In puero homo

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In puero homoA ripensare oggi ad un fatto di cronaca avvenuto un anno fa c’è da averne i brividi: un maestro era stato arrestato in una città del Paese per abusi sessuali nei confronti delle sue giovanissime allieve. Un atroce incubo per le bimbe, tutte di età compresa tra i 3 e i 5 anni, che secondo l’accusa venivano forzate a subire ripetuti atti di molestie sessuali durante l’orario scolastico. L’uomo era stato fermato dai Carabinieri e portato in carcere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. Il provvedimento restrittivo si basava sulle risultanze delle indagini investigative dei Carabinieri, a seguito delle denunce presentate da parte di diversi genitori preoccupati di quanto raccontavano le bimbe al rientro dalla scuola. A dare consistenza oggettiva alle indagini, le risultanze emerse da alcune telecamere installate nella scuola. Per garantismo e per il rispetto che si deve alle bimbe, ai genitori, alla Magistratura e anche al sospetto autore di questi abusi, la notizia di cronaca è priva di riferimenti temporali e di luogo. D’altronde non è la cronaca, seppure squallidamente dirompente per il contenuto, ad essere oggetto di questa nota. L’insegnante, di scuola materna e di scuola elementare, rappresenta sicuramente, insieme ai genitori, la figura adulta più importante per un bambino che trascorre gran parte della giornata a scuola. Un insegnante capace, attento, che ama il proprio lavoro, dovrebbe avere una conoscenza importante dei bimbi che gli sono affidati e dovrebbe possedere una sensibilità tale da portarlo a riconoscere alcuni segnali di allarme quali i cambiamenti di comportamento. Purtroppo la cronaca ci fornisce ormai con troppa frequenza un dato incontrovertibile, ovvero il moltiplicarsi di casi in cui sono proprio i maestri ad essere accusati di abusi e/o maltrattamenti nei confronti dei propri alunni. In alcuni casi l’aberrazione è tale che le accuse sono di abuso collettivo.

La Commissione Affari Costituzionali del Senato, in relazione all’esame in sede referente dei disegni di legge nn. 897 e connessi (“Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale”) ha audito nei giorni scorsi le Organizzazioni Sindacali della Scuola e della Funzione Pubblica. Il tema ha un grande impatto sociale e turba la coscienza collettiva. Ben vengano le azioni volte a prevenire forme di maltrattamenti o abusi. La discussione scaturita in audizione non si è limitata alla proposta di introdurre sistemi di videosorveglianza, ma ha toccato temi non secondari quali la valutazione delle condizioni di benessere o non benessere organizzativo in cui gli operatori dei servizi educativi e delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie si trovano a svolgere le proprie attività lavorative. In relazione al tema specifico dell’introduzione dei sistemi di videosorveglianza sono stati richiamati, in linea anche con quanto contestualmente espresso dal Garante della privacy, i principi di necessità e proporzionalità. Il rischio paventato è che l’uso di mezzi per definizione invasivi possa determinare compromissione dei meccanismi di fiducia. Il garantismo però in questo caso dovrebbe cedere il passo alla necessità imperativa di tutelare il minore, che non può difendersi, e una delle forme di difesa può consistere nel mettere a disposizione delle Autorità riscontri oggettivi con i quali incastrare quegli operatori colpevoli di simili atrocità. E infatti, in relazione al Disegno di legge 897 il legislatore pone una particolare attenzione sul contrasto alle condotte di maltrattamento e abuso, forme particolarmente riprovevoli nei casi di specie perché coinvolgono soggetti – i minori nella prima infanzia, gli anziani e le persone con disabilità – non in grado di difendersi, né spesso di raccontare.

Anche un singolo episodio di maltrattamenti ed abusi in questo ambito è già da considerare enorme, e deve essere messa in campo ogni azione per prevenirlo in maniera da evitare che possa ripetersi. Il termine corretto, ben al di là del lessico normativo, nonché il fine ultimo di ogni iniziativa di legge dovrebbe essere “stroncare” tali condotte abusive. Tuttavia, oltre alla necessaria condotta repressiva, non è semplice accademia porsi il quesito su quale possa essere lo strumento di protezione maggiormente efficace per garantire il contrasto alle condotte di maltrattamento e abuso senza, al tempo stesso, compromettere i percorsi educativi ed assistenziali. In altri termini occorre definire se, oltre ad attivare forme di controllo successive alle azioni delittuose, sia contestualmente possibile definire e realizzare forme di prevenzione di tali atti magari intervenendo ad esempio, anche con finanziamenti dedicati, sulla formazione continua del personale. Uno degli aspetti più significativi del testo legislativo in esame è la previsione di incontri periodici con un team di operatori specializzati in varie discipline, cui viene delegato il compito di verificare l’insorgere eventuale di situazioni di criticità individuando possibili soluzioni anche sulla base di procedure consolidate. È un percorso complesso. Occorre verificare le professionalità e le competenze che il team dovrà possedere, gli strumenti che potrà usare anche in raccordo con i servizi sociali e sanitari presenti sul territorio. Qualcosa di diverso rispetto ad un pur utile sportello antiviolenza, qualcosa di più, considerata la particolare fragilità delle vittime, qualcosa che configuri inoltre un patto fiduciario tra le Istituzioni e le famiglie anche ai fini della prevenzione dei maltrattamenti. Per quanto riguarda la videosorveglianza, la materia è delicata perchè occorre trovare una sintesi equilibrata tra gli interessi dei soggetti da tutelare (bambini, disabili e anziani), e le questioni relative alla privacy e ai diritti dei lavoratori ad esercitare la propria attività in maniera libera. Il tema è delicatissimo e non si può certo pensare di risolverlo solo con le telecamere o facendo intervenire i Carabinieri. Le telecamere possono essere un deterrente e ai Carabinieri non può essere delegata in toto una funzione preventiva. In gioco c’è il corretto sviluppo della personalità dei bambini. C’è chi afferma a tale proposito che i bambini, qualora sottoposti a sistemi di videosorveglianza, verrebbero iniziati ad una modalità di controllo che, sia pur ampiamente motivata dalla necessità della tutela da atti di coercizione e di violenza, di fatto li priverebbe della propria autonomia e libertà. Verrebbe da replicare, come primo impulso, che non può essere lasciato ad alcuno l’ autonomia e la libertà di affacciarsi alla notorietà della cronaca mediante atti di abuso fisico e sessuale. Anche il garantismo giudiziario ha dei limiti.

In puero homo.

 

@vanessaseffer

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