Vanessa Seffer

Vanessa Seffer

LA BEFANA VIEN DI NOTTE E AL P.S. TUTTI A FROTTE

Si dice spesso, ed a ragione, che alcuni servizi erogati per le intere 24 ore dalla sanità pubblica, ed è questo il caso del pronto soccorso, della chirurgia in urgenza, dei reparti di degenza solo per citare alcuni esempi, siano ormai tra i pochi che effettivamente danno risposte immediate e concrete al bisogno assistenziale espresso dai cittadini. Eppure la percezione è che molti cittadini non abbiano la consapevolezza di questa realtà che continua ad essere operativa pur tra le mille difficoltà derivanti dalle ormai croniche carenze di personale ed i molti deficit organizzativi e strutturali che caratterizzano le aziende sanitarie. È una dinamica complessa anche da un punto psicologico. Entrando in casa si spinge l’interruttore ed ecco che si accende la lampadina. Se poi si rimane al buio ci si dirige verso il quadro elettrico e si cerca di capire se è scattata la leva chiamata, non a caso, salvavita. La si solleva e finalmente ecco la luce e la tranquillità che ne deriva. Pensiamo a cosa potrebbe accadere se sollevando la leva non ottenessimo il ritorno della luce: preoccupazione, disagio, forse panico perchè non se ne capisce il motivo.

Pensiamo ora a quale reazione potremmo avere di fronte ad una interruzione delle prestazioni sanitarie. Certo si dirà che i medici andrebbero incontro a problematiche giudiziarie e disciplinari perchè l’interruzione di pubblico servizio, oltre ad essere di per sè esecrabile, costituisce un reato e come tale è condannabile. Pensiamo peró a cosa accadrebbe se i medici si attenessero rigidamente a ció che detta il contratto, peraltro in ritardo di dieci anni, se evitassero di fare ore di straordinario, peraltro spesso non pagate e compensabili con ipotetici successivi riposi pressochè impossibili da usufruire considerata la diffusa povertá degli organici di personale. Cosa accadrebbe se i medici, stretti tra le pastoie burocratiche, le accuse di malpractice, gli spot pubblicitari che li dipingono quasi alla stregua di criminali, si limitassero a fare nulla di più di ció che è il loro mandato professionale di diagnosi e cura? Qualcuno direbbe che sarebbe già tanto e che si accontenterebbe di questo perchè ognuno di noi ha una esperienza negativa da raccontare, un ricordo della memoria. Ma torniamo alla frontiera del Pronto Soccorso che dovrebbe rappresentare l’interfaccia tra ospedale e territorio, il servizio dove in prima istanza si rivolgono i cittadini con problemi di salute reputati urgenti.

Nella specifica pagina del Ministero della SaIute si legge che “i servizi di pronto soccorso e di accettazione svolgono attività di accettazione per i casi elettivi e programmati e per quelli che si presentano spontaneamente e non rivestono carattere di emergenza-urgenza, nonché per i soggetti in condizioni di urgenza differibile, indifferibile e in condizioni di emergenza”.

Dalla lettura della definizione di Pronto Soccorso si trae la conclusione che esso rappresenta il principale biglietto da visita dell’ospedale. Tuttavia le immagini di affollamento e sovraffollamento dei PS, accentuate dai picchi influenzali del periodo, non fanno pensare a quei criteri di affidabilità ed efficienza che dovrebbero caratterizzare una sanità che funziona e dunque nell’immaginario collettivo ne risulta alterata la percezione del buon funzionamento della stessa. Le attese per essere visitati e per essere ricoverati, nei Pronto Soccorso della penisola, sono la evidente dimostrazione di come i tagli lineari cui è stato sottoposto il Sistema Sanitario Nazionale negli ultimi anni abbiano avuto delle pesanti conseguenze sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Cittadini che peró non si pongono il quesito sulle responsabilità politiche di questo dissesto e, limitandosi a spingere l’interruttore della luce e non ottenendo con immediatezza l’accensione della lampadina, ovvero l’erogazione del servizio atteso, finiscono spesso ad alimentare le cronache quotidiane con atti sempre più frequenti di aggressione ai danni dei medici e degli altri operatori sanitari.

Secondo il Programma Nazionale Esiti (PNE) che è uno strumento di valutazione a supporto di programmi di audit clinico e organizzativo, diffuso da Agenas, negli ultimi anni gli accessi di durata inferiore a 12 ore sono stati mediamenre intorno ai 15 milioni. Globalmente i dati 2017 parlano di circa 23.500.000 di accessi all’anno per le varie tipologie di codice e durata degli stessi. Si tratta di numeri enormi a fronte dei quali sono estremamente rari casi accertati di malasanità. I giorni iniziali di ogni anno sono poi sicuramente tra i più complicati per il sistema. La sintomatologia influenzale, febbre alta, mal di gola, raffreddore e problemi gastrointestinali, portano le strutture vicine al collasso per la grande affluenza di pazienti.

Ed ecco allora il teatrino della politica.Da un lato le accuse da parte delle opposizioni di inefficienza e di errata programmazione, dall’altra la conseguente risposta di chi governa gli enti regionali con l’elenco delle misure messe in campo per fronteggiare l’emergenza e limitare le difficoltà derivanti dall’iperaffollamento: l’invito a tutte le strutture a dimettere i pazienti 7 giorni su 7, compresi sabato e domenica; l’accordo con le strutture private per la gestione dei trasferimenti in ricovero ordinario; l’apertura degli ambulatori medici di famiglia il sabato e la domenica, compresi i giorni festivi; l’apertura di presidi per i pediatri di libera scelta il sabato e la domenica e nei festivi, ultimo e positivo esempio nel Lazio a Colleferro nell’ambito della Asl Roma 5.

Tutto già visto come da copione. Peró in prima fila a “beccarsi le pallottole” restano gli operatori sanitari. E allora viene spontaneo riproporre la proposta della Cisl Medici di far si che le aziende si costituiscano parte civile in caso di aggressione ai propri dipendenti che costituiscono la principale ricchezza della nostra sanità pubblica.

@vanessaseffer

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E LA CHIAMANO CASTA

“Penso che il ministro Grillo sia d’accordo sul fatto che sia necessario difendere il diritto del soggetto debole. La casta invece penso che sia in grado di difendersi da sola”.Esordisce così il presidente della società promotrice di quell’infelice spot con la Bonaccorti, nella replica ai sindacati medici, agli Ordini Professionali Provinciali, alla FNOM, ai politici che hanno ritenuto di mettersi dalla parte dei camici bianchi. Esordisce con un termine vecchio, stantìo, ammuffito che ampiamente da la misura della totale assenza di un modello propositivo da parte di questa società, che per difendere il cosiddetto soggetto debole non si fa alcuno scrupolo di incitare all’odio contro una categoria che, tra mille problemi ed altrettante difficoltà, continua a garantirci, insieme agli altri professionisti della sanità, infermieri e tecnici, il diritto alla salute. Il termine “casta” ha da vocabolario essenzialmente due significati:1. Gruppo sociale chiuso, che si forma e si perpetua in genti e paesi di particolare cultura (per es. le caste in cui sono divisi gli Indù).Oppure, in forma estensiva: 2. Classe di persone che si considera, per nascita o per condizione, separata dagli altri, e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi.
Sulla prima definizione c’è poco da dire, tale è l’evidenza della inappropriatezza del significato se attribuito alla categoria medica.Allora considerato che medico lo si diventa dopo il conseguimento della laurea in medicina e chirurgia, che dura sei anni, e considerato che occorre specializzarsi in una disciplina, della durata di almeno altri quattro anni, per accedere ad un concorso pubblico nel servizio sanitario nazionale, anche la seconda accezione del termine casta è impropria. Medico si diventa, e non si nasce tale per scelta divina. Che poi qualche medico, a livello personale possa ritenere di avere speciali diritti o privilegi, allora questo è un altro discorso.

I medici di oggi, alle porte del 2019 sarebbero casta? Questo presidente lo raccontasse ai medici che garantiscono 24 ore al giorno l’assistenza! Lo raccontasse a quanti lavorano senza ottenere il pagamento degli straordinari! Lo raccontasse a chi è senza contratto da dieci anni! Lo raccontasse alla dottoressa violentata a Trecastagni (Catania) durante la guardia! Lo raccontasse ai medici caduti nell’adempimento del loro dovere! Lo raccontasse a quelli malmenati quotidianamente sul posto di lavoro oppure a quella dottoressa accoltellata a Crotone il 4 dicembre.

Poi certamente i medici a volte ci mettono del proprio per farsi male da soli e l’esperienza personale può farci ricordare singoli ma rari episodi spiacevoli, più dettati da ineducazione e scarso dialogo, piuttosto che da manifesta ed acclarata incapacità professionale. E magari saranno proprio queste brutte campagne pubblicitarie a far si che i medici, consapevoli anche del loro numero in forte riduzione, tenteranno di diventare una casta con tanto di potestà di contro denuncia per diffamazione e richiesta di risarcimento per danno d’immagine verso il denunciante, quando la causa si risolve in un nulla di fatto come accade nella totale maggioranza dei casi. E allora per il comune cittadino saranno dolori. A proposito, chi curerà il dolore quando il medico sarà definitivamente barricato nella medicina difensiva? Google, una app sul telefonino, un pool di avvocati, Spazio 1999, un volto televisivo, una voce radiofonica, le spezie indiane, una divinità a scelta? Ma mi faccia il piacere! Scomodando il principe Antonio de Curtis in arte Totò.

@vanessaseffer

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I medici protestano: finiremo per farci curare dagli avvocati?

Nel clima delle festività natalizie, tra bollicine e panettoni, regali e presepi, nell’attesa dei consueti botti di fine anno, sembra essere sfuggito, con qualche rarissima eccezione, all’attenzione dei politici nostrani l’ennesimo spot contro i medici. Sarà il clima festaiolo, sarà che la finanziaria andava chiusa ed occorreva stare attenti a non fare saltare gli emendamenti che stanno a cuore al proprio paesello ed alla propria consorteria, ma resta il fatto che nessuna voce della politica si è levata per condannare l’aggressione verso la categoria medica e, di fatto, verso il servizio sanitario pubblico.

Solo due politici pentastellati, Misiti e Trizzino, hanno dichiarato che lo “spot con la Bonaccorti alimenta rancore verso i medici e favorisce la loro fuga dalla sanità pubblica” ed hanno altresì chiesto di sospendere la messa in onda. Un po di sensibilità che fa di sicuro piacere!

È chiaro che la star televisiva dei tempi che furono non godeva da anni di tutta questa attenzione mediatica. Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici ed alcuni sindacati, tra cui in prima fila la Cisl Medici che su questo argomento è da tempo attiva e propositiva, le hanno indirettamente consentito di meritarsi il cachet con il quale era stata ingaggiata. Alcuni anni or sono, il Collegio dei Primari Oncologi Ospedalieri e l’associazione dei medici accusati ingiustamente di malpractice avevano diffuso un video, in replica all’ennesimo spot che invitava i cittadini a denunciare i medici ai fini di un risarcimento economico. E nel video, presente su youtube all’indirizzo https://youtu.be/Uhxx4CymZJk non ci erano andati leggeri. I protagonisti erano gli avvoltoi, simpatici volatili con gusti non proprio raffinati. Pennuti mangiacadaveri a parte, resta tuttavia una sorta di vuoto politico e legislativo nel quale qualche sedicente associazione di tutela si infila non per denigrare ma esclusivamente per ottenere un ritorno economico da spartire con i cittadini che potenzialmente possono avere ricevuto un danno con i promotori di queste iniziative che, contro ogni deontologia professionale, promettono “nessun costo in caso di rigetto della denuncia”.

A quando allora le offerte promozionali cumulative? Denuncia tre medici, il quarto lo aggrediamo noi magari al Pronto Soccorso, gratis!

Qualche politico ha mai saputo cosa significa “lite temeraria”? Bene, vuoi denunciare? Fai pure! Ma in caso di soccombenza del denunciante, allora il medico deve essere messo in grado di esercitare un’ azione di rivalsa, come scrivono quei Magistrati che nella stragrande maggioranza dei casi rigettano questa pratica continuativa di fare ricorso alla denuncia per ottenere un ritorno economico.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano nel 2017 ha ricevuto circa 300 esposti da parte di soggetti che, a vario titolo e con diverse motivazioni, hanno denunciato i medici. Il Pubblico Ministero Tiziana Siciliano, che coordina il pool ambiente, salute e lavoro della Procura di Milano, ha parlato l’8 ottobre a margine di un convegno sulla responsabilità penale e contabile nelle professioni sanitarie, organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura: una vera e propria “patologia” del sistema giudiziario, perché troppe risultano essere le motivazioni di tipo strumentale, utili per fare pressioni in vista di una richiesta di risarcimento danni in sede civile, richiesta che nella maggioranza dei casi finisce con una archiviazione. Ma prima di una archiviazione quanta sofferenza da entrambi i lati della barricata!

@vanessaseffer

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Medici, pubblicità che istiga all’odio

EnricaBonaccortiDai cartelloni con le manette, alle donne che hanno subìto violenza con un camice bianco che si intravede in sottofondo che lascia ampio spazio alla fantasia di chi guarda. Non bastava l’orda di avvocatucci che ormai girano dentro gli ospedali a caccia di possibili clienti al pari dei cassamortari. Ma la Bonaccorti no, questa non ce l’aspettavamo. Lei è una donna saggia, che dispensa consigli ormai da anni sulle reti della nostra tele e per questo non può non aver valutato i pro e soprattutto i “contro” di ogni singola parola che passa attraverso il tubo catodico e i segni irreversibili che esso può lasciare. Facendo un veloce resume della situazione, la signora Bonaccorti, si è avventurata in una pubblicità che gira in video e nelle chat in questi giorni, nella quale dice che “se pensi di dover avere un risarcimento da un danno ricevuto in ospedale ecco il numero di telefono, hai anche 10 anni per avere ciò che ti spetta…”.

“Sono sconcertato da questo video – afferma il Dott. Biagio Papotto Segretario Nazionale della Cisl Medici – sebbene si tratti di una signora affascinante, è incredibile che si presti ad una simile pubblicità, probabilmente molto ben pagata. All’evidenza non si è posta il problema che tutti ci si avvicina, poiché è naturalmente ciò che accade, ad avere una certa età e dunque tutta una serie di patologie che sono i medici a dovere e potere curare, quegli stessi medici che fanno fatica spesso ad andare avanti, che fanno turni faticosissimi e lunghissimi in ospedale, che non hanno ancora un contratto dopo dieci anni e ciò fa si che tanti bravi medici vanno via dal nostro Paese. Perchè non mettere in evidenza quanta fatica, quante vite vengono salvate ogni giorno, quanta qualità c’è nella sanità italiana, che mette il nostro Paese al terzo posto nel mondo? Perchè non ci si preoccupa di pubblicizzare il fatto che se un immigrato che viene da noi e non ha un soldo, non ha un documento ma si sente male, viene curato al meglio e gratuitamente come un qualsiasi cittadino italiano? Ma se noi andiamo negli Stati Uniti e non abbiamo una carta di credito facciamo bene ad essere in forma, perchè se dovessimo per caso sentirci male non ci permetterebbero nemmeno di varcare la soglia di un pronto soccorso. Non sento mai parlare di tutte le cose buone che i nostri medici fanno quotidianamente con il massimo della serietà e con le risorse che si ritrovano”.
Che deve fare Enrica pè campà!

@vanessaseffer

 

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Medici: Bonaccorti poco accorta in video

Medici: Bonaccorti poco accorta in videoSi legge su Wikipedia che Enrica Bonaccorti, all’anagrafe Enrica Maria Silvia Adele Bonaccorti (Savona, 18 novembre di un certo anno), è una conduttrice televisiva, conduttrice radiofonica, paroliera e attrice italiana. Dunque, nel suo corposo curriculum vitae, oltre alle numerose trasmissioni televisive che l’hanno resa celebre, la Bonaccorti sarebbe anche una “paroliera”. Cercando sulla Treccani, si può leggere quanto segue: “Parolière, chi scrive i versi o le parole per una canzone o per altra composizione di musica leggera; in particolare chi adatta le parole a musica già composta”. È una definizione che rende onore alla signora. Sorte ben diversa è riservata sulla stessa enciclopedia al termine parolaio: “Persona che parla molto, che ama fare discorsi verbosi, generalmente futili, privi di corrispondenza con la realtà, o destinati a non tradursi in pratica: non dar retta a quel parolaio! Come aggettivo, che abbonda di parole, per lo più inconcludenti! Come in politica, che si riduce a vane parole e dove si fanno molti discorsi ma si conclude poco!”.

“Fiumi di parole” invece è un brano musicale che si è aggiudicato il primo posto nella classifica finale della quarantasettesima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo nel 1997, ovvero ben ventuno anni fa. Allora, la nostra gentile signora paroliera, mai avrebbe pensato che ventuno anni dopo, in uno spot televisivo, si sarebbe ritrovata a recitare, non a cantare, un piccolo fiume di parole contro la categoria medica dispensando consigli su come denunciare un medico nei casi di malasanità e ricordando che si hanno ben dieci anni di tempo a disposizione per farlo. Il tema della salute degli anziani è più attuale che mai, attuale almeno quanto le violenze fisiche e gli attacchi verbali contro i medici e gli operatori sanitari: secondo alcuni dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss), tra pochi anni, esattamente nel 2025, saranno 1,2 miliardi le persone nel mondo con più di sessant’anni: nulla dice l’Iss relativamente a chi nel 2025 avrà 76 anni. Se da un lato questi numeri indicano un allungamento dell’aspettativa di vita, dall’altro determinano interrogativi relativamente ai problemi di salute degli anziani, perché all’invecchiamento della popolazione si accompagnerà un aumento delle malattie legate all’età.

Ma di quali patologie o disturbi soffrono maggiormente le persone anziane? Osteoporosi, demenza senile, Alzheimer, diabete, cardiopatie, ipertensione arteriosa, tanto per citarne solo alcune evitando di citarne altre. Cosa fare? Lo chiediamo a Luciano Cifaldi, segretario generale della Cisl Medici Lazio. “Bisogna andare dal medico – sostiene – da uno specialista che potrà prescrivere la terapia farmacologica. Tuttavia, non va dimenticato che in età avanzata, dopo una vita spesa a fare carriera magari sotto le luci della ribalta, è importante e necessario mantenere attiva anche la mente. Non smettiamo di allenare la mente. Leggiamo libri, leggiamo magari anche quelle notizie di buona sanità che purtroppo non fanno notizia, ma che restano indimenticate nella mente e nel cuore di quanti hanno ricevuto un trapianto, o hanno sconfitto una leucemia, o sono stati salvati da un medico quando sembrava che ormai non ci fosse più nulla da fare. Certo anche il medico può sbagliare. Sbagliare è umano, se sbaglia un medico e l’errore è accertato interviene la Magistratura”.

Secondo Cifaldi, “ridurre l’operato dei professionisti medici ad uno spot come quello che ho visto in queste ore, ed è l’ennesimo purtroppo, mi appare francamente una operazione misera. Non ce ne voglia la signora Enrica e non si preoccupi: nessuno ricorderà le sue parole pronunciate nello spot. Ben più importanti sono le parole scritte nel giuramento di Ippocrate, quelle per le quali, ogni giorno, migliaia di medici cercano di fare del proprio meglio per tutelare la nostra salute”.

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Carenza medici: non c’è programmazione

Carenza medici: non c’è programmazioneUna bomba ad orologeria è ormai innescata nella sanità pubblica del Paese e il tempo sta scorrendo velocemente senza quasi che i media, la politica e il grande pubblico ne abbiano consapevolezza. Solo tra gli addetti ai lavori sembra alzarsi alto il grido di allarme fatto proprio dal mondo delle organizzazioni sindacali di categoria nella loro interezza e, almeno in questo caso, senza divisioni al proprio interno. Il paventato pericolo di un progressivo impoverimento del personale medico operante nel sistema sanitario nazionale (Ssn) per il sopraggiungere di uno scalino pensionistico, è ormai una realtà concreta. Ragionando su dati Miur, Istat, Enpam e Fnomceo la realtà attuale per quanto riguarda le dinamiche pensionistiche evidenzia come circa 48mila medici nati nel decennio 1950-1960, ed oggi ancora attivi nel Ssn, hanno già maturato o matureranno i criteri previsti dalla legge “Fornero” nel decennio 2016-2025. Secondo i dati della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri i medici attivi in Italia al 2016, di età inferiore ai 70 anni, erano circa 354mila dei quali quasi 102mila unità attivi a vario titolo nelle aziende sanitarie locali.

Si tratta di una fascia di età per le quali il riscatto previdenziale degli anni di studi universitari era facilitato da un versamento economico mensile sostenibile; inoltre, l’assunzione avveniva precocemente dopo il conseguimento della laurea in Medicina e Chirurgia, dato che non vi era l’obbligo, come invece avviene attualmente, di possedere il titolo di specializzazione per essere assunti nel Ssn. A questa situazione consegue direttamente il rischio di un decadimento nella qualità dei servizi erogati proprio a causa della perdita di medici esperti e in possesso di elevate capacità professionali e di quella esperienza “sul campo” che è fondamentale per la tutela della salute di ognuno di noi. Nel decennio 2016-2025 i cessati attesi complessivi sono stimabili in oltre 55mila unità, un numero di poco inferiore rispetto a quello complessivo di nuovi specialisti che completeranno l’iter formativo specialistico nelle università nel decennio considerato, previsti in oltre 57mila, secondo un dato desumibile dalla media annuale dei contratti Miur degli ultimi tre anni: 5.711 contratti di formazione specialistica. Il dato però merita la massima attenzione perché, basandosi esclusivamente sul numero complessivo, questo risulta essere fuorviante poiché l’apparente equilibrio tra futuri cessati complessivi (medici ospedalieri-universitari-specialisti ambulatoriali) e futuri neo-specialisti, non potrà essere risolutivo a motivo dell’esistenza del doppio imbuto, formativo e lavorativo.

Nei prossimi dieci anni i numeri previsti di contratti specialistici Miur, considerando la media degli ultimi tre anni, garantiranno un equilibrio per le categorie degli universitari e degli specialisti ambulatoriali, non per gli specialisti dipendenti del Ssn, sia ospedalieri che territoriali. Questo si spiega perché la componente ospedaliera e dei servizi dipendente del Ssn che andrà in quiescenza sarà preponderante sulla componente degli universitari e specialisti ambulatoriali (oltre 47mila cessati Ssn versus gli oltre 8mila cessati per le altre due categorie intese in maniera accorpata per facilità di calcolo). Inoltre, se consideriamo quali tipologie di specialisti andranno in pensione, ci accorgiamo che per alcuni di essi, in maniera particolare internisti, pediatri, chirurghi generali e ginecologi, per non parlare della carenza attualissima e drammatica di medici dell’emergenza e pronto soccorso che rappresentano nel Ssn la prima linea di fuoco, e tutto questo per motivi noti che però l’evidenza insegna si è ancora restii ad affrontare (altri costi assicurativi, stipendi non adeguati alla complessità del lavoro ed ai rischi connessi, aumentato contenzioso medico legale, aumentata conflittualità con i pazienti a volte sfocianti in veri e propri atti di violenza nei confronti degli operatori).

È questo uno scenario estremamente complesso nel quale insistono, un ormai decennale mancato turnover che ha determinato gravi vuoti nelle dotazioni organiche e il già evidenziato mancato ricambio generazionale. Tali carenze sono ulteriormente emerse con la necessità di essere ottemperanti alle direttive europee sull’orario di lavoro come previsto con la Legge numero 161 del 30 ottobre 2014. A tutto ciò si aggiunge il mancato rinnovo del contratto ai medici e ai dirigenti, che accentuerà la fuga dei camici bianchi. Ci si lamenta che non ci saranno medici in futuro, eppure non ci sono stati sufficienti accantonamenti per dare dignità alla professione dei medici. La Cisl medici si batte da tempo per far comprendere che la sanità non è un costo ma un fattore produttivo. Dalla politica, dal ministro della Salute e dalle regioni sembra esserci disinteresse totale su questo tema. D’altra parte, i nostri medici non sono certo stimolati a rimanere in servizio, considerando che tra i fattori che invitano ad uscire dal Ssn vi è anche la bassa probabilità di raggiungere posizioni apicali, i cosiddetti primari, anche a motivo della costante diminuzione dei posti disponibili di direttore di struttura complessa a motivo degli accorpamenti o dell’abolizione di tali strutture per motivi economici o semplicemente politici.

Inoltre, l’età media dei nostri medici è di circa 55 anni e ad oggi non si è dato seguito ad una indicazione contrattuale a seguito della quale ai professionisti con più di 55 anni di età si sarebbero dovuti evitare i turni di guardia notturna. Cosa questa peraltro impossibile considerato che negli ospedali e nelle Asl la difficoltà di godere delle ferie e perfino dei turni di riposo è evidenza derivante anche dall’aumento della conflittualità tra professionisti ed aziende. È del tutto palese che un medico cui è stata tolta una valida aspettativa di carriera, privato di gratificazioni professionali anche di tipo economico, costretto dalla carenza di organici e dalla necessità nei servizi ospedalieri di garantire una assistenza nelle 24 ore con stressanti turni di guardia ed una gravosa mole di lavoro straordinario, in presenza di condizioni di elevato rischio professionale, appena ne ha la possibilità previdenziale si ritira in pensione ed inizia o continua a svolgere attività di tipo esclusivamente privata.

La gravità della situazione è tale che ogni anno aumenta il numero di medici che fanno domanda per lavorare all’estero e poi finiscono realmente per andare a lavorare in altri Paesi europei, negli Stati Uniti, e, molto recentemente, nei Paesi arabi attirati da stipendi assai elevati. Secondo i dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2.363 nel 2014 (+ 596 per cento). Il dato è talmente clamoroso che non può non fare riflettere. Ormai circa mille laureati o specialisti emigrano ogni anno. Peraltro, bisogna tenere conto che per formare ogni medico il Paese investe circa 150mila euro l’anno. In termini economici, è come se regalassimo un migliaio di “rosse di Maranello” all’anno agli altri Paesi europei ed extra europei. Chiaramente il danno che ne risulta è solo apparentemente di tipo esclusivamente economico perché ci impoveriamo in senso letterale di cervelli e di saperi professionali, sottratti allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese, salvo poi, a sequenza regolare, pontificare sulla necessità di fare rientrare i cervelli nel nostro Paese. La soluzione è evidente: cerchiamo di non farli partire.

@vanessaseffer

Tex, 70 anni di un mito in mostra a Milano

Al Museo della Permanente di Milano fino al 27 gennaio del 2019 si tiene la mostra “Tex. 70 anni di un mito”, curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto italiano, in collaborazione con la redazione di Sergio Bonelli Editore. Mai titolo è stato più appropriato per celebrare quello che è sicuramente il più amato eroe del fumetto di ideazione e produzione italiana. Ancora poche settimane per immergersi nell’epopea del West, della frontiera americana, e passare alcune ore in compagnia dei fedeli pards Kit Carson, Tiger Jack e Kit Willer “cavalcando” al loro fianco, lungo il continente americano nella continua sfida del bene contro il male rappresentato da: Mefisto.

È il 30 settembre 1948, quando nelle edicole italiane arriva il primo albo, nel formato a striscia di Tex, il personaggio con “due padri”, il creatore Giovanni Luigi Bonelli e il primo disegnatore Aurelio Galleppini. Nessuno può prevedere che il ranger con la camicia gialla diventerà l’amatissimo eroe del fumetto italiano e uno dei più longevi a livello mondiale, vantando numerosi tentativi di imitazione venuti meno nel volgere di “poche lune”, come avrebbe detto il grande e saggio amico Cochise capo della tribù Apache. A Galleppini si sono succeduti straordinari artisti della matita e del pennello e Tex è diventato un eroe, un mito, un’icona.

Un’impresa e un grande onore cimentarsi nella sfida di disegnare Tex variando, magari, alcuni tratti somatici ma senza intaccare, anche nella grafica, quel grande senso di giustizia che traspare in ogni singolo sguardo, in ogni singola ruga del volto. E la mostra di Milano è un gradito ritorno a casa del nostro eroe che ha valicato il confine, non quello messicano o canadese come nelle mille avventure di cui è stato protagonista. Va ricordata anche la precedente esposizione di Lugano nell’ottobre 2015. Chi abbia voglia di avventurarsi nella mostra milanese troverà in esposizione disegni, fotografie, oggetti rarissimi, nonché installazioni a tema, create, esclusivamente, per questo evento e che consentiranno di personalizzare il dialogo con il ranger. Si tratta di un paio di sorprese che ci faranno tornare il buon umore verso la fine del percorso. Prima di sederci di fronte ad una “bistecca alta tre dita ed una montagna di patatine fritte”. Per omaggiare l’immancabile richiesta di Tex Willer e Kit Carson, in occasione della sosta in qualche saloon per ritemprare lo stomaco. “Tex. 70 anni di un mito” è una mostra dedicata, non solo ai cultori del personaggio, ma anche a chi abbia intenzione di avvicinarsi, magari per la prima volta, al mondo fermo e risoluto di un eroe senza macchia e senza paura, che è riuscito a diventare, grazie alla passione e all’amore di milioni di appassionati lettori, un vero e proprio fenomeno di costume, un simbolo costante dell’antirazzismo ed il nemico acerrimo di ogni forma di ingiustizia.

Un in bocca al lupo a voi eroi che cavalcate nella prateria. A Tex, a Kit Carson, a Tiger e a Kit Willer, affinché dopo il lungo e polveroso percorso, possiate trovare un buon saloon per una birra ghiacciata e un albergo che sia almeno un po’ meglio di una catapecchia.

@vanessaseffer

Sanità privata e sanità pubblica, ne parla Jessica Faroni

Sanità privata e sanità pubblica, ne parla Jessica FaroniUna struttura sanitaria accreditata è una struttura privata che ha stipulato una convenzione con il Sistema sanitario nazionale (Ssn), dunque eroga le prestazioni sanitarie chiedendo al cittadino il solo pagamento del ticket. Ma come fa una struttura privata ad accreditarsi? È l’autorità sanitaria delle singole regioni ad individuare le strutture che secondo loro sono in grado di garantire il livelli essenziali di assistenza, di valutare l’idoneità delle stesse, di assicurarsi che siano qualificate e di accertarsi dell’efficacia e dell’appropriatezza dei risultati, fissando il volume massimo delle prestazioni da rendere nell’ambito della competenza territoriale della medesima azienda sanitaria locale.

Chiedo a Jessica Faroni, medico-chirurgo, neurologo, riconfermata presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata Lazio (Aiop), manager sanitario e a capo del Gruppo Ini (Istituto neuro-traumatologico italiano) presente con dieci strutture accreditate nel Ssn nel Lazio e in Abruzzo, di farci comprendere meglio quali rapporti ci siano effettivamente fra il pubblico e il privato convenzionato, o meglio, accreditato.

Che differenza c’è fra l’ospedale pubblico e il privato accreditato?

Di fatto la sanità privata accreditata è una sanità pubblica con tutti quanti i doveri del pubblico, con la differenza che la proprietà è del privato. I criteri qualitativi devono essere gli stessi, perché si fornisce un servizio pubblico. La legge è uguale perché è sempre Sistema sanitario nazionale (Ssn). La differenza consiste nella proprietà: una è pubblica e l’altra è privata.

Che cosa funziona davvero e che cosa non funziona sia nell’ospedale pubblico che nel privato accreditato?

Entrambi risentiamo fortemente del problema del contratto di lavoro, poiché abbiamo i contratti nazionali. Il fatto è che è poco prevista sia la meritocrazia che il licenziamento di persone che effettivamente non ci dovrebbero stare. Quindi siamo costretti ad un ricambio molto lento e soprattutto a non usufruire di nuove risorse, uno dei motivi per cui assistiamo alla fuga dei cervelli dal nostro Paese. Noi non possiamo licenziare una persona su due piedi. Indubbiamente per noi è più facile gestire una struttura con trecento persone piuttosto che di 1.800, però siamo sottoposti esattamente alla stessa problematica.

E il personale come viene selezionato?

Esattamente come fa il pubblico. Tramite concorso. Poiché le figure che devono stare sia nel pubblico che nell’accreditato sono le stesse, con gli stessi titoli, con gli stessi curricula.

Vi capita, soprattutto fra il personale infermieristico, di dover attingere dall’estero?

Ancora qui nel Lazio questo tipo di utilizzo di lavoro è poco sviluppato, facciamo più uso delle cooperative. Nelle cooperative può capitare che qualcuno dell’estero ci sia. Ma non è un fenomeno così sviluppato, non come in alcuni posti del nord.

Ci sono troppi sprechi nel pubblico, nelle analisi, negli esami diagnostici.

Da noi va esattamente come nel pubblico. Perché essendo pagati noi con l’impegnativa quindi con la prescrizione, risentiamo al pari del pubblico. Tant’è che abbiamo anche noi le liste d’attesa lunghissime. E del fatto che c’è ad esempio un utilizzo sbagliato della medicina difensiva. Infatti questa oggi è il costo maggiore per l’Italia, in quanto si preferisce fare più analisi, visto poi il contenzioso che può scaturire da qualsiasi paziente. Per cui diciamo che è una protezione del medico. E anche questo crea liste d’attesa. Un medico di base che chiede una visita urgente, spesso lo fa perché suscettibile di pressioni da parte di un parente. Ci andiamo di mezzo tutti: medici di base, pubblico, privato accreditato. Poi noi, tra l’altro, abbiamo un budget e più di tanto non possiamo fare. Così le liste si allungano.

Le liste d’attesa sono un problema molto serio. Rappresentano uno dei motivi che scatenano le aggressioni contro i medici e gli operatori sanitari, sempre più frequenti. Come si può risolvere il problema?

Bacchetta magica a parte, ci sarebbero due rivoluzioni del sistema a mio parere. Innanzitutto, la richiesta dovrebbe essere fatta secondo altri criteri, non secondo pressioni o medicina difensiva, ma sotto la reale esigenza che ha il paziente. In secondo luogo, bisognerebbe investire un po’. Ad esempio, in America sono di uso frequente i referral, specialisti che “h24” stabiliscono se i pazienti debbano essere visitati o meno, facendo una selezione a monte. Nei provvedimenti che sono stati presi di aumentare le ore di lavoro e le aperture degli ambulatori, più si crea offerta e più le liste si allungano. Se io aprissi gli ambulatori delle cliniche e avessi libertà di budget, giorno e notte per tutta la settimana, li riempirei.

Che cosa manca alla struttura privata accreditata per sostituire appieno quella pubblica?

Non si possono sostituire. Non può esistere pubblico senza privato, né privato senza pubblico. È un lavoro assolutamente di supporto e complementare. È vero che ci sono esempi di strutture private come il San Raffaele di Milano che sono più che autonome e funzionano bene. Ma è anche vero che l’Italia è fatta da venti regioni che hanno leggi diverse. Faccio un esempio, qui nel Lazio è vero che ci sono molti privati ma tante specialistiche non le possiamo fare, e non potendole fare dobbiamo essere per forza di supporto a tutto quel mondo che ha quella specialistica che fa soltanto l’ospedale.

Invece l’ospedale cattolico funziona meglio della struttura pubblica o del privato accreditato?

Anche lì hanno gli stessi problemi nostri. Ma è chiaro il “Gemelli” ha un potere contrattuale diverso.

La struttura privata accreditata come si muove con i bambini e gli anziani?

Il 44 per cento della sanità privata accreditata fornisce cure di supporto alle categorie più deboli. Gran parte delle Rsa e gran parte dei bambini ex articolo 26 fanno capo al privato convenzionato e questo, è fondamentale, con costi minori rispetto al pubblico. Va capito che noi siamo uno Stato che investe poco in sanità perché siamo molto bravi. Sia nel pubblico che nel privato. Perciò parlo di complementarità. Se l’Umberto I si occupa di un’appendicite, un’altra struttura convenzionata ne fa tre, perché riusciamo di più a contenere i costi dando la stessa qualità. Se questo lo si pone sull’assistenza territoriale e sulle categorie deboli è evidente che lo Stato non si può permettere una spesa così grande su una popolazione debole che sta crescendo. Noi siamo il Paese più vecchio d’Europa. Non possiamo fare un investimento che poi non ci possiamo permettere. Per cui deve subentrare il privato, che riuscendo a lavorare con costi contenuti, può dare una qualità eccezionale sia nel pubblico che nel privato. Lo dice pure la relazione di Bloomberg, siamo tra i migliori al mondo utilizzando la metà dei soldi degli altri Paesi.

Qual è lo stretto rapporto pubblico-privato?

In realtà, sia nel pubblico che nel privato curiamo migliaia di persone e ciò avviene in perfetta armonia. Noi abbiamo la funzione di svuotare gli ospedali da tutto quello che è il cronico, ce lo prendiamo e questo avviene tramite fax, tra ospedali e strutture. Succede continuamente nel quotidiano, per migliaia di persone. Il paziente, nel momento in cui viene ricoverato in ospedale, viene curato a 360 gradi sia dal pubblico che dal privato.

Per queste comunicazioni usate ancora il fax?

Si, per essere più sicuri e lasciarne traccia. Se il Signor Rossi ha bisogno di essere spostato domattina, la caposala invia un fax a tutte le strutture private dei dintorni nella notte e bisogna che la mattina sia già stato trovato il posto. Quindi o c’è la telefonata fra i primari delle strutture o la richiesta via fax per cui rimane sempre una traccia. Il fax rende proprio l’idea del fatto pratico del rapporto che si innesca fra strutture.

@vanessaseffer

Crotone: dottoressa aggredita davanti all’ospedale

Crotone: dottoressa aggredita davanti all’ospedaleIeri a Crotone al termine del suo turno all’ospedale civile San Giovanni di Dio, un medico, che presta servizio presso l’unità complessa del nosocomio calabrese, appena uscita dalla struttura è stata aggredita da un cinquantenne crotonese che l’attendeva con il volto e la testa coperti da un cappuccio e da una sciarpa, colpendola al collo con un cacciavite. A salvarla da un altro fendente è stato un ambulante marocchino che sosta quotidianamente con la sua bancarella per vendere oggetti per automobili proprio davanti all’ospedale. Cercando di aiutare la dottoressa, lo straniero ha chiamato prima i sanitari che sono accorsi e l’hanno ricoverata in codice rosso e subito operata, e poi ha inseguito il malfattore bloccandolo su un bidone della spazzatura fino all’arrivo della polizia. La dottoressa, fortunatamente, non è in pericolo di vita.

A proposito dell’orrenda violenza subìta da un’altra dottoressa tempo fa a Trecastagni, in provincia di Catania, era intervenuto qualche tempo fa il segretario nazionale della Cisl Medici, Biagio Papotto: “Quello che a noi preme far notare è che non possiamo prendercela solo con il Governo centrale. La scarsità di risorse economiche, infatti, è grave e reale, ma da sola non può bastare a chiudere il discorso. Questo consentirebbe a tutti i poteri intermedi di riposare tranquillamente sugli allori, e invece la Cisl Medici vuole chiarire che non lascerà correre alcunché. Non accetteremo alibi di alcun tipo da parte di tutte quelle figure decisionali, Regioni, assessori alla Sanità, direttori generali e amministratori vari, che potrebbero e dovrebbero fare di più, molto di più. Anzi: che dovevano e potevano aver già fatto molto di più. Non siamo affezionati all’idea di dotare ciascun presidio di un vigilante. Questo aumenterebbe di sicuro i costi per la collettività, ma se fosse il rimedio risolutivo, ben venga. Però diverse articolazioni degli orari, presenze più concentrate, soluzioni logistiche più centrali e visibili, tutto questo potrebbe costare davvero poco e mostrare che qualcuno si guadagna in modo degno lo stipendio che percepisce senza correre il rischio che una donna-medico conosce ogni giorno. Ci prepareremo a costituirci parte civile in ogni procedimento giudiziario che scaturisse dalla trascuratezza delle amministrazioni locali. Ora basta. Quando si dice che il medico dona la vita non si intende di perderla”.

Nello stesso ospedale di Crotone, lo scorso agosto, venne brutalmente picchiato un anestesista da un’intera famiglia, che riteneva non avesse fatto abbastanza per salvare la vita al loro ragazzo. La vicenda aveva suscitato molto sdegno da parte della comunità e nei giorni successivi l’ospedale aveva provveduto ad aumentare per un po’ la sorveglianza interna ed esterna, ma poi tutto è rientrato nella solita normalità.

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Fantastichini nel ricordo di Haber

Una serata dedicata ad Ennio Fantastichini. Ieri sera al Cinema Farnese, Alessandro Haber ha dedicato la proiezione del suo film, “In viaggio con Adele”, al grande attore scomparso improvvisamente, sabato 1 dicembre, a 63 anni. La Casa del Cinema di Roma accoglie oggi amici e parenti di Fantastichini, per l’ultimo saluto. La camera ardente sarà aperta dalle ore 15 alle 19.30 presso la struttura del parco di Villa Borghese. È previsto un ricordo pubblico intorno alle ore 18. Alle ore 20, inoltre, verrà proiettato il film “Mine vaganti”, diretto da Ferzan Ozpetek, grazie al quale Fantastichini ha vinto nel 2010 il David di Donatello e il Nastro d’argento come miglior attore non protagonista. Haber ha ricordato l’amico pronunciando parole meravigliose, e ricordando la loro lunghissima amicizia. Fantastichini è stato omaggiato da un lunghissimo applauso dai numerosi presenti che hanno affollato la sala.

“In viaggio con Adele” sarà presto in visione su Sky. Il lungometraggio interpretato da Haber e Isabella Ferrari è l’opera prima di Alessandro Capitani. Una commedia italiana dolcissima che sfiora la sindrome di Asperger. “Ci siamo tenuti molto larghi con questa malattia – sostiene Haber – nel senso che non abbiamo voluto definirla esattamente, una malattia neurodiversa. La protagonista è una persona che ha dei disturbi e che non ha nessun tipo di pudore. Una bambina cresciuta che ha assimilato nozioni, che vive in maniera molto istintiva, senza riserve. Come se fosse una ragazzina che dice sempre quello che pensa. Perché non ha sovrastrutture, non è stata contaminata dal perbenismo, dalle letture, da reticenze, da insegnamenti. È una “ragazzina” che cambia la vita al padre. Un egocentrico. Un famoso attore di teatro, vegano, preso solo dal suo lavoro, che non ha rapporti veri con nessuno. Un egoista, un opportunista, un uomo che “usa” le persone. Grazie ad un viaggio l’uomo capisce che la sua vita può cambiare in meglio, che ci sono cose più importanti come l’affetto, l’amore che è condivisione, che è dare, essere generosi. E queste due solitudini – quella del padre e della figlia – in qualche modo si riempiono improvvisamente, perché c’è amore. L’amore probabilmente può salvare il mondo. E lui in qualche modo si salverà da una vita intrisa di paura, di aridità. E scopre finalmente un sentimento puro, per cui rinuncia alla sua grande occasione, fare finalmente un film”.

Haber si commuove ricordando Fantastichini: “Sto pensando a Ennio. Ennio era mio fratello. Una persona con cui ho condiviso tutto. Mi sta nella testa, nel cuore, nella carne. Era un uomo meraviglioso, un artista unico, irripetibile, originale. Un amico sincero. Se fosse stata una donna sarebbe stata la mia amante, la mia donna. Io l’ho salvato quando era ragazzino. Aveva 25 anni e aveva fatto uno spettacolo meraviglioso con Margherita Buy: “La Stazione”. Aveva fatto altri film. Ma in certi momenti di scoramento ricordo – ho 8 anni più di lui – che voleva abbandonare questo mestiere. Perché non lavorava abbastanza. Stava male. Diceva che non ne valeva la pena. Io l’ho convinto e gli ho dato la forza e il coraggio di andare avanti, e di fargli capire che se uno ha talento deve avere pazienza, aspettare, lottare, perché il talento, poi viene premiato. Insomma, in qualche modo l’ho aiutato. Questo gli è servito e ci ha legato. Ma io l’ho fatto perché sentivo che da quella parte c’era tanta roba. Se n’è andato un uomo che aveva tante cose da dire. Mi viene in mente Lucio Dalla. Perché era onnivoro, intelligente, “avanti”. Aveva ancora tante di quelle cose da raccontare ancora, tante storie, che avrebbero riempito tutti noi”.

@vanessaseffer