Vaccini, cosa accade se non si rispettano i termini
In alcune Regioni, quelle che si sono già dotate di anagrafe vaccinale informatizzata, è prevista la possibilità di anticipare anche per l’anno scolastico 2017/2018 la procedura semplificata prevista dalla legge che consente lo scambio diretto di dati tra Asl e Istituti scolastici (al momento hanno aderito solo le seguenti Regioni: Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Toscana, Marche, Bolzano, Trento, Liguria, Lazio, Valle d’Aosta, Sicilia). Valida la scadenza del 10 marzo fissata dalla legge che prevede che nel caso non si sia adempiuto agli obblighi vaccinali sarà vietato l’accesso per asili nido e scuola infanzia (0-6 anni). Per i ragazzi della scuola dell’obbligo (7-16 anni) scatterà la procedura che può portare ad una sanzione pecuniaria da 100 a 500 Euro.
La procedura semplificata prevede che entro il 20 marzo le scuole invieranno una comunicazione scritta alle famiglie che non risultano in regola con gli adempimenti. Entro dieci giorni dalla ricezione di questa comunicazione, i genitori appartenenti a queste regioni sono chiamati a presentare la documentazione che attesti la vaccinazione, l’eventuale esonero o anche la prenotazione dell’appuntamento presso il centro vaccinale. Ed entro il prossimo 20 aprile, i dirigenti scolastici trasmetteranno alla Asl la documentazione delle famiglie. Da lì scatteranno eventuali procedure di richiamo e di recupero.
Nella Lazio, le Asl fra le varie difficoltà hanno saputo far fronte alle esigenze della popolazione, confermando un incremento della copertura vaccinale giunta al 97 per cento. Soltanto nella Asl Roma 5 si è registrato un lodevole incremento del 43 per cento delle vaccinazioni nel 2017 rispetto all’anno precedente: 94.404 vaccinazioni rispetto alle 66.178 del 2016.
“Guardando alle vaccinazioni dei primi mesi del 2018 si può facilmente fare una proiezione per l’intero anno e arriviamo a 120mila vaccinati, in parte per l’apertura di 16 nuovi centri vaccinali, di 4 nuove sale vaccinazioni, alle nostre riaperture di sabato e domenica e all’attivazione di un numero verde e di un sito web dedicato – ha dichiarato il direttore del Dipartimento di Prevenzione della Asl Roma 5, dottor Alberto Perra – abbiamo migliorato l’efficienza, l’informatica e il personale sanitario è di una disponibilità straordinaria a lavorare anche di sabato e domenica. Tutto ciò ha permesso il raggiungimento di questi risultati eccezionali!”.
L’anagrafe vaccinale regionale è una conquista importante, consentirà nel tempo di conoscere la storia di ciascuno, che nel frattempo si potrà essere spostato con la sua famiglia, e allora sarà bene che ci sia presto anche un’anagrafe vaccinale nazionale, che da una Regione all’altra permetta di ricostruire questa storia, per avere un quadro vaccinale completo di una persona che non si disperda nel tempo.
“Adesso siamo noi che comunichiamo alla scuola le liste degli iscritti inadempienti – continua il dottor Perra – poi la scuola, una volta ricevuta la lista, inviterà i genitori a contattare il Centro vaccinale per regolarizzare la posizione del proprio figlio; siamo sempre noi che inviamo alle scuole il certificato vaccinale, che è piuttosto complesso da leggere e non si comprende subito bene se il bambino effettivamente è coperto come richiesto dalla legge, quindi è un modo per alleggerire il carico alle famiglie. Noi abbiamo circa settantamila ragazzi nelle nostre scuole. Immagini settantamila genitori che vengono alla Asl e richiedono settantamila certificati da portare a scuola!”.
@vanessaseffer
Meno suicidi nel carcere di Civitavecchia: parla Quintavalle
La situazione delle carceri italiane è sempre più drammatica, il tasso di sovraffollamento del 113,2 per cento (secondo il rapporto di Antigone sulle carceri presentato alla Camera dei deputati il 27 luglio del 2017) di cui solo sporadicamente si parla, è argomento che finisce poi per un certo tempo nel dimenticatoio perché non è pregnante durante le campagne elettorali. Ma è un altro l’aspetto su cui ci vogliamo concentrare: i suicidi nelle carceri, poiché i numeri sono preoccupanti ed è un argomento di cui è doveroso doversi occupare. Dal 2008 si contano 500 suicidi, nonostante il Piano nazionale per prevenirli. Da allora il Sistema sanitario nazionale (Ssn) è impegnato nel ricercare formule per ridimenzionare questi fenomeni di disperazione insieme all’amministrazione penitenziaria, che è comunque titolare del funzionamento delle carceri e della gestione dei detenuti. A farne le spese sono anche le donne e gli uomini della polizia penitenziaria, perché trascorrere molte ore dentro a un carcere per lavorare non è facile.
Durante il XII Congresso Nazionale della Sips (Società Italiana di Psichiatria) su “Le nuove frontiere della psichiatria sociale: clinica, public health e neuroscienze”, tenutosi lo scorso gennaio a Napoli, riguardo agli eventi critici in ambito carcerario, sono stati messi a confronto i dati proposti da fonti autorevoli come Antigone, Ristretti Orizzonti, Dap, che analizzavano gli atti di autolesionismo, i tentati suicidi e i suicidi nelle carceri italiane negli anni 2015, 2016 e 2017. Questi dati ci hanno rivelato che in questi tre anni, fra le tante carceri italiane, nella Casa circondariale di Civitavecchia non ci sono stati casi di suicidio. Sappiamo già che in questo Istituto si svolgono tante attività socio-ricreative che certamente contribuiscono positivamente.
Abbiamo chiesto al direttore generale della Asl Roma 4, Giuseppe Quintavalle, che cosa fa della Casa circondariale di Civitavecchia (dove sono reclusi circa 400 detenuti uomini e 40 detenute donne), un posto così particolare.
Abbiamo iniziato a studiare fra il 2010/2011 i bisogni e le necessità di questo Istituto. La prima cosa che emergeva fino a quella data era che le responsabilità dei bisogni sanitari si riferivano al direttore dell’Istituto penitenziario e all’ordinamento del ministero di Grazia e Giustizia. Da quel momento iniziammo a creare il modello di sinergia, integrazione e formazione multidisciplinare, cioè dei tavoli di lavoro che focalizzavano obiettivi precisi: parlare tutti lo stesso linguaggio e iniziare a comprendere le dinamiche per lavorare al meglio. Così è stato consolidato con la mia nomina a commissario un tavolo centrale tecnico-politico che si riunisce ogni mese a cui partecipa il direttore dell’Istituto, il comandante degli agenti di Polizia penitenziaria, i referenti della Asl che stanno all’interno dell’Istituto penitenziario e il Garante dei detenuti, figura fondamentale che ho sempre ritenuto dovesse essere presente in tutte le attività. A latere si parla di salute mentale, dal momento che le attività carcerarie di tipo sanitario rientrano nelle attività di distretto. Ho voluto fortemente che all’interno del carcere ci fosse un Centro di salute mentale e che fossero direttamente i nostri medici che si occupavano di salute mentale nella nostra Asl ad andare a lavorare lì, dove c’era bisogno, in sintonia col mondo della psichiatria che già esisteva all’interno del carcere, con gli assistenti sociali, gli psichiatri, gli psicologi, gli educatori che facevano parte del vecchio ordinamento, costituendo il team insostituibile che c’è oggi, effettuando un grandissimo lavoro di cooperazione. Successivamente, con la partecipazione a dei tavoli regionali dove venne deciso che la Casa circondariale di Civitavecchia avesse come finalità quella di essere capofila per la salute mentale, iniziammo a sperimentare all’interno dei progetti pilota in materia di prevenzione a rischio suicidario. Abbiamo adottato all’interno un modello che era stato condiviso e concordato da tutti i Dipartimenti di salute mentale della Regione; modello che ha portato a dei benefici e dei risultati. Con questo modello sono venute delle ipotesi di lavoro che oggi si sono concretizzate con i “peer supporters”, che è alla seconda edizione. In pratica abbiamo formato dei detenuti tenendo dei corsi di formazione di tipo socio-sanitario e psicologico; detenuti che non sono utilizzati come delle badanti, ma sono persone che avendo già vissuto prima di altri una carcerazione o che sono già stati trasferiti da un carcere a un altro (poiché anche un trasferimento dà luogo a una forma di stress) possono individuare e segnalare un possibile rischio di suicidio, individuando qualche caso limite fra i compagni.
Come vengono individuati i soggetti indicati, hanno personalità dalle caratteristiche precise?
Non particolarmente, vengono scelti da un team multidisciplinare, da educatori, da assistenti, dal team del vecchio ordinamento, da psicologi e psichiatri della Asl, ne viene fuori un gruppo sempre più nutrito, bravo e capace in grado di segnalare delle situazioni a rischio. Il suicidio non si può prevedere, bisogna ricordare che i casi esistono all’interno come all’esterno, sappiamo che il suicida non sempre è un soggetto psichiatrico e che spesso i soggetti non sono mai ricorsi alla psichiatria e che si può trattare della debolezza di un momento o di un momento pregresso.
Questo schema si potrebbe riprodurre anche in altre case circondariali del Lazio?
Sì, il tavolo delle Regioni e il ministero hanno sancito un decreto in base al quale si inizia un lavoro che è in linea con ciò che abbiamo iniziato, ovvero con la stesura di piani locali per la prevenzione a rischio suicidario che attraverso varie azioni porteranno a ciò che vogliamo, cioè ad avere un occhio attento e una visione formativa condivisa da parte di tutti gli attori che entrano in campo, finalizzata alla migliore cura e al miglior trattamento. La Regione Lazio dovrà costituire un osservatorio per seguire tutti i piani locali per la prevenzione che sono in fase di stesura e che mi auguro porteranno a un discorso di insieme. Voglio ricordare che ogni struttura ha delle problematiche differenti; ogni struttura ha delle dinamiche contestuali da valutare. Non esiste un modello tout court, ma esistono dei modelli generalisti che poi devono essere applicati in maniera specifica.
Quanto ha inciso nelle sue decisioni sulla scelta di un Centro di Salute Mentale dentro il carcere, il fatto che lei è fra le altre cose uno psichiatra?
Il Centro di salute mentale di Civitavecchia, anticipando di 6/7 anni il sistema attuale, era già stato pensato, si stava già arrivando a questo. Mi viene in mente Rebibbia con le sue quattro strutture quasi autonome e indipendenti l’una dall’altra e la cui gestione non sempre è scevra di difficoltà. Quindi bisogna fare ancora molto, però si è iniziato un percorso virtuoso che mi auguro possa portare a un concetto di salute mentale nuovo.
I fondi ci sono per questi progetti?
Noi abbiamo lavorato su fondi regionali del Lazio. I fondi servono nella misura in cui devi adottare il reclutamento del personale. Il sistema organizzativo prescinde dai fondi, l’organizzazione nasce dalle persone. Anche nei momenti di vacche grasse i sistemi non è che funzionavano meglio. Io sono dell’avviso che non è tanto una questione di fondi. A volte lo è, ma a volte è una questione di organizzazione di sistemi. La cosa difficile è mettere a lavorare personalità diverse e soprattutto abituate a lavorare in maniera diversa.
@vanessaseffer
Togliamo la polvere da sotto il tappeto
Quando otteniamo un risultato lavorativo tanto sperato, quando abbiamo avuto l’oggetto del nostro desiderio, quando abbiamo conquistato la persona amata, perchè ci soffermiamo sui difetti e non riusciamo a goderci la nuova realtà? Perchè ci poniamo subito altri obiettivi e già vogliamo altro? Ci mascheriamo per far sì che gli altri ci vedano perfetti, simpatici, determinati, sicuri. Siamo pazienti, tolleranti, sappiamo ascoltare, siamo brillanti, finchè non abbiamo il nostro tornaconto. Non appena trascorse le prime ore, il beneficio ottenuto ci appare già scontato, con le certezze che esso ci da. Non sappiamo godere di ciò che abbiamo, pensiamo che accontentarsi sia una brutta parola, che limita il raggio di azione, che non ci permetta di realizzare un nuovo sogno, quindi roviniamo tutto. Impariamo a fermarci sul sogno realizzato, viviamolo come la conquista della nostra vita e proteggiamolo da tutto, anche da noi stessi.
La sfida di Musumeci secondo Gibiino
Da pochi giorni si è insediata la nuova giunta regionale in Sicilia, ma le polemiche non sono mancate, perché si dice rifletta alcuni difetti della vecchia gestione: troppi suggeritori, assessori con poca esperienza o che lasceranno l’incarico dopo qualche mese. Ma l’esigenza di trovare soluzioni con urgenza e concretezza per una seria e rapida ripresa, perché la Sicilia (ri)diventi bellissima, mette da parte in fretta la paura di un nuovo inganno, si spera di nuovo in un tempo migliore. Ancora memori degli annunci propagandistici di Rosario Crocetta, che promise una rivoluzione che non è arrivata mai, si prova a dare fiducia al nuovo corso, com’è giusto che sia. Così ci siamo rivolti al senatore Vincenzo Gibiino, uomo vicino al presidente Nello Musumeci, chiedendogli conforto e qualche chiarimento.
Cosa ha spinto Musumeci a scegliere la giunta come ha fatto?
È una giunta abbastanza equilibrata, in qualche misura il suo specchio. Ci sono nomi nuovi, ma le dinamiche che hanno portato alla formazione della giunta sono diverse da quelle adottate un tempo. Il presidente vuole una certa discontinuità col passato, specie riguardo agli assessori e alle figure apicali all’interno della presidenza e degli assessorati. Lo ha detto sin dall’inizio, “se mi candido sarà l’ultima volta, per cui non sarò ricattabile poiché non mi andrò a cercare i voti per la volta successiva”. Questo finalizzato a poter cambiare tante cose in Sicilia, non è mai successo nemmeno nei diversi governi precedenti che avrebbero dovuto essere in contrapposizione, ma in realtà non lo sono stati.
Cambiamenti a partire dal segretario generale?
A partire dal segretario generale e a finire all’ultimo in assessorato. Ci vuole molto coraggio e non c’è molto tempo, c’è la programmazione per il futuro da fare, che manca da decenni, c’è la gestione di un ordinario del passato che è diventato straordinario per mancanza di cura, mi riferisco alla formazione, alla sanità, all’energia, ai rifiuti, al turismo e ai trasporti.
Non si sente ancora il peso di Lombardo, Cuffaro, Lumìa? Bisognerà scendere ancora a patti?
Non ne sono convinto, il clima è cambiato. Il 50 per cento della popolazione siciliana è sul baratro dell’esclusione sociale. Delle promesse del passato non sa proprio cosa farsene e non sa cosa farsene di queste persone che in passato le promesse le hanno fatte e non le hanno mantenute. Essendo cambiato il clima, la pressione di ogni tipo di ambiente di ieri, oggi ha molta meno forza e questo consente un’azione di governo più snella e veloce.
Che ne pensa di Vittorio Sgarbi alla Cultura e del fatto che fatto che potrebbe restare soltanto tre mesi?
Senza ipocrisia le dico che queste cose non mi piacciono. Se una persona ha intenzione di andare a fare il ministro non deve avviare un percorso di assessorato in Sicilia, capisco che lui non è siciliano e sostanzialmente può assumere un incarico e poi lasciarlo, ma quando si inizia un operato come questo almeno bisogna avere due anni davanti per lasciare un segno, altrimenti è un occupare una poltrona in attesa di una poltrona successiva, per cui da questo punto di vista non sono d’accordo.
Cosa si aspetta invece da questo Governo in merito alla sanità pubblica e privata?
La sanità pubblica ha due ordini di problemi: uno l’offerta che non è in linea con le aspettative dei siciliani, tant’è che chi se lo può permettere continua a fare i viaggi della speranza al nord. Secondo sono i costi, determinati da un’elevata spesa per le forniture ospedaliere. In molti casi le analisi che ci ha portato il commissario per la spending review sono pari a tre volte delle spese degli ospedali del nord, dove c’è una maggiore programmazione negli acquisti. Poi abbiamo il problema della valorizzazione dei quadri, dei primariati e della distribuzione dei letti, probabilmente lasciata un po’ al caso. Va rivisto il rapporto con la convenzionata esterna, ha un costo bassissimo pur dando servizi senza file d’attesa e molto altro, una capillarità sul territorio che va a valorizzata. Ci sono cittadini che pensano di non avere l’ospedale vicino e quindi si rivolgono a quello a 60 km da loro, avendo strutture convenzionate esterne a due passi, mi riferisco non solo alle Case di Cura ma anche ai laboratori di analisi, al cardiologo convenzionato che magari sono nello stesso paese con una giusta attività di tradizione. Potrebbero fornire cure a basso prezzo, presenza, servizio e programmare successivi interventi con la disponibilità degli ospedali sapendo 60, 90, 120 gg prima piuttosto che ridursi agli interventi su acuti.
Ritiene che il nuovo assessore alla Salute Ruggero Razza e Nello Musumeci sapranno attenzionare tutto questo?
Musumeci durante la campagna elettorale ha annunciato che la sanità l’avrebbe tenuta per sé, perché vuole dare un taglio importante. L’assessore è persona vicina a lui, è equidistante da tutti i mondi: pubblico, privato, università, ricerca, pur essendo avvocato e avendo fatto esperienza amministrativa in provincia. Un valore aggiunto perché si pone con la giusta attenzione alle varie esigenze del territorio, per riuscire a fare scelte senza condizionamenti da blocchi di potere a monte. Che in passato possono aver condizionato qualche altro Assessore alla sanità.
In 5 anni si potrà mettere ordine nelle vicende siciliane o il tempo non sarà sufficiente?
Quello che dovrà fare secondo me Musumeci nei primi sei mesi è di arginare il declino della Sicilia dal punto di vista economico e soprattutto sociale. Il livello di rassegnazione della popolazione siciliana ormai aveva superato il limite della sopravvivenza. Successivo passaggio sarà quello dell’inversione della tendenza iniziando a fare le opere per cui ci vogliono i progetti, con i quali si partecipa ai bandi o si accede ai fondi. Bisogna ridurre una parte della spesa pubblica per utilizzare questa quota libera per i cofinanziamenti per attrarre i fondi europei. Ci vogliono circa sei mesi per i progetti pronti e due anni per quelli nuovi, gli appalti impongono tempo. L’unico settore a mio giudizio che può funzionare subito è quello legato al turismo, alla valorizzazione dei beni messi a regime di tutti i siti archeologici, che in alcuni casi non vendono neanche un ticket durante tutto l’anno. Essendo a ingresso gratuito sono solo dei costi. Poi la messa a regime dei trasporti, pur lasciando tutto com’è all’inizio, perché non c’è il tempo di poter fare tutto.
Ma cominciare a sistemare seriamente strade, ponti, viadotti e ferrovie?
Si può fare, abbiamo un presidente che ha voglia di fare e un presidente dell’Anas che ha le risorse economiche per avviare le manutenzioni. Ma questo non risolve il problema della viabilità in Sicilia, perché connettere correttamente porti, aeroporti, con tram e metropolitana, la gomma e il ferro in Sicilia, è fondamentale. Se oggi volessi andare col treno da Catania a Palermo passando da Messina non ho la connessione del treno; arrivo a Messina e devo aspettare 3 ore per il treno Messina-Palermo. Quindi è una Sicilia mai stata pensata nell’intermodalità, una Sicilia isolata all’interno. Verso l’esterno è connessa bene con porti e aeroporti. E non si può pensare al ponte sullo Stretto in questo momento in cui è tutto fermo, non vedo condizioni percorribili.
Lei a cosa sta lavorando in questo momento?
Quello che stiamo cercando di fare per la mia vicinanza col presidente della Regione è di attivare una serie di attenzioni da parte di fondi di investimento di imprenditori e di federazioni sul rilancio del turismo, sull’agricoltura di eccellenza, sul recupero dei circuiti automobilistici dove poter fare non tanto le gare, ma i test di vetture, di gomme, come si fa in tutte le parti d’Italia dove ci sono circuiti, che in Sicilia avrebbero una valenza superiore anche per le condizioni climatiche che favoriscono la fruibilità di queste strutture e la presenza di tante persone.
Lo dice perché ha una grande passione per le automobili, essendo un noto ferrarista.
Conosco la materia, ma lo dico perché seguo da tre anni la riforma del Codice della strada e so dai rapporti che ho con l’Aci che tutte le strutture collegate, dalle case automobilistiche, quelle di autobus e di costruzione di veicoli complessi, di caschi, di tute e di gomme, hanno bisogno di testare i loro prodotti e si sappia che al nord un circuito viene locato per 50mila Euro al giorno. Il circuito di Pergusa ci procura 300mila Euro di perdite all’anno, ciò da la misura di cosa una struttura del genere messa a regime possa dare, solo con la pista, non dico l’utilizzo del lago in termini di fruizione turistico ambientale. Potrebbe determinare dal punto di vista economico nel territorio più depresso d’Italia, una svolta. Sono piccole ma grandi cose, come lo sviluppo dei borghi rurali che organizzati porterebbero un turismo di nicchia. Sono tante le cose che possiamo fare attraverso le conoscenze sviluppate negli anni e che guardano alla Sicilia con grandissima attenzione ma che solo chiedevano una continuità e serietà di governo che evidentemente non trovavano con la gestione precedente di Crocetta, che invece trovano in Nello Musumeci, non fosse altro perché contattano me per fare investimenti privati importanti sapendo che il nuovo presidente è una persona seria.
Il matrimonio dell’anno nel 2018 di Fedez e Chiara Ferragni annunciato nei giorni scorsi e che si terrà ad un passo da Siracusa per la prossima primavera, nel bel mezzo del barocco di Noto, patrimonio dell’Unesco, così come le tre candidature ai Golden Globe del regista palermitano Luca Guadagnino, ci fanno pensare che davvero c’è quello sguardo attento del mondo del business e del glamour e che le eccellenze siciliane meritano visibilità e attenzione. Si percepisce dai nuovi insediati al governo quella voglia di fare che vuol mettere fine al far west e alle contraddizioni che hanno dominato finora la bella terra di Sicilia.
@vanessaseffer