Di seguito la seconda e ultima parte dell’intervista a Livio De Angelis, direttore generale del Numero Unico d’Emergenza (Nue) 112.
Dagli 8 ai 21 secondi il tempo di risposta. La resa degli operatori del Nue 112 di Roma e provincia oggi è ottimizzata, hanno preso la mano e il servizio è eccellente. I problemi che creano più caos sono gli eventi atmosferici e gli incendi, perché arrivano migliaia di telefonate in un arco di tempo ridotto, quando il senso civico supera l’“evento noto”, allora per salvaguardare chi realmente durante quell’evento è in pericolo si procede con il filtro laico.
“Le soluzioni tecniche per fare una centrale operativa del 112 sono poche, tre al massimo: noi abbiamo scelto quella del ‘filtro laico’ – ci spiega il direttore generale del Nue 112, Livio De Angelis – chi risponde qui non è un poliziotto, un infermiere, un carabiniere, ma un operatore laico. Che poi però è diventato una figura professionale ben chiara come operatore del 112. Ma quando si è inventato il termine si è voluto qualcuno che non fosse un professionista dell’emergenza. Lui risponde e filtra le informazioni anagrafiche e geografiche, poi la rimanente intervista viene portata avanti nel secondo step che avviene dalla centrale operativa del 118”.
Se arriva una chiamata di cui si identifica il numero e poi cade la linea, l’operatore del 112 richiama. Per procedura fa cinque squilli, deve accertarsi che la chiamata non fosse per un soccorso che non si è stati in grado di richiedere. Esiste un’app, facilmente scaricabile dagli smartphone, che permette di effettuare una chiamata anche muta e di inviare la posizione esatta di chi chiama alla centrale del Nue. Facilmente utilizzabile da utenti non udenti e non vedenti e in 5 lingue: inglese, spagnolo, arabo, cinese e russo.
In occasione dei mondiali di calcio di Italia ’90 fu istituito il numero 118 per chiamare il soccorso di un’ambulanza. Prima si chiamava un numero urbano a pagamento. Nel 2010 è stato inaugurato il primo centro italiano del 112 a Varese. Di seguito nel 2012 hanno aperto il Nue 112 di Milano e Brescia. Nel 2015, in occasione del Giubileo della Misericordia si è inaugurato il Nue 112 di Roma. Solo nella sede di Roma, dalla sua apertura ad oggi sono state ricevute 8 milioni di chiamate di soccorso. Una media giornaliera di 8mila chiamate, perlopiù richieste per emergenza sanitaria, a seguire chiamate per la polizia di Stato e poi per i carabinieri. Tempo medio di attesa 16 secondi.
Oltre al concorso per i nuovi 115 operatori, altri due progetti sono in corso d’opera: la realizzazione di una seconda base operativa per coprire tutto il territorio laziale e la realizzazione della Cur Nue 112 di Roma CeR (eCall Ready), per recepire le chiamate di soccorso in automatico direttamente dalle autovetture di nuova generazione in caso di incidente. E infine un’altra grande scommessa del dottor De Angelis: “Abbiamo in atto l’implementazione di alcune nuove procedure per la creazione di un registro di utenti con necessità di home-care multidisciplinare e relative procedure di intervento se necessario – conclude De Angelis – l’integrazione del sistema Nue 112 nel Protocollo nazionale di ricerca persone scomparse e infine procedure per la gestione di utenti protetti, violenze di genere, gestori di servizi pubblici, ecc.”.
@vanessaseffer
Il modello europeo del Numero Unico d’Emergenza (Nue) 112 ha preso come esempio il numero unico d’emergenza vigente negli Stati Uniti d’America, il 911 (definito nove-uno-uno). Nel 1991, l’Unione europea ha deciso di istituire un numero unico per tutti gli stati membri e nel 2004 ha stabilito che entro il 2008 il Nue 112 avrebbe dovuto essere esteso a tutti i Paesi membri dell’Ue. Molti Paesi si sono adeguati praticamente subito alla normativa; l’Italia invece non si è adeguata alla direttiva dell’Unione europea nei tempi previsti e per questo motivo è stata sanzionata.
Autunno: una volta cascavano le foglie mentre oggi cascano direttamente gli alberi. Roma ne è piena, di foglie e anche di alberi caduti. In questi giorni passeggiando per le vie della Città Eterna, schivando l’immobile fiume di automobili, lo sguardo va ai tombini pieni di aghi di pino, sterpi e fogliame che marcisce indisturbato. Tombini ormai esausti e saturi, incapaci di accogliere ulteriori residui e liquami. Una pioggia, una ulteriore seppur lieve pioggerella comporterebbe l’intasarsi delle fognature e la trasformazione della città in una laguna.
L’attitudine dell’uomo è quella di ammalarsi. Presto o tardi, ciascuno di noi ha a che fare con un medico, un Pronto soccorso o una guardia medica. Una delle poche certezze che ha il cittadino italiano è quella di trovare nel nostro Paese un Pronto soccorso aperto 24 ore su 24. Qui vengono prestate le prime cure a tutti i casi di urgenza ed emergenza gratuitamente con spazi dedicati alla breve osservazione. I numerosi casi di violenza contro i medici e gli operatori sanitari segnalati in questi ultimi mesi hanno dato vita a un nuovo fenomeno sociale. Molti medici, infatti, temono le reazioni dei pazienti. Un problema che va affrontato da varie sfaccettature. Pertanto questo argomento merita un adeguato approfondimento con Federico Spandonaro, professore di Economia e Management sanitario presso l’Università di Tor Vergata e presidente di “Crea Sanità”, il Consorzio per la Ricerca economica applicata in sanità, per avere un punto di vista tecnico e per spiegarci come migliorare l’immagine della sanità italiana, essendo una delle migliori al mondo, agli occhi del cittadino italiano.
È il medico più citato d’Italia perché la sua legge 8 marzo 2017 n. 24 ha cambiato le “Disposizioni in materia delle cure e della persona assistita nonché in materia della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, così recita nell’incipit. Federico Gelli con la sua norma ha ridefinito il rapporto medico-paziente, permettendo ai professionisti di svolgere il loro lavoro con maggior serenità e garantendo ai pazienti maggior trasparenza ed eventuali risarcimenti in tempi brevi.
Non si fermano i casi di aggressione negli ospedali. L’ultimo episodio lo scorso fine settimana a Civitavecchia: a farne le spese è stato un infermiere aggredito da un paziente in crisi di astinenza da alcool.
Perché rischiare la vita per curare? “Ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica sul posto di lavoro è considerato un problema di salute pubblica nel mondo” secondo il National Institute of Occupational Safety and Health. Una cosa che accomuna tutti i Paesi del mondo su questo tema è il fatto che spesso la maggior parte degli avvenimenti di violenza (l’85 per cento delle volte) non viene denunciata da chi li subisce, più che altro per paura, a meno che non vi siano lesioni a documentare i fatti. C’è poi l’annosa questione sulla definizione di cosa o come definire una violenza o “quando” la si possa definire tale, vivendo spesso in una situazione ambientale che propende a sminuire, tesa ad assolvere o, peggio, incapace di riconoscere certi abusi. L’invito è a non minimizzare. Il primo capitale delle Istituzioni è il capitale umano.
Nella Asl Roma 5 di Tivoli si è tenuto il primo tavolo italiano di discussione sulle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), con la significativa partecipazione di una rappresentanza delle persone assistite nelle strutture, oltre che dei sindaci in rappresentanza della cittadinanza ospitante le strutture, degli operatori sanitari e aziendali, del Garante dei detenuti.
Dal 2015, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) hanno sostituito i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Queste strutture sanitarie accolgono di fatto autori di reati molto gravi essendo affetti da disturbi mentali ed essendo conseguentemente socialmente pericolosi. La gestione interna delle Rems è di esclusiva competenza sanitaria, quindi delle Asl. Qui le persone vengono curate, non recluse, quindi si tratta di “pazienti”. Il tempo massimo di permanenza nella Rems non può essere superiore al massimo della pena prevista del reato del paziente. Qui, pertanto, dovrebbero intervenire in modo essenzialmente perfetto le parti in causa: i medici, la magistratura, la politica.
La XVIII legislatura ha tagliato il nastro e non vediamo l’ora di vedere come cambierà il vento almeno per quanto riguarda la situazione della sanità. I disservizi del Sistema sanitario nazionale (Ssn) non sono mai diminuiti, anzi, al contrario, sono aumentati. Il Paese è sempre più spaccato, con un Nord dove gli ospedali sembrano funzionare meglio e un Sud dove perlopiù arrancano e in cui le liste d’attesa sono lunghissime e da accettare con rassegnazione, dove se ti dice bene per fare una tac possono passare tre anni.