da noi le anopheles ci sono, perché nel nostro se c’è stata la malaria, l’ultimo caso di bonifica nel 1957 dopo un focolaio a Palma di Montechiaro in Sicilia. Caravaggio morì di malaria. La malaria era molto diffusa in quegli anni. Ora si dovrebbe vedere se in Trentino-Alto Adige e nell’alto Adriatico ci sono queste zanzare. Studi recenti hanno dimostrato la migrazione delle zanzare, non solo degli uomini con l’intensificazione dei viaggi, le migrazioni per movimenti bellici o economici. Alla John Hopkins di Baltimora che ha in corso uno studio con il Kenya e l’Africa centrale, in cui facendo una mappatura si vede che da un anno all’altro la popolazione di zanzare cambia molto. Abbiamo imparato che le zanzare migrano e i cambiamenti climatici che si stanno verificando favoriscono la riproduzione e la vita di questi insetti anche da noi. Io che ho una certa età non vedo più le nevicate d’inverno di una volta. Non è da escludere che anche la popolazione di zanzare anopheles si sia ambientata da noi ed evoluta.

Quanto contano la prevenzione, il riconoscimento immediato di questa malattia, che non ucciderebbe se ci fosse, e poi un vaccino?

“Di malaria si può morire solo se non si fa una diagnosi in tempo. Oggi con i farmaci che abbiamo è perfettamente guaribile, dal chinino all’artemisina. Adesso i farmaci si fanno in laboratorio, ma questo ultimo farmaco è stato fatto alla vecchia maniera. Non mi sento di addossare la responsabilità ai medici di Trento. Oggi dobbiamo dire che è imperativo conoscere la malaria e fare diagnosi in tempo, ma quando c’è un precedente di soggiorno tropicale. Se sono stato nell’alto Adriatico è improbabile pensare alla malaria. L’ospedale di Trento ha fatto diagnosi in 2 giorni, ma la bambina è arrivata all’ultimo ricovero con il cervello già infarcito di plasmodi ed è andata in coma. Se la diagnosi fosse stata fatta fra il 26 e il 28 agosto sarebbe andata diversamente. Ma l’anamnesi per soggiorni tropicali era negativa.

Il vaccino che abbiamo attualmente invece è protettivo al 30/35 per cento, che può essere valido per l’Africa dove ci sono 200 milioni di casi di malaria all’anno e mezzo milione di morti, fra cui prevalentemente bambini e una protezione del 35 per cento salva il 35 per cento di questi 500mila. Un adulto in Africa viene punto frequentemente dalle zanzare e quindi sviluppa i naturali anticorpi, una sorta di immunità. L’immigrato in Italia dopo un po’ perde questa semi-immunità. L’80 per cento dei 600/700 casi che importiamo ogni anno sono a carico degli immigrati perché perdono la semi-immunità , poi tornano a casa a trovare i familiari nei si d’origine e lì prendono la malattia. Dopo averci convissuto non hanno più gli anticorpi. Come avveniva da noi con i meridionali a Torino. Solo che in scala più vasta. La semi-immunità non è completa e si può perdere nel tempo vivendo in un luogo diverso, non è come per l’immunità al morbillo che una volta sviluppata non la perdi più. La situazione immunologica della malaria è molto più complessa, per questo non abbiamo ancora un vaccino. Un italiano che va in Africa fa una profilassi, per cui prende il farmaco due giorni prima di partire, ogni giorno durante il soggiorno e una settimana dopo il ritorno. L’immigrato non lo fa perché pensa di aver convissuto con la malaria senza averla mai presa”.

@vanessaseffer

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Omicidio plateale, lo stile mai perso dei mafiosi

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L’omicidio del boss mafioso Giuseppe Dainotti commesso ieri a Palermo, conferma che certe attività dei clan non si sono mai spente, nè smorzate.

In tanti dicono “la mafia si è spostata al Nord, in Sicilia c’è troppa fame perchè stiano ancora qua. Ci possono essere quattro delinquenti, ma quelli grossi stanno nelle città coi soldi!”. C’è un fondo di verità, ma chi aveva qualche dubbio sulla totale assenza del malaffare, ieri se lo dev’essere tolto.

Questo omicidio, però, accade a ridosso di un importante evento, che da 25 anni riunisce migliaia di persone a Palermo, per sfilare nelle strade principali della città e per dire al mondo “noi non ci stiamo!”, per l’anniversario delle stragi che portarono via Falcone e Borsellino (con la loro scorta), gli eroi di cui tutto il Paese si riempie la bocca.

#PalermochiamaItalia è il titolo della manifestazione di quest’anno, proprio oggi, cui parteciperanno 70mila studenti da tutta Italia. Un susseguirsi di eventi: la cerimonia di apertura guidata dal Presidente Mattarella, la Nave della Legalità, la mostra fotografica dell’ANSA allo Spasimo, l’Aula bunker che diventa galleria d’Arte e che ospiterà le opere recuperate dai Carabinieri, i due tradizionali cortei che vedono protagoniste tutte le scuole della città. Tutto questo si può anche seguire su diversi programmi Rai.

Dainotti è stato ammazzato 24 ore prima di tutto questo. Un gesto plateale, come piace ai signori della mafia.

@vanessaseffer

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“Fake” medicina: il ruolo dei giornalisti, giudici e politici

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“Fake” medicina: il ruolo dei giornalisti, giudici e politiciLo sviluppo della conoscenza ha sempre avuto un’impennata quando la comunicazione tra i popoli è diventata più veloce. Hanno iniziato i Romani con lo sviluppo di ponti e strade, in epoca successiva l’invenzione del motore a scoppio ha fatto il resto. Ma il boom si è verificato nel secolo scorso con la scoperta del computer e del web, che hanno permesso di velocizzare al massimo i rapporti inter-personali e quindi di permettere uno sviluppo più rapido delle conoscenze. I risvolti sulla medicina di queste nuove vie di comunicazione ha avuto importanti conseguenze in quanto ha permesso un più rapido scambio di nuove acquisizioni diagnostiche e terapeutiche. È a tutto questo che dobbiamo il raddoppio dell’aspettativa di vita in appena un secolo ed anche il miglioramento della qualità della nostra vita. Il successo della medicina e dei vantaggi da questo derivati alla popolazione, sono il risultato di un processo che la comunità scientifica ha adottato ormai da tempo. Esso consiste in una attenta disamina della fase di sperimentazione che, dopo un processo critico da parte di “pari” (colleghi), va incontro alla pubblicazione e quindi all’acquisizione da parte della comunità scientifica.

A questo segue sempre una verifica che, nell’ ottica del processo scientifico inventato proprio da un italiano, Galileo Galilei, ha bisogno di una ripetizione e validazione dell’esperimento perché questo venga considerato attendibile. Non è, in altri termini, immaginabile che, senza una verifica di quanto pubblicato, si possa “tout court” trasferire quanto sperimentato nella pratica clinica. Insomma si tratta di un processo articolato che ha bisogno dei suoi tempi e per il quale non esiste alcuna deroga. Dobbiamo pertanto chiederci come mai, in Italia, questo processo sia misconosciuto e possa approdare a situazioni gravi anche da un punto di vista sociale. Prima di fare una analisi del problema, forse è interessante ricordare a chi legge cosa è successo in questi decenni nel nostro paese riguardo a presunte terapie innovative che avrebbero cambiato l’andamento di malattie gravi.

Potremmo cominciare dal famoso siero di Bonifacio, per il quale si formarono lunghe file a Roma nella speranza che questo siero “miracoloso” potesse guarire dai tumori. L’intuizione del veterinario Bonifacio era senz’altro interessante in quanto si basava sul fatto che, siccome le pecore non si ammalerebbero di cancro, il loro siero poteva avere qualche fattore proteggente dalla malattia. Ma l’approccio era alquanto banale e non aveva mai avuto alcuna validazione di efficacia. L’altro “miracolo” venne più tardi con il famoso “cocktail” di antiossidanti ideato da Di Bella, che sarebbe stata un’altra formidabile cura per i tumori. Purtroppo neanche in questo caso la cura Di Bella aveva superato gli steccati della rigorosa ricerca scientifica ma, malgrado ciò, il nostro paese, a vari livelli, ha optato per una deroga che ha portato a spendere soldi pubblici per una sperimentazione che alla fine si è rivelata negativa. L’ultimo “miracolo” riguarda il caso Vannoni, anche qui con la scoperta di una nuova terapia per malattie neurologiche, della quale mancava tuttavia qualunque tipo di appiglio scientifico sia perché non era chiaro cosa veniva somministrato ai pazienti sia per l’assenza di pubblicazioni che supportassero la eventuale validità della scoperta. E finiamo con l’ultimo scandalo dei vaccini, in cui, soggetti non medici, a vario titolo, hanno caldeggiato la inutilità o addirittura la pericolosità dei vaccini nella prevenzione di malattie infettive serie anche attraverso servizi pubblici.

Vale la pena, a tal riguardo, andare a visionare filmati in cui si mette in dubbio la vaccinazione contro la poliomielite, che ha salvato milioni di vite umane, o contro l’epatite B, che è una delle cause più frequenti del cancro del fegato. Tutto questo, purtroppo, non ha avuto alcun filtro sugli organi di informazione in quanto manca nel nostro paese un rigoroso giornalismo medico che sia in grado di filtrare notizie che mai dovrebbero arrivare alla carta stampata o alle televisioni in quanto prive di alcun fondamento o validità. Al sensazionalismo in negativo degli organi di informazione, siamo arrivati addirittura alle sentenze dei giudici, i quali hanno obbligato l’attuazione di protocolli terapeutici senza l’esistenza di una prova che ne validasse il trattamento. Su questa confusione trovano terreno fertile proprio i siti web che possono diventare un pericoloso strumento quando la diffusione di false notizie impatta negativamente sulla salute pubblica. Su questi siti si sono cimentati anche i politici che, paladini del popolo, si sentono in diritto di ergersi a tutori della salute pubblica argomentando su problemi che ovviamente non conoscono. Vorrei ribadire con forza che la “fake” medicina, cioè dire cose inesatte e false sulla salute, costituisce un esempio di disonestà intellettuale verso il quale tutta la comunità scientifica dovrebbe ribellarsi in quanto colpisce soprattutto la povera gente, quella che non ha strumenti per difendersi dalle sciocchezze  che girano sul web.

Dietro questo, il vero problema è culturale e riguarda tutti gli attori che ho riproposto come elementi che, a vario titolo, possono contribuire ad alimentare aspettative non vere o, paradossalmente, a provocare danni alla salute pubblica intervenendo su tematiche dove la medicina ufficiale non si è ancora espressa. Forse serve da parte di giornalisti, giudici e politici un bagno di umiltà, una maggiore consapevolezza che la salute è una cosa seria, verso la quale l’approccio serio è inderogabile e dove, soprattutto, non esistono scorciatoie. Gli strumenti per arrivare a tramettere messaggi corretti, non “fake” medicina, o a prendere decisioni che non producano false aspettative ed illusioni sono chiari. A tal riguardo, l’autorevolezza di chi discute di medicina è un fatto fondamentale, anch’esso inderogabile, e facilmente ottenibile mediante la ricerca nella banca dati degli esperti di settore; basta visionare gli appositi siti, dove tutto è scritto e riportato nei dettagli per sapere a chi rivolgersi per avere un autorevole contributo sulle tematiche in questione. Alternativamente esistono le società scientifiche ufficiali, come la Società Italiana di Medicina Interna, che è la più antica società di medicina italiana, o società specialistiche, dove trovare gli esperti che possano dare preziosi contributi in tutte le branche della medicina. Basta, insomma, non rivolgersi all’amico della porta accanto per saperne di più, ma avere più serietà e rigore nel trovare i giusti esperti. Certamente, per questo, giornalisti, giudici e politici dovranno studiare e lavorare un po’ di più; ma ne vale la pena, si tratta della salute degli italiani.

Prof. Francesco Violi

Direttore della Prima Clinica Medica del Policlinico “Umberto I” e Presidente del Collegio degli Internisti Italiani

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