Daverio, quando le scuse non servono a niente

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Daverio, quando le scuse non servono a nienteQuando ci si esprime in maniera irriguardosa, per di più davanti alle telecamere, nei confronti di un’intera popolazione è una cosa spiacevole. Se questo succede quando sei stato assessore e te lo fanno sicuramente notare, per cui il giorno dopo ti vedi costretto a scusarti pubblicamente, quanto pensi possano valere le tue scuse? Il nostro Paese sta attraversando un periodo di basso impero, e certe presenze sono la prova di tutto questo. La colpa è nostra, non c’è dubbio. Ci innamoriamo di progetti assurdi, per esempio del fatto che importare personalità straniere che possono gestire i nostri beni culturali meglio dei nostri intellettuali italiani sia più sano. Poi questi “sapientoni” arrivano ad insultarci in un momento in cui sono in preda, chissà forse dei fumi dell’alcol, o di qualche nervosismo, o dello stress, e tirano fuori cosa covano veramente verso di noi: odio! Nella migliore delle ipotesi: invidia!

Così dice uno dei più “eminenti” di questi signori che abbiamo messo in cattedra decine di anni fa. Lui preferisce mangiare foie gras e bere champagne, piuttosto che il nostro cibo italiano. Lo ha detto con la bava alla bocca Philippe Daverio al microfono delle Iene, pochi giorni fa aggiungendo: “Ho paura della Sicilia”. La cittadina di Bobbio che lo aveva insignito della cittadinanza onoraria ha vinto grazie al ribaltamento del voto di Daverio che, fregandosene del voto popolare si è messo a parlarne malissimo. Ogni voto costa 51 centesimi e i cittadini hanno pagato di tasca loro questa somma ed hanno vinto attraverso il televoto. Quindi Palazzolo Acreide avrebbe stravinto senza problemi come “Borgo dei Borghi” il Borgo più bello d’Italia.

Ma Daverio ha spiegato il suo punto di vista spingendosi un po’ troppo in là: “Porterò in tribunale il sindaco e l’onorevole perché è un’intimidazione sicula. Non amo la Sicilia. Non mi frega niente, sono spaventato, mi hanno spaventato. Il tono utilizzato in questo affare è un tono di minaccia che fa parte della tradizione siciliana inevitabilmente”. Poi, riferendosi anche ad uno dei dolci più famosi della regione, si rivolge al giornalista delle Iene: “Lo sa perché non mi piace il cannolo? Perché c’ha la canna mozza. Non vede che è mozzato? Dopo si informi”. La giovane Iena educatamente non gli ha risposto, ma mi sento di dire che Daverio non si è reso conto che, data la differenza di età non valeva la pena di parlare di “canna mozza”. Ma non si è interrotto ed ha continuato ancora con il simbolo dell’isola, la Trinacria: “Lo sa cosa è la Trinacria?” ed ha azzardato una parlata sicula imitando un ridicolo siciliano che ad un bambino di quattro anni sarebbe riuscita meglio, fatta apposta perché era chiaro lo sfottimento. Ma apprezzabile lo sforzo, in effetti per quanto gli sta antipatica la Sicilia sembra ne sappia comunque abbastanza.

Può darsi che gli abbia dato fastidio che Sgarbi abbia avuto molto più di lui? Si sarà sentito oscurato al tempo dallo stesso sindaco di Salemi, poi anche assessore regionale, che gli aveva dato il ruolo di bibliotecario che per lui forse non era abbastanza? Ma questa è solo un’idea, forse stava già studiando per qualche ruolo non ottenuto? Magari sperava di diventare sindaco di Palermo dopo Orlando, chissà, se Sgarbi era approdato a Salemi! Perché no, già lui ci aveva dato un’occhiatina da quella Festa di Santa Rosalia del 2010, giusto il tempo di capire che i panini con le panelle sono un orrore e mamma mia come sono kitsch le cassate, le torte setteveli, le paste di mandorla e l’uvetta dentro la pasta con le sarde e finocchi innaffiata con un ottimo Grillo. La parlata simil imitazione sicula, la conoscenza della forma dei dolci, tutta quella evidente acredine, lasciava trapelare del risentimento nascosto dal filmato delle Iene.

Poi sono arrivate le scuse. Ma per carità! Lasci perdere Daverio, ma chi ci crede! Lasci pure le cose come stanno. Non ci interessano le sue scuse. Come dicevamo la colpa è nostra. Siamo in un periodo, piuttosto lungo tra l’altro, di assoluta confusione. Non ci stiamo capendo più niente. Ci siamo affidati a persone che ci trattano a pesci in faccia, ma ci stiamo svegliando. Piano piano magari ritroveremo il nostro amor proprio e ci riapproprieremo di quanto ci appartiene ecco perché lei si sta scusando, perché qualcuno le ha spiegato che le cose stanno così. Lei che è stato assessore a Milano con le deleghe alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione (questa è bella) e alle Relazioni Internazionali e che dice apertamente, in un momento di sincerità, che adora mangiare foie gras e champagne, punto.

Avrebbe potuto dire che adora il risotto alla milanese, questo lo avremmo digerito. Non ha capito che è su questa buccia di banana che è scivolato signor Daverio. Non sul fatto che lei non ama la Sicilia. Perché molti non amano la Francia e non ci si può far nulla. Ma molti italiani amano la Francia, vanno molto volentieri a Parigi, io stessa. Il mio profumo preferito è francese e lo uso da trent’anni e difficilmente ne farò a meno. Le offese gratuite sono veramente insopportabili e tutti ne facciamo volentieri a meno. Lei è cittadino onorario di un Borgo italiano, Bobbio. Lo ha beneficiato con il suo voto ignorando scientificamente il televoto di altrettanti cittadini “italiani” che pagando 51 centesimi e vincendo numericamente, avevano scelto. Lei ha ribaltato quel voto perché aveva la libertà di farlo e l’ha esercitata. Fino a qui niente da dire perché era a quanto pare un suo diritto. Ma le offese non lo sono, perché lei è stato pagato con i soldi dei cittadini italiani e non le è consentito di offenderli.

La colpa è nostra, dobbiamo scegliere in casa, e non mi riferisco a colori, religioni, etnie, ma a chi nasce e cresce in Italia ed è spinto da un amore reale per il suo Paese, l’Italia, nel fare un certo tipo di lavoro.

@vanessaseffer

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Contrasto legale alle violenze in corsia

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Contrasto legale alle violenze in corsiaIl fenomeno delle violenze in corsia, arrecate ai danni dei medici e degli altri lavoratori della sanità, all’interno dei Pronto Soccorso piuttosto che nei reparti di degenza, è in continuo aumento. La Cisl Medici Lazio ha chiesto, pertanto se, ai fini di garantire una efficace ed adeguata tutela della salute del personale medico che, nell’esercizio della propria attività professionale e all’interno del proprio ambiente di lavoro, subisce aggressioni o violenze, sia possibile riconoscere in capo al sindacato, quale ente portatore di interessi diffusi, la legittimazione ad una autonoma costituzione di parte civile nel processo penale.

L’avvocato Mario Scialla, consigliere segretario dell’Ordine degli Avvocati di Roma, avvocato penalista, ci fornisce il seguente parere.

La norma processuale di riferimento è l’articolo 91 del Codice di procedura penale.  L’introduzione di questa norma all’interno dell’ordinamento ha, senza dubbio, rappresentato una importante innovazione nel nostro sistema processuale: il suo intento è, infatti, quello di favorire la partecipazione degli enti collettivi allo svolgimento di quelle specifiche attività di accertamento che sono indirizzate alla repressione di condotte criminose che vanno ad incidere su interessi di portata generale, la cui cura e salvaguardia viene assegnata a determinate strutture organizzative.

Quali sono i requisiti che vengono posti dal codice di rito affinché tali strutture plurisoggettive abbiano la possibilità di esercitare concretamente tali poteri? 

Sono essenzialmente tre. L’assenza di uno scopo di lucro, il riconoscimento legale della finalità di tutela degli interessi pregiudicati dal reato, ovvero una legittimazione normativa alla salvaguardia di tali interessi che rinvenga la sua fonte in una legge statale, o regionale o una fonte subordinata ad attuare quella primaria e, infine, l’anteriorità di tale riconoscimento rispetto al momento in cui sia stato commesso il reato. La norma, quindi, pur conferendo alla fonte legislativa il potere di riconoscere, di volta in volta, la legittimazione degli enti alla salvaguardia degli interessi lesi dal reato, non fa altro che rafforzare quella modalità di partecipazione al processo già riconosciuta e disciplinata dall’articolo 74 del Codice di procedura penale ovvero la costituzione di parte civile.

Dalle sue parole si intuisce che la costituzione di parte civile di un sindacato non è soggetta a regole diverse rispetto a quelle comuni e dunque occorrerà accertare, caso per caso, se il sindacato di un diritto e se tale situazione soggettiva sia stata realmente danneggiata dal reato.

In tale contesto, caratterizzato dalla presenza di  un’apertura sempre maggiore verso la tutelabilità di ampie posizioni soggettive, la giurisprudenza si è pronunciata in senso sempre più favorevole nei confronti del riconoscimento della possibilità di costituzione della parte civile da parte degli enti collettivi: gli enti e le associazioni sarebbero infatti legittimati all’azione risarcitoria purché l’interesse leso dal reato coincida con un diritto che sia riconosciuto e salvaguardato all’interno del suo stesso statuto. Quindi, sulla base della rivalutazione degli interessi solidaristici e partecipativi riconosciuti dalla Costituzione, la Corte di Cassazione ha ribadito la tutelabilità degli interessi collettivi, affermando che “il riconoscimento di un diritto soggettivo in capo al soggetto che degli stessi è portatore può discendere dalla diretta assunzione di esso da parte dell’ente che ne ha fatto oggetto della propria attività, diventando lo scopo specifico dell’associazione (cfr. Cassazione Penale sezione IV, n. 22558 del 2010).

E per fare un riferimento specifico alle associazioni sindacali dei lavoratori?

Per fare un riferimento specifico alle associazioni sindacali dei lavoratori occorre precisare che per i reati che costituiscono violazione dell’integrità fisica, la Suprema Corte ha ritenuto addirittura ammissibile, senza il limite della prescrizione, la costituzione di parte civile dei sindacati nei procedimenti per i reati di omicidio e lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica, ritenendo che la violazione di tale normativa nell’ambito dell’ambiente di lavoro possa cagionare un autonomo e diretto danno, patrimoniale o non patrimoniale, ai sindacati per la perdita di credibilità all’azione dagli stessi svolta. Il sindacato infatti, annovera tra le proprie finalità, quella della tutela delle condizioni di lavoro intese non solo sotto il profilo dell’aspetto economico ma anche sotto l’aspetto della tutela delle libertà individuali e dei diritti primari dei lavoratori, quale quello della salute.

Quale conclusione è possibile trarre?

Gli approdi giurisprudenziali degli ultimi anni hanno dato man forte al riconoscimento di due dati fondamentali: le associazioni sindacali sono titolari, non solo dei diritti connaturati a qualsiasi soggetto, quali i diritti della personalità, ma anche di interessi di rilevanza generale e costituzionalmente garantiti, fra cui l’interesse collettivo dei lavoratori all’integrità psico-fisica e alla dignità, oltre che alla sicurezza dell’ambiente di lavoro; inoltre così come specificato all’interno dello Statuto dei lavoratori esse perseguono l’interesse dei lavoratori alla solidarietà e all’eguaglianza, attraverso gli strumenti di tutela collettiva. Pertanto non è insensata l’ipotesi che il sindacato tenti di costituirsi parte civile per le violenze subite, dal proprio iscritto, nell’esercizio della sua attività, laddove lo Statuto sindacale faccia riferimento a questa espressa forma di tutela. E’ evidente che trattandosi di una situazione nuova che non annovera specifici precedenti di legittimità, vada perseguita, come tutte le battaglie di civiltà, con pazienza e determinazione, mettendo anche in preventivo una serie di iniziali insuccessi, con l’auspicio però che in un futuro non lontano possano trovare adeguata tutela processuale-penalistica i predetti interessi diffusi e questo deprecabile fenomeno, in parte ancora sommerso, possa prima emergere in tutta la sua gravità, come sta facendo la Cisl Medici Lazio con la sua campagna di denuncia sociale e di sensibilizzazione dei cittadini, per essere poi debellato.

@vanessaseffer

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Il premio Flavio Cocanari per la disabilità

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Il premio Flavio Cocanari per la disabilitàRecentemente il Commissario straordinario della Asl Roma 5 Giuseppe Quintavalle ha presentato un nuovo modello di gestione delle liste di attesa per le prestazioni e di riorganizzazione dei servizi legati alle disabilità, da quelle logopediche a quelle cognitive a quelle fisiche. Il modello prevede, attraverso una piattaforma, una collaborazione attiva e costante con i privati e i privati accreditati che offrono gli stessi servizi sanitari e che rappresentano una risorsa aggiuntiva per i servizi sanitari al fine di arrivare ad una omogeneizzazione delle procedure e agende condivise all’interno di un più ampio intervento di sburocratizzazione. Un percorso di difficile attuazione sul quale non può essere tralasciato l’aspetto legato ad una migliore e maggiormente efficace informazione e comunicazione ai cittadini attraverso la redazione e la diffusione di guide dedicate elettivamente a questi servizi.

Una sfida davvero importante per la sanità pubblica stretta sempre più tra vincoli di bilancio, episodi sempre più frequenti di aggressioni agli operatori, clamori mediatici su casi presunti o reali di malasanità. Un mondo quello della disabilità che spesso non appare, non fa notizia, tranne che in situazioni di forte denuncia sociale perché è come se alla disabilità di un cittadino si accompagnasse il disagio di manifestare il proprio stato. Eppure la cronaca è piena di esempi positivi, di cittadini eroi, di testimonial che hanno fatto della propria disabilità un punto fermo per andare avanti e bene nella vita, rappresentando un esempio positivo. Eppure di disabilità si parla poco e quando se ne parla sembra quasi di affrontare una tematica secondaria, collaterale e non centrale nella vita quotidiana.

È di questi giorni l’iniziativa di un sindacato, la Cisl Nazionale, che ha presentato la decima edizione del Premio intitolato a Flavio Cocanari, il primo referente sindacale in Europa per le disabilità. L’intento della Cisl per questo anno è di avvicinarsi all’evento tornando a mettere il focus della nostra attenzione sulla centralità della persona per arrivare a proporre, anche all’esterno degli ambiti organizzativi del mondo sindacale, una epica narrativa capace di riconoscere, accogliere e accompagnare le persone in queste situazioni complesse di vita.

Per realizzare questo proposito, la Cisl ha chiesto a tutte le proprie federazioni e strutture di segnalare a livello centrale le storie di persone con disabilità o patologie gravi e ingravescenti , e le storie di non-autosufficienza che sono entrate in contatto con il sindacato di via Po nei variegati ambiti, ad esempio nel lavoro, attraverso un istituto contrattuale, nel territorio, attraverso i servizi, gli enti, le associazioni, ricavando da tale incontro almeno un elemento di positività per la propria vita.

“L’intento finale è quello di costruire una narrazione collettiva di questi volti e di queste storie, che aiuti a cogliere l’insieme di una proposta sindacale complessiva in relazione al mondo delle disabilità e generativa rispetto agli esiti che ne possono nascere”.

Una lodevolissima iniziativa per la quale, spiega il sindacato, non si è alla ricerca di casi eclatanti, ma del racconto di una presenza e di un accompagnamento quotidiano che rappresenti un meccanismo premiante rispetto alla vita della singola persona. Ci sembrava giusto riportare questa notizia anche con una punta di ammirazione per una proposta che non viene urlata e che merita attenzione, ascolto e piena collaborazione.

@vanessaseffer

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Disabilità: mobilità e trasporto

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Disabilità: mobilità e trasportoTroppo poco parliamo di disabilità, non ponendo l’attenzione sul modo di vivere disagiato di tanti nostri concittadini, sui luoghi di accoglienza, di terapia e riabilitazione. Ma anche di trasporto dei disabili. Avere la possibilità di viaggiare, di passeggiare per la propria città, di partecipare a eventi autonomamente senza scontrarsi con le numerose barriere architettoniche, è troppo spesso un sogno per chi non è autosufficiente. Ma dover fare la propria terapia quotidianamente nei luoghi deputati a farla è un diritto e non può diventare una gara ad ostacoli o addirittura un incubo.

Il mondo della disabilità è assai complesso e fragile, ha bisogno della dovuta attenzione. Non possiamo limitarci a definirlo un “disagio”, perché viene meno il senso di tutto quello che contiene questa parola, che è fatta di tante persone coinvolte. Oltre all’attore principale, il disabile, chi gli vive intorno nel quotidiano: la famiglia, le professionalità operanti, le istituzioni. Sono molte le figure coinvolte. Per cui sono necessari progetti di avvicinamento e di supporto, dove la comunicazione, innanzitutto e poi l’operatività, con una serie di iniziative per favorire altri percorsi, siano messi in atto.

Noi intendiamo parlare di disabilità un po’ più spesso, per non dimenticare i nostri concittadini più obliati. Per cominciare, raccontiamo di come fanno a raggiungere ogni giorno i luoghi della riabilitazione: ci sono aziende che operano nel settore del trasporto dei disabili, che si impegnano quotidianamente per migliorare la propria offerta e per garantire gli spostamenti di coloro che hanno vari tipi di disabilità. Le persone con disabilità sono costrette a fare uso di sedie a rotelle e necessitano quotidianamente di accompagnamento per poter raggiungere i centri di riabilitazione.

L’articolo 26 delle Legge 104/92 è intitolato “mobilità e trasporti collettivi”. Esso attribuisce alle Regioni la definizione delle modalità con le quali i Comuni dispongono gli interventi per consentire alle persone portatrici di handicap la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi. In questo senso le Regioni sono tenute a redigere dei piani regionali di trasporto e dei piani di adeguamento delle infrastrutture urbane.

Sono i Comuni a dover assicurare modalità di trasporto individuali per le persone portatrici di handicap che non sono in grado di servirsi dei mezzi pubblici. Nella sola Capitale, ogni giorno 1250 persone con diverse disabilità, vengono prelevate da circa 200 pulmini dalle loro case, in diversi orari concordati con le famiglie secondo l’esigenza della terapia, per recarsi nei centri di riabilitazione detti semiresidenziali, per seguire un programma riabilitativo personalizzato e finalizzato al recupero funzionale e sociale, per poi essere riportate a casa in tutta sicurezza. A bordo trovano il personale qualificato all’accompagnamento, un autista e un operatore. Su richiesta specifica dell’Asl di competenza può anche esserci un secondo operatore. I mezzi di trasporto devono essere efficienti e in piena regola, altrimenti le Asl applicano specifiche sanzioni economiche ed altre penali, che potrebbero giungere, in particolari casi, anche alla rescissione del contratto con l’azienda di trasporto. A bordo ci sono operatori con anni di esperienza nel settore della disabilità.

Il trasporto è un momento di aggregazione per i disabili, gli utenti interagiscono fra loro al di fuori del contesto familiare e dei centri dove fanno la riabilitazione. Sui mezzi infatti non ci sono familiari. Per fare questo tipo di lavoro bisogna avere una buona dose di empatia e di sensibilità, doti necessarie a creare una relazione umana con coloro che utilizzano il servizio, così come con le famiglie. Poiché si tratta di un settore di attività molto delicato, per essere svolto in totale sicurezza, bisogna seguire precise normative che riguardano le caratteristiche degli automezzi, l’integrità delle persone trasportate e delle sedie a rotelle. I veicoli, sulla cui efficienza abbiamo già accennato, devono essere adeguati al trasporto dei disabili e pertanto sono opportunamente modificati per accogliere pazienti con determinate patologie invalidanti. Sono realizzati con accorgimenti particolari che permettono e facilitano l’accesso nell’abitacolo, il tragitto e l’uscita dal mezzo, salvaguardando quindi l’utente e la sua sedia, lo strumento più caro al disabile.

Possono usufruire dell’assistenza riabilitativa presso centri accreditati, i cittadini minori e adulti con disabilità fisiche, psichiche, sensoriali o mista. Ogni mezzo può trasportare 7 utenti a capienza massima, ma difficilmente si arriva alla capienza massima, perché si va incontro alle esigenze dei familiari, prevalentemente sull’orario. Talvolta richiedono di prendere un ragazzo la mattina presto, altre volte più tardi. Poi bisogna seguire gli orari delle terapie, quindi si seguono in via prioritaria le esigenze personali.

Cerchiamo di dare, con questi approcci al tema della disabilità, l’opportunità di riflettere insieme su tutto quanto ruota intorno ad una persona disabile, a quali sono così i bisogni e le urgenze sui quali attivare percorsi efficaci e le istanze su cui ragionare. Ci imponiamo di parlare di disabilità per porre l’accento sulle differenti esigenze, per condividere le buone prassi così che diventino occasione di confronto e percorsi professionali validi fra i differenti interlocutori e per far sentire sempre più i familiari di una persona con disabilità al centro di una rete di buoni intenti, di capacità e competenza.

@vanessaseffer

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La schiavitù in Mauritania: parla Biram Dah Abeid

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La schiavitù in Mauritania: parla Biram Dah AbeidProseguiamo con la seconda parte dell’intervista esclusiva che ci ha rilasciato il Presidente dell’Ira (qui la prima parte), Iniziativa per la Rinascita del Movimento Abolizionista, Biram Dah Abeid, definito il “Mandela mauritano”, oggi deputato, da sempre impegnato nella lotta alla schiavitù che incombe nel suo Paese. I Beydanes, la casta schiavista costituita dallo Stato, gli Imam, la polizia e i giudici, impediscono agli schiavi di liberarsi. Quando uno schiavo si libera e l’Ira non ne è a conoscenza la polizia e i giudici lo intimidiscono fino a farlo sottomettere nuovamente.

Ci parli del secondo arresto che è avvenuto nel 2012, in seguito alla distruzione dei testi giuridici islamici della scuola di legge islamica che appoggiavano la schiavitù e che lei e i suoi compagni attivisti avete bruciato in una piazza durante una manifestazione a Nouakchott. E’ stato accusato di apostasìa, un reato per cui c’è la pena capitale.

Ho deciso che avrei bruciato i testi sacri che riportavano quelle parole volutamente fraintese dagli Imam per spaventare la povera gente e ridurla in stato di schiavitù. Erano libri giuridici sacri. Per questo reato c’è la pena capitale. Fui arrestato di nuovo. Per Aziz bruciare quei libri era apostasìa, per me no. La mia missione era quella di distruggere quei libri, come promesso a mio padre, perché fanno credere il falso, addebitando a Dio di volere la schiavitù.

Dove ha bruciato fisicamente questi libri?

In una piazza vicino casa mia. Ormai la chiamano l’Avenue de Biram, la Strada di Biram.

Ma se la popolazione ha dato quel nome alla strada significa che avevano capito e che erano con lei.

Sì, l’effetto di aver bruciato questi libri ha provocato una riunione urgente del Consiglio dei Ministri e degli ambasciatori vicini al Presidente. Aziz ha organizzato una manifestazione chiedendo a tutto il Paese di sollevarsi contro di me e di condannarmi a morte. Ma durante una di queste riunioni con i parlamentari, uno di loro si è alzato e ha dichiarato che quella strada si sarebbe formalmente chiamata “La strada dove sono stati bruciati i libri”. Nella stessa notte, la popolazione è andata in quella strada per scrivere sui muri di ogni casa “Via di Biram”. Durante la manifestazione del Presidente Aziz contro di me si è formato un altro gruppo che manifestava per me, la popolazione si sentiva finalmente rappresentata. Mia moglie è stata aggredita e ferita durante quella manifestazione. Per questo non vede più bene con l’occhio sinistro, perché è stata colpita dalle schegge di una granata in faccia. Quando hanno programmato il nostro processo, la popolazione che stava con me ha trascorso tutta la notte sotto al tribunale. La stampa ha chiesto a queste persone che cosa sarebbe successo se io avessi perso questa causa e loro hanno risposto che se mi avessero condannato a morte tutta la gente di Aziz sarebbe morta. Durante il processo c’era una forte tensione. Così il giudice ha annullato il processo “per vizio di forma”. Non c’è stata nessuna grazia da parte di Aziz come si è cercato di far credere, il processo è finito prima di dichiararmi colpevole. Appena il giudice ha dichiarato il processo nullo, il popolo era così felice che ha invaso il tribunale, nemmeno la polizia è riuscita a fermarli. Hanno chiesto a me di fare qualcosa, di parlare con loro per calmare la situazione.

Il suo terzo arresto risale al 2014. Cosa è accaduto?

Nel 2014 si svolsero le elezioni presidenziali. Avevano capito che il mio movimento era molto seguito e potente, per questo volevano distruggermi. Avevamo organizzato un caravan con cui andavamo a sensibilizzare i contadini ancora costretti in schiavitù. Per questo sono stato nuovamente arrestato e condannato a due anni di prigione, scontati fino a diciotto mesi.

L’ultimo arresto invece è dello scorso anno. Non è stato un fatto casuale, poiché quel giorno si teneva una commissione che doveva giudicare la sua candidabilità alla presidenza per le future elezioni presidenziali, con un partito che si chiama Sawab. Il 7 agosto 2018 quindi viene di nuovo arrestato.

Nel 2018, con i fatti accaduti in precedenza, l’Ira non poteva diventare un partito accreditato alle elezioni, ma vietato. Per partecipare alle elezioni bisogna fare parte di un partito, così abbiamo fatto un’alleanza con Sawab per essere nella lista dei deputati. Se fosse stata convalidata la mia candidatura per deputato avrebbero dovuto accettare anche la mia candidatura alle prossime presidenziali. Così a settembre del 2018 sono diventato deputato. Le elezioni presidenziali saranno in giugno 2019. Mi hanno messo in carcere per impedirmi di diventare deputato, perché questo era il presupposto per la mia presentazione a giugno.

Cosa c’è per questi uomini e donne quando si sono liberati dalla schiavitù? Ho immaginato questi schiavi come dei ciechi che vengono operati da un grande chirurgo e dopo vengono fasciati per guarire. Poi vengono tolte le fasce, guardano per la prima volta e vedono la luce per la prima volta, però non sanno dove andare e qualcuno deve indicare loro la strada. Sanno riconoscere e usare la libertà o ne hanno paura?

Mio padre, quella volta che venne quello schiavo a rifugiarsi in casa nostra, mi disse che mi mandava a scuola perché io studiassi e leggessi anche i libri religiosi per fare capire perché hanno distorto il messaggio. Non è giusto dire che questo trattamento viene dalla parola di Dio. Quindi per mio padre dovevo leggere e studiare tanto, capire il messaggio e diffondere correttamente il messaggio che viene da Dio e non quello trasformato a piacimento per creare la schiavitù. Mio padre mi ha spiegato il nostro rapporto familiare con la schiavitù, perché sua madre, mia nonna era una schiava. E mi ha raccontato la sua storia. C’è tutto da rifare e una strada da costruire per loro, questo è il mio impegno per il futuro, dare un futuro a queste persone attraverso l’istruzione.

Come candidato presidente vuole mettere un faro sulla questione scuola, educazione per aiutare la popolazione ad aprire la mente attraverso la conoscenza della verità? Per insegnare loro che c’è un altro tipo di vita lontana dalla schiavitù, nella libertà?

Tutte le situazioni che riducono alla schiavitù donne, uomini e bambini sono quello che io ho nel cuore e sono la causa della mia determinazione in un’azione contro la schiavitù. Accanto a me ho mia moglie Leila che mi aiuta in questo percorso verso le donne. Non si può cambiare la Mauritania senza cambiare la situazione della donna, dei bambini che lavorano anche se troppo piccoli e la situazione degli schiavi. Si può contare su di me, perché ci sarà una rivoluzione vera per queste cause fondamentali.

Com’è la condizione reale delle donne in Mauritania?

Le donne non hanno peso nella nostra società. Nelle cause di stupro, quando una donna viene violentata, il giudice ribalta la situazione dando tutte le colpe alle donne. Le viene chiesto perché sei uscita a quell’ora, come eri vestita, è colpa sua che è stata violentata e spesso viene definita una prostituta. Se una donna denuncia un’aggressione o una violenza, l’accusa viene declassificata e valutata come una relazione extraconiugale. Questo è un reato che si può pagare anche con la prigione, con la tortura, la lapidazione o addirittura con la morte. Quindi nessuna donna pensa di denunciare uno stupro. Le bambine subiscono l’infibulazione. Perché per la nostra comunità non è buono che la donna abbia un piacere sessuale, fisico, secondo i principi religiosi e sociali. Se non vengono sottoposte a questa pratica vengono definite impure. Addirittura un uomo non la toccherebbe mai, non mangerebbe il cibo preparato da lei e se la donna non infibulata tocca un oggetto qualsiasi, anche quell’oggetto non va toccato perché impuro, va lavato. È vietato alle donne di esprimere il loro desiderio sessuale anche in camera da letto al proprio marito e quando lui è soddisfatto del rapporto poi se ne va, anche se la donna non ha avuto il suo piacere, che non può neanche chiedere. Sarebbe considerata maleducata e senza rispetto, una cosa inaccettabile. I desideri di una donna non contano niente. Lei deve solo essere disponibile per suo marito quando lui vuole, anche se lui va con altre donne o se le porta in casa. Lei non può divorziare, lui si e può ripudiarla quando vuole, dalla sera alla mattina. L’uomo può sposare quante donne vuole. Anche se la moglie gli ha dato dei figli, lui può andare con un’altra donna e sposarla e non dare alla prima moglie i soldi, può non occuparsene. Questo sempre per un’interpretazione sbagliata del Corano, se la donna rifiuta il rapporto sessuale con il marito è condannata ad andare all’inferno. Il marito invece non andrà mai all’inferno, qualunque cosa faccia. La sofferenza delle donne potrei raccontarla per giorni e giorni. L’unico uomo pubblico che si fa vedere con la moglie pubblicamente sono io. Anche se in tanti, anche dell’Ira, non sono d’accordo con me.

Leila la aiuta a diffondere il suo messaggio di libertà non solo stando al suo fianco nelle occasioni pubbliche, ma anche parlando direttamente con le donne della loro condizione? Perché immagino che lei Biram non potrà avvicinarle direttamente, ma può pensarci Leila. D’altronde è la futura Premiere Dame!

Leila incontra tante donne, ma anche gli uomini. Anche quando io non ci sono. Nella nostra casa vivono tante bambine e bambini che abbiamo salvato insieme dalla schiavitù, infatti abbiamo dovuto ingrandire la nostra casa per poterli accogliere.

Quanti figli vostri avete?

Abbiamo cinque figli.

Mi racconta delle bambine che vengono costrette a sposare uomini anziani?

È un altro dramma. Abbiamo liberato Barca, una bambina di dieci anni che era già incinta. La piccola ha già due bambini, uno dell’ex padrone e uno del figlio del padrone. I mauritani dicono che Maometto aveva sposato Aisha che aveva nove anni. Quindi per loro le bambine di nove anni sono già pronte al matrimonio.

Gli schiavi non hanno alcun valore. Possono essere venduti dal loro padrone, regalati, scambiati. Non c’è tv, nessuno svago, niente soldi. Le donne schiave vengono violentate a piacimento dai padroni e dai loro figli. Come vivono dentro le case dei padroni questi schiavi?

Gli schiavi vivono mangiando i resti di quello che mangiano i padroni, dormono in una stanza fuori della casa dei loro padroni. Si ammazzano di lavoro per un poco di cibo. La colpa di Biram, per l’attuale governo è di avere aperto gli occhi a queste persone, sul loro modo di vivere. Ecco perché mi accusano di essere “colui che divide”, perché insegno ai Mauritani un altro punto di vista che li separa dai loro padroni.

Nel 2007 è stata approvata una legge dal Parlamento mauritano che dichiarava la schiavitù un reato penale. Nel 2014 il Parlamento ha deciso di raddoppiare la pena per i colpevoli di reato di schiavitù fino a 20 anni di carcere, garantendo alle vittime un processo regolare e assistenza legale gratuita. È proprio così o c’è qualcosa sotto?

Sulla carta, ma nella realtà è un’altra cosa. Queste leggi sono state fatte per accontentare il panorama internazionale. Nel 2007 il mio gruppo non era ancora forte. Nel 2014 hanno dovuto fare qualcosa, ma queste leggi valgono solo sulla carta. Paradossalmente chi va in carcere sono quelli che denunciano la schiavitù, non chi pratica la schiavitù. Questo è un modo per proteggere lo stato effettivo delle cose.

Come futuro Presidente della Mauritania dovrà ricostruire da zero un Paese. Noi siamo qui non solo spettatori, ma contiamo su di lei per questo cambiamento radicale e nel nostro piccolo cercheremo di darle una mano.

Grazie infinitamente, un onore per me.

Noi bianchi, europei, occidentali, pieni di contraddizioni, siamo secondo lei schiavi di qualcuno o di qualcosa?

Sì, chi prende le decisioni in Occidente è prigioniero della lettura dei fatti che è solo sua e che cerca di riportare nella sua società, ma non è l’idea giusta. Prigioniero della sua lettura, del modo di vedere le cose, schiavo di un sistema, di un modello tecnologico. Per es. riguardo alla lotta contro l’infibulazione: si fa un progetto per questo, per combatterla insieme e poi non ci sono gli strumenti sufficienti per ottenere il risultato e i soldi non si sa dove siano finiti. Il progetto non è sufficiente, bisogna andare fino in fondo. Un altro esempio a proposito della lotta contro la schiavitù. C’è una legge, ma il governo sa che per gli occidentali è importante che ci sia solo una legge, poi se non vi è applicazione non interessa a nessuno. In Mauritania ci si può rifiutare di applicare la legge.

Cosa si aspetta dal governo italiano e da quelli europei?

Quello che mi aspetto dall’Italia e dall’Europa è che ci si renda conto che terrorismo, immigrazione, riciclaggio dei soldi e droga, possono distruggere l’Occidente e il mondo intero. Se smettessero di aiutare i nostri Paesi spendendo male i propri soldi, facendo soffrire le nostre popolazioni, obbligando i giovani a fuggire e a rifugiarsi nei paesi occidentali, sarebbe una bella cosa. Perché se continuano ad aiutarci come fanno, alimentando terrorismo e droga, alimentano l’immigrazione. La Mauritania è ricchissima di ferro, oro, gas, petrolio e pesce. Ci sono società internazionali che fanno accordi con il nostro governo. Per esempio, una società canadese ha un accordo per cui il 93% dell’oro va alla società e il 7 per cento alle famiglie vicine al presidente. Fanno gli accordi con le famiglie che hanno il potere. Lo stesso anche per gli altri beni e il popolo non ha niente, muore di fame. Altre società prendono il pesce distruggendo l’ecosistema. I giovani non hanno più lavoro e scappano, vengono da voi e sappiamo cosa succede. Poi però i governi occidentali danno soldi per lottare contro il terrorismo, provocato comunque dalla cattiva gestione della politica locale e degli accordi internazionali con questa. Un modo stupido di fare!

Anche la vendita delle armi nei Paesi poveri dell’Africa.

Queste società straniere con questi accordi rubano alla popolazione e peggiorano la situazione del Paese e del popolo. E la politica internazionale attualmente è ancora orientata ad agire in questo modo. Usano i loro soldi per continuare a sfruttare il Paese e il popolo. Senza questa opportunità economica, Aziz sarebbe già scomparso dalla scena politica della Mauritania. Lui è li perché aiutato dai poteri europei che non sostengono i valori democratici al di fuori dell’Europa. I Paesi europei sono difensori dei Diritti umani e hanno gli stessi valori democratici. Fuori dell’Europa non difendono questi valori. Ma difendono gli interessi degli affari, del business.

Una gran fatica lavorare dall’interno del Paese e dall’esterno. Qualcuno deve pur farlo. Molti auguri. Nel frattempo lei ha ricevuto nel maggio del 2013 un Premio dall’Irlanda “Front Line Award for Human Rights Defenders at Risk”; nel dicembre del 2013 un Premio per i Diritti Umani dalle Nazioni Unite; nel 2014 è figurato nell’elenco delle 10 persone che hanno cambiato il mondo di cui potreste non aver sentito parlare, del Time magazine. Io le auguro invece di prendere il premio Nobel per la Pace.

La ringrazio molto. Mi hanno in effetti già contattato. Un avvocato olandese ha fatto la richiesta.

Ci accodiamo anche noi, da italiani grati per quanto sta facendo e per i rischi che si è assunto nello svolgimento del suo ruolo, contatteremo l’avvocato olandese e sosterremo fortemente questa candidatura al Premio Nobel della Pace.

@vanessaseffer

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