“Ho fatto quello che mi sentivo di fare – spiega Gelli – mettendoci tanta energia ed impegno. Gli avvocati la interpretano come una modifica normativa, ma non lo è. È soprattutto una scommessa culturale e devo dire che girando il Paese questo messaggio sta passando perché incontro moltissime persone, le sale sono sempre piene, e sono tantissime le tesi di laurea che vengono svolte su questa legge”.
I medici sono molto contenti di pagare un premio assicurativo più basso grazie a lei.
Il risultato importante è che garantiamo la certezza delle cure a tutti i cittadini del Paese, il sistema deve riorganizzarsi in modo da mettersi nell’ottica della prevenzione del rischio, che è la vera scommessa. Poi c’è la tutela dei professionisti, la diminuzione dei premi assicurativi, i risparmi sulla medicina difensiva. Ma la cosa più importante è la sicurezza delle cure e della persona assistita, poi della professione sanitaria, questo è l’obiettivo.
In Italia abbiamo una delle migliori sanità del mondo, ma noi tendiamo a sminuirla.
Sono stato a Lione recentemente a parlare ai francesi all’assemblea di Sham, la grande mutua pubblica francese, assicuratori in Italia e nel resto del mondo, e hanno apprezzato tantissimo. Hanno una legge simile alla mia varata nel 2002/2003 che ha bisogno di qualche aggiornamento e si volevano ispirare alla mia legge.
Nel nostro Paese si parla troppo spesso ultimamente di violenza nei confronti dei medici e degli operatori sanitari. Si stanno sollevando voci importanti, volevo sentire la sua su questo tema dal momento che da tanti anni si occupa per il suo partito di sicurezza e legalità e sapere secondo lei quando una violenza si può definire tale.
È molto difficile definire una violenza, chi svolge un’attività professionale front office, è più esposto a violenze verbali o purtroppo anche fisiche e psicologiche. Forse il primo lavoro da fare è proprio quello di censire, definire con certezza quando si tratta di violenza. Una delle proposte che mi sembrano più calzanti, e questo ragionamento potrebbe finire in un disegno di legge, porterebbe il medico e il lavoratore dipendente della struttura ospedaliera ad acquisire il titolo di pubblico ufficiale durante il periodo della sua attività lavorativa. Questo determinerebbe un inasprimento automatico delle pene nei confronti di coloro che si atteggiano in maniera violenta nei confronti degli operatori sanitari e nello stesso tempo darebbe un elemento di maggiore garanzia. Il pubblico ufficiale è colui che svolge per nome e per conto della collettività un servizio pubblico. Credo potrebbe essere una prima proposta concreta.
Il segretario nazionale della Cisl Medici, Biagio Papotto, ha proposto pochi giorni fa che le aziende sanitarie si costituiscano parte civile a protezione dei propri operatori sanitari aggrediti durante le ore di lavoro. Lei cosa ne pensa?
Penso sia un proposito positivo, anch’esso un aiuto concreto a favore dei medici e degli operatori. Credo che però la chiave risolutiva di questo fenomeno dev’essere affrontato in termini di modelli organizzativi e di percorsi tutelati. Questo fenomeno ha avuto un incremento soprattutto negli ultimi tempi per un aumento molto alto delle patologie psichiatriche e del diminuito ruolo e delle grandi difficoltà delle strutture sanitarie psichiatriche che normalmente contenevano questi soggetti. Quindi ne abbiamo di più in libera circolazione sul territorio che si approcciano alle strutture sanitarie per i loro bisogni, solo che il loro approccio ovviamente, data la condizione psichiatrica è spesso problematico. Poi sicuramente è legato al fatto che spesso molti presìdi sanitari sono isolati, in condizioni particolari ed essendo insicuri possono tentare un malintenzionato, soprattutto nei confronti di operatori femminili, medici donne, medici di guardia. Allora la prima cosa da fare è ripensare, e lo dico come responsabile di Federsanità Anci sul tema del rischio in sanità, ai nostri percorsi e ai nostri modelli organizzativi delle strutture sanitarie. Soprattutto gli accessi ai pronto soccorso, ai luoghi di primo intervento, agli ambulatori, devono guardare non solo ad una capacità di risposta immediata ai cittadini alle loro domande, al triage, devono anche pensare che tra quei cittadini ci può essere anche un malintenzionato. Quindi ci vuole un sistema che possa prevedere un percorso di sicurezza dove il cittadino venga veicolato, passando da un meccanismo di garanzia e di tutela. Credo sia questa la scommessa da fare, quindi quando andiamo a disegnare i nostri spazi sanitari dovremmo avere un occhio di riguardo soprattutto per alcune situazioni, ovviamente non sto parlando delle grandi strutture dove ci sono decine di professionisti, sistemi di vigilanza, ma rifletto sull’ambulatorio del medico di guardia posto in un distretto isolato. Riassumendo: pubblico ufficiale per l’inasprimento delle pene, l’azienda che si costituisce parte civile e l’idea di un modello organizzativo che tenga conto dei percorsi di sicurezza per gli operatori specie dislocati in territori remoti, per risolvere secondo me il problema della violenza contro i medici e gli operatori della salute.
Il dottor Gelli è attualmente impegnato anche per gli eventi legati ai quarant’anni della Legge Basaglia che chiuse i manicomi in Italia, per vedere cosa resta della legge. Si parla di circa 20 milioni di cittadini curati fuori dai manicomi come accennava lui stesso del resto, con poche risorse e con strutture in grandissime difficoltà.
@vanessaseffer